Da: horatiopost.com
I vantaggi della città metropolitana li capisce anche un bambino. Non è possibile che un territorio, quello della provincia di Napoli, che è più piccolo del comune di Roma, sia governato da un puzzle di novantadue differenti piani urbanistici, sindaci, consigli comunali, aziende partecipate. Il risultato è la follia attuale, un’area con tre milioni di abitanti, nella quale vivere è un esercizio quotidiano di resistenza, dove tutti i servizi essenziali e i diritti di cittadinanza sono sotto la soglia minima della decenza, in quell’anticamera di terzo mondo che ha tanto colpito papa Francesco.
Il meccanismo poi è fortemente dissipativo, perché la somma di appetiti di questo formicaio istituzionale si traduce in una instancabile attività edilizia, che continua illegalmente a consumare il patrimonio, e a congestionare i paesaggi più celebri del pianeta – Campi Flegrei, Vesuvio, penisola, isole del golfo, piana campana – che sono anche purtroppo i più fragili, esposti come sono all’azione di vulcani attivi, frane, colate rapide. Tutto questo, quando le finanze pubbliche non sono nemmeno in grado di manutenere e mettere in sicurezza la città che già c’è, che si sgretola giorno dopo giorno sotto i nostri occhi.
I vantaggi di un governo unitario di questo sistema fuori controllo li vede anche un bambino, ed è per questo che la nascita della città metropolitana al posto della vecchia provincia, mandata in soffitta ingloriosamente, senza essere mai riuscita ad approvare uno straccio di piano di coordinamento territoriale, deve esser vista dalle persone di buona volontà come un’occasione unica, probabilmente l’ultima per restituire visione e speranza all’area napoletana, soprattutto per recuperare il drammatico deficit di cittadinanza che ci divide dal resto d’Italia e d’Europa.
È con questo stato d’animo che mi sono accinto alla lettura della bozza di statuto della città metropolitana, licenziato nei giorni scorsi, che dovrà ora essere approvata entro il 30 giugno dal Consiglio metropolitano, pena il precoce commissariamento, ma la speranza è durata poco, perché in quel documento le risposte ai problemi strutturali cui si è fatto riferimento, semplicemente non ci sono.
Ci sarà tempo per discutere, ma il dato saliente è che manca nella bozza di statuto un progetto realistico di ristrutturazione di poteri e competenze in grado di costruire un vero governo metropolitano, che prevalga sulle spinte disordinate che dominano il sistema attuale. Certo, la Città metropolitana redigerà il suo piano strategico e il suo piano territoriale, ma nulla viene detto sui meccanismi amministrativi reali che imporranno ai riottosi comuni di sottostare a queste scelte, e la sensazione è che, ancora una volta, all’insegna della semplificazione, sia passata una riforma barocca che moltiplica e annacqua ulteriormente i centri decisionali, anziché addensarli e razionalizzarli.
Tutto questo, all’insegna di una diarchia decisionale che vedrà contrapposte le due assemblee, quella deliberativa del consiglio metropolitano, eletta a suffragio universale, e quella consultiva della Conferenza metropolitana, composta da tutti i sindaci della provincia: una coabitazione che prefigura agli occhi di quanti hanno solo un minimo di esperienza di cose nostrane, la prospettiva di un contenzioso eterno tra poteri, che finirà probabilmente per sterilizzare del tutto l’operatività dell’ente metropolitano. A ogni modo, perché il meccanismo si attui, sarà necessario smembrare il capoluogo in un numero imprecisato di “aree omogenee”, e così il risultato sarà quello di indebolire ulteriormente Napoli, senza nemmeno il vantaggio di dare vita a un vero potere metropolitano, in un gioco nel quale non è assolutamente chiaro dove sia il vantaggio prodotto da una simile cessione di sovranità.
Per di più, la bozza è redatta con il gergo velleitario con il quale abbiamo stilato i programmi comunitari finiti nel nulla, con l’elenco enciclopedico delle finalità, tutte condivisibili e politically correct – dallo sviluppo economico alla biodiversità, fino naturalmente ai beni comuni e all’obiettivo “rifiuti zero”, tutti i mantra insomma della politica parolaia – senza l’identificazione di quelle due, tre priorità, a partire dal consumo di suolo, dalle quali dipende la nostra sopravvivenza.
Alla fine, è probabile che la commissione che ha redatto la bozza non abbia più di tante responsabilità per un esito tanto nebuloso, perché le debolezze sono già insite nella legge Delrio, che pretende di ristrutturare importanti pezzi dello stato sotto la spinta della spending review, invece che di una meditata e cosciente istanza riformatrice. D’altro canto, lo status quo è semplicemente indifendibile, e allora è necessario rimboccarsi le maniche, migliorare e dare sostanza a questa bozza di statuto, che suona al momento come un leggiadro svolazzo di piano sulla tolda del Titanic. (antonio di gennaro)