All’interno dell’Anfiteatro di Pompei è spuntata la settimana scorsa una piramide in legno e metallo per esporre, dal 27 maggio fino al 2 novembre, venti calchi di antichi pompeiani morti durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
“Rapiti alla morte” è una delle sezioni della mostra ospitata dal Museo archeologico nazionale di Napoli intitolata “Pompei e l’Europa 1748-1943”. La rassegna è stata curata dalla Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e dalla direzione generale del Grande Progetto Pompei con il Museo archeologico di Napoli ed è stata organizzata da Electa. L’allestimento è stato affidato all’architetto Francesco Venezia. La piramide stessa è progettata dall’architetto Francesco Venezia, una archistar italiana, o meglio all’italiana, il cui curriculum è utilizzato dai curatori della mostra come alibi per poter fare tutto, come licenza per progettare ogni obbrobrio.
La struttura moderna al centro dell’arena dell’Anfiteatro di Pompei produce una certa impressione e non si può non pensare ad altri notevoli esempi di architettura contemporanea in Campania, realizzati però da privati, senza sperpero di soldi pubblici, e in aree non vincolate dal punto di vista paesaggistico: la Fiera del mobile di Riardo, il Tempio del pollo (senza a iniziale) ad Aversa.
All’interno della struttura i calchi galleggiano sospesi nel vuoto, esposti come opere d’arte contemporanea, private dei contesti di rinvenimento e di indicazioni di carattere storico-archeologico. L’effetto è quello di vedere una mostra dello scultore inglese Henry Moore o di Marcus Eriksen (https://www.marcuseriksen.com/iraqi-angel/).
La piramide, architettura propria della tradizione dell’Egitto faraonico, diventa così sepolcro moderno dei calchi dei poveri pompeiani. Tutto all’interno del più antico anfiteatro in muratura noto nella storia dell’architettura romana. Ma perché è sorta tale Piramide, che l’architetto Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio Patrimonio Culturale, non ha esitato a definire “sconcertante e invadente”?
Il 6 novembre del 2010, la notizia del crollo a Pompei della Schola armaturarum fece in breve tempo il giro del mondo. Il presidente Giorgio Napolitano dichiarò subito che l’avvenimento era “una vergogna per l’Italia”. Si generò così una sorta di psicosi collettiva: Pompei stava sparendo giorno dopo giorno sotto i nostri occhi indifferenti. Le immagini di crolli e abbandono, diffuse per anni ogni giorno come un bollettino di guerra, hanno generato un naturale sentimento di disgusto. Per rispondere alle indignazioni, alimentate e manipolate dalla propaganda politica, con l’articolo 1, comma 4, della L. 112/2013 è stata disposta la costituzione di una struttura ad hoc per il rilancio economico-sociale e la riqualificazione ambientale e urbanistica dei comuni interessati dal piano di gestione del sito Unesco “Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata”, nonché per potenziare l’attrattività turistica dell’intera area. È nato così il Grande Progetto Pompei.
Come si legge dal testo legislativo, il piano strategico prevede interventi infrastrutturali urgenti necessari a migliorare le vie di accesso e le interconnessioni ai siti archeologici e per il recupero ambientale dei paesaggi degradati e compromessi, prevede azioni e interventi di promozione di erogazioni liberali, sponsorizzazioni e forme di partenariato pubblico-privato e coinvolge gli operatori del settore turistico e culturale ai fini della valutazione delle iniziative necessarie al rilancio dell’area.
Per il nuovo Governo del Fare l’occasione è troppo ghiotta per non fare diffusa e capillare retorica, capace di affossare ogni voce di dissenso. Oltre alle belle parole non esiste, infatti, un’idea di intervento, una progettazione, un soluzione reale, duratura e concreta dei problemi di Pompei. Lo si capisce leggendo atti, bandi, relazioni del generale dei carabinieri Nistri, direttore generale del Grande progetto Pompei, altro uomo-alibi che garantisce trasparenza, ma non evita orrori estetici, e del professore di archeologia classica Massimo Osanna, soprintendente della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, che come si legge dal curriculum presente sul sito del ministero non si è mai occupato prima delle città vesuviane.
Ma tutta la questione gira attorno ai cento e cinque milioni di euro stanziati per il Grande Progetto Pompei, da spendere in un anno. Con i tempi della burocrazia italiana, i ricorsi e le varie lungaggini, impegnare l’ingente somma in modo sensato è impossibile. Lo strumento per risolvere i problemi di Pompei si è trasformato così nel fine del Progetto.
La sfida del Generale e del Soprintendente sembra un giochino televisivo di qualche decennio fa in cui bisognava spendere la maggiore quantità di soldi in un tempo stabilito attraversando un supermercato con un carrello della spesa. Spendere cento milioni di euro entro il dicembre 2015 è l’unico mantra che viene ripetuto in Soprintendenza e in Parlamento: questa l’unica preoccupazione, nessun ragionamento su come e perché. Per ora ne sono stati concretamente spesi solo circa cinque. Dunque, essendoci tanti soldi stanziati, perché non spenderli per costruire una piramide al centro dell’Anfiteatro pompeiano?
Ma utilizzare i soldi in modo sfacciato, autoritario, con interventi provvisori, discutibili e privi di interesse scientifico caratterizza anche la mostra al Museo archeologico: in essa è descritta la fortuna degli scavi di Pompei nell’immaginario culturale europeo. L’allestimento, buio e angusto, è sempre dell’architetto Venezia. La mostra non presenta nessuna novità, molte delle opere sono state già esposte per mostre dalla tematica analoga negli ultimi dieci anni. In modo piuttosto piatto sono presentate opere ispirate dalla scoperta delle città vesuviane in un arco cronologico che va dal 1748 al 1943. Una galleria di immagini senza nessuna riflessione storica, culturale. Che cosa documenta una foto di Picasso a Pompei? E uno schizzo di Le Corbusier? E una frase di Jean Cocteau? Questo la mostra non lo spiega, però si sono spesi un po’ di soldi del Grande progetto Pompei e siamo tutti felici. Intanto, all’interno della Piramide è stato seppellito tutto il pensiero archeologico italiano. (black napkin)