È morto ieri dopo una lunga malattia Luca Rastello. Reporter e viaggiatore instancabile (aveva visitato e scritto dal Caucaso, dall’Asia centrale, dall’Asia e dal Sudamerica), giornalista e romanziere, Rastello avrebbe compiuto tra pochi giorni cinquantaquattro anni. Lo scorso anno abbiamo presentato a Napoli il suo ultimo libro, I buoni. Tra i suoi romanzi e saggi più belli La guerra in casa (sul conflitto in Jugoslavia negli anni Novanta), Binario Morto (sull’alta velocità ferroviaria e la Torino-Lione) e soprattutto Piove all’insù (Bollati Boringhieri, 2006), che descrive Torino e l’Italia degli anni Settanta, e di cui pubblichiamo un breve estratto.
SAMBA DELLE PREGHIERE ESAUDITE
E gli hippy stan pestando sulle corde un vecchio samba, certo. Ma pochi, poco convinti della musica, in un angolo. I telegiornali ci hanno divisi in indiani pacifici e autonomi violenti. Due tribù che non conosco, un modo per guardarci senza vederci, ci siamo abituati. Ma è vero che due mondi si stanno allontanando: nelle assemblee ci si scanna, c’è anche chi viene alle mani, militanti tetragoni mimano un parlamento rissoso, spettacoli e gesti vistosi restano nelle strade. È questa, Bologna. Il movimento delle tane, la grande nazione sotterranea dei pari, senza comando e gerarchia da una parte, de dall’altra idoli militari resuscitati, il vertice, la base, il sudore, il sacrificio e, per soprammercato, sangue. Finisce con un corteo raccontato dalle radio, che cammina per una giornata intera, urla ma non diventa battaglia, bum siamo tutti morti, come quelli di Nagasaki che bevono il caffè e l’aereo della bomba atomica è già in volo, e la loro ombra sul muro è più vera di loro. non siamo stati capaci la serietà di Abertino non ci è venuta fuori.
Chissà dove saremmo arrivati se avessimo puntato alla precisione, invece di accontentarci di quelle nostre astrazioni desideranti. Avevamo così forte nelle viscere il malessere del mondo agonizzante che se ci fossimo armati di esattezza forse ne avremmo deciso noi le sorti. Ma ci bastava il linguaggio contorto e oscuro delle nostre emozioni. Uno dei nostri giornali ora titola così: La rivoluzione è finita, abbiamo vinto. È il pensiero più lucido di quella stagione. Ma pensare la fine con lucidità è biologicamente impossibile: puoi enunciarla, puoi pensare che dovresti pensarla, puoi avvicinarti come fanno i matematici, allontanandosi in realtà a distanze siderali, inserendo fra il pensato e l’impensabile infiniti pensieri sempre più piccoli, e ognuno di questi dice che arrivarci è impossibile.
Siamo di fronte alla fine, motore di ogni mercato, virtù delle banche, lacuna delle utopie: il denaro, nei suoi canali immateriali, conosce le regioni del tramonto e sa metterne a frutto le risorse. Noi, inadatti alla rivoluzione perché il luogo della rivoluzione è l’infinito, il futuro, sogno da figli dei fiori in tempo di benessere, svanito, noi passeremo dal potere infinito della nostra adolescenza carnale all’infinita frustrazione che muove al consumo. Di sé o di merci. E di vite come merci. Vite di morti, persi in grovigli di ribellione, furti d’appartamento, droghe pesanti, pistola, delusione o carriera. Alcuni finiranno per decidere che sopravvivere significa emergere, schiacciare, tagliare, votati infine alla regola della supremazia naturale, partiti da lontano per approdare al fascismo elementare della vita vissuta come un diritto del migliore, del più forte, della più bella. Di qui a pochissimo tanti di noi parleranno come gangster, orgogliosi di essere entrati nel mondo degli adulti. «Gli ho fottuto la donna»; «Sua madre è piena di soldi, facciamogli l’appartamento»; «Hai pulito la baiaffa? Oggi si spara»; «È un frocio, non ha le palle»; «Deve morire».
È pieno di gente che invoca il salto di qualità. Clac! Quasi sempre è il rumore che fa il coperchio di una bara. Albertino cantava “serietà”, ma la sua non è la serietà delle armi, lui vede cose che nessuno vede, poi non saprà di averle viste così chiare, si dimentica di sé stesso e fra poco si perderà, perché ha visto un grande supermercato con la fila di carrelli e chilometri quadri di parcheggio: se hai comprato abbastanza, non pagherai la sosta. Ha visto il fondo-pensione, la rottamazione, l’acqua aturale, i messaggini, l’agenzia interinale e l’incentivo all’esodo, le vacanze fai da te, i siti porno, la seduzione dell’Amaretto.
Il lavoro si estingue, abbiamo vinto. Quindi i più intelligenti di noi si estinguono. Il mondo nuovo ci somiglia, siamo noi la sostanza del futuro comando, quelli che consumeranno di più perché più infelici, quelli che schiacceranno la testa ad altri, per sopravvivere. Ciccio, Albertino e gli altri stanno per morire, e vedono il futuro di chi resta come uno specchio andato in pezzi. Eviteranno il bivio che ci aspetta di lì a poche settimane: o soli o arruolati. Chiaro che Albertino ha un momento di malinconia, prima di partire in avanti a testa bassa, e nel suo samba piove. Bologna brucia, d’impotenza.