da Repubblica Napoli del 26 luglio
Nei giorni scorsi gli insegnanti e gli operatori sociali che svolgono attività con i bambini per la fondazione Fabozzi Onlusnel quartiere Avvocata-Montecalvario hanno inviato una lettera ai giornali in cui denunciano la situazione terminale della fondazione, con le attività ridotte al lumicino, gli stipendi non pagati da quattro mesi e una gestione commissariale che non è riuscita a risolvere i problemi per i quali era stata insediata ben otto anni fa dall’amministrazione regionale e dalla Curia. In fondo, potrebbe essere solo l’ennesima storia che illustra il naufragio dello stato sociale nel nostro paese, ma se da un lato descrive bene la parabola compiuta dal terzo settore negli ultimi vent’anni, dall’altro è anche la dimostrazione di come questo accelerato declino non si configuri in tutti i casi come inevitabile, ma nasconda spesso omissioni e trascuratezze che dietro il paravento della forza maggiore rivelano cattive scelte gestionali e responsabili in carne e ossa.
La fondazione Fabozzi è attiva dalla fine degli anni Cinquanta e si è sempre occupata dell’infanzia bisognosa. Nasce per iniziativa degli ex allievi di monsignor Fabozzi, parroco della Cesarea presso piazza Mazzini, nei primi decenni del Novecento. Un altro parroco, don Giacomo Nardi, ne diventa negli anni Sessanta l’infaticabile animatore, arrivando a raccogliere fondi tra i fedeli per comprare un terreno alle spalle della chiesa, dove costruire un istituto per le attività della fondazione. Lo spazio si rivela troppo esiguo per costruire, ma Don Nardi non si dà per vinto e apre una casa-famiglia in un appartamento, fin quando a metà degli anni Settanta la donazione di alcuni locali in salita Tarsia non lo convincono ad aprire una scuola elementare parificata, cui si affianca un servizio di accoglienza semi residenziale.Per anni le attività non si discosteranno molto da quelle messe in piedi da tante istituzioni legate alla Chiesa, importanti per la loro presenza ma non particolarmente innovative. A metà degli anni Novanta però il terzo settore riceve un forte impulso nell’intera società italiana, sia in termini legislativi che finanziari, con un profondo mutamento nelle strutture e uno slancio partecipativo che coinvolgerà migliaia di giovani educatori.
Anche a Napoli si registra una crescita esponenziale, in cui, sorprendentemente, la fondazione Fabozzi si inserisce da protagonista: si rinnovano le figure professionali, si aggiornano gli strumenti educativi, si promuovono nuovi progetti stabilendo collaborazioni con altri enti. Il risultato è che a partire da allora, e per almeno una quindicina d’anni, il bacino d’utenza della fondazione si allarga di molto,abbracciando bambini e famiglie che provengono non solo da Montesanto ma anche dai Quartieri Spagnoli. L’attivismo della fondazione rivitalizza quei dintorni a vista d’occhio. Poi un dissidio in seno al consiglio d’amministrazione provoca una paralisi. L’ente non gestisce solo soldi pubblici ma nel tempo ha costituito attraverso le donazioni private un patrimonio cospicuo, il cui controllo diventa oggetto di contesa. È a questo punto che viene nominato il commissario, con il compito di risanare l’ente, riscrivere lo statuto e tornare all’ordinaria amministrazione. Da allora, la crisi economica ha ridimensionato drasticamente le politiche di welfare. Il commissario però non ha attivato le risorse interne, che pure, secondo gli operatori, permetterebbero l’autosufficienza. Il dinamismo del periodo precedente sembra un ricordo, i progetti con gli enti pubblici si vanno esaurendo, i rapporti con le famiglie si allentano, nonostante per molti le difficoltà aumentino di giorno in giorno; alcuni operatori lasciano, mentre si moltiplicano gli ostacoli burocratici per chi cerca di rilanciare. Sono passati otto anni, l’emergenza è diventata normalità, ma con il serio rischio che possa condurre l’ente addirittura al capolinea. Un delitto perfetto, che si consuma tra l’altro nel silenzio della Curia. Un patrimonio fatto di relazioni umane e competenze educative è sul punto di sfumare, mentre l’altro patrimonio, quello concreto e tangibile della fondazione, resta intatto. Sulla sua futura destinazione il buio è completo. (luca rossomando)