Risale all’inizio dello scorso mese di luglio, per quasi due settimane, la chiusura precauzionale del bosco di Capodimonte. Notizie abbastanza confuse parlarono della caduta di alcuni alberi causati da un temporale in un’area decentrata del parco, ma i cancelli della struttura rimasero serrati senza alcun preavviso.
Negli stessi giorni, in preda a una confusione solo in parte giustificata, si diffusero voci di una prossima riapertura autunnale – conseguente alla riorganizzazione degli assetti amministrativi – con un biglietto a pagamento. Una notizia che diede il via a una serie di presidi e manifestazioni di cittadini all’esterno del bosco, che hanno periodicamente incontrato i responsabili per chiedere conto della situazione presente e soprattutto futura. Il gruppo, che conta quasi un centinaio di persone, si è mobilitato denunciando alla Soprintendenza le gravi condizioni del parco, la mancanza di informazioni e l’assenza di qualsiasi coinvolgimento della cittadinanza nella futura gestione del sito (una eventualità invece più volte menzionata nel progetto di riqualificazione in atto). Per il mese di settembre è stata organizzata un’assemblea pubblica per sensibilizzare anche le istituzioni a tenere alta l’attenzione sui prossimi delicati passaggi che interesseranno il parco pubblico più grande della città.
Nel frattempo, la situazione in cui si trova il bosco è piuttosto delicata. Qualche mese fa, per esempio, il cedimento di un muro che costeggia l’inizio di via Miano ha reso necessaria l’istallazione di alcuni enormi blocchi di cemento che, occupando un terzo della carreggiata, ingorgano ulteriormente uno dei punti più trafficati della zona. Ma l’idea di un intervento di manutenzione straordinaria del muro, così come quella della pavimentazione dei vialoni, per molti tratti sconnessa, sembra essere un tabù per tutti.
Non meno complicata, all’interno del bosco, è la situazione del museo, arrivato con tempismo perfetto all’inizio dell’estate con un guasto all’impianto di condizionamento. Accessibili, ma ai limiti della fruibilità, solo un piano e mezzo su tre. Per garantire la tutela delle opere aggredite dal caldo, più che per una perfida ironia del fato, ai visitatori è consentito percorrere il secondo piano solo fino alla Flagellazione di Cristo di Caravaggio.
Il punto più preoccupante, tuttavia, è il vuoto amministrativo che coinvolge la struttura. Da qualche giorno in pensione l’architetto Gullo (il direttore del bosco), si attende infatti la nomina da parte del Ministero dei Beni Culturali di un supermanager che avrà il compito di gestire il sito unitamente al museo. Si tratta, in sostanza, dell’attuazione della riforma Franceschini, pronta a trasformare radicalmente l’amministrazione dei beni culturali del paese. I grandi musei, diretti finora dalle Soprintendenze, acquisiranno maggiore autonomia, diventando istituti dotati di un proprio bilancio e statuto. Musei come gli Uffizi e la Galleria Borghese, la Reggia di Caserta e la Pinacoteca di Brera, fino al Colosseo, già recentemente ristrutturato con un copioso utilizzo di fondi privati. Parallelamente, i direttori dei musei verranno sostituiti da figure manageriali, selezionate con un bando internazionale, e che salvo slittamenti dovrebbero essere nominate a partire dal prossimo settembre.
Nel caso di Capodimonte, al neo-dirigente e il suo consiglio d’amministrazione spetteranno tutte le decisioni, da quelle più piccole, che incidono sulla fruizione quotidiana del bosco – assenza bagni pubblici, sosta e circolazione di auto e motorini, eventuale ingresso a pagamento – a quelle strutturali che stabiliranno il ruolo e l’organizzazione del complesso museale in futuro.
Negli ultimi anni, l’ex-direttore Gullo ha elaborato e diretto un progetto, tutt’ora in corso d’attuazione, finanziato con fondi europei (dieci milioni di euro) per la riqualificazione di alcuni edifici storici presenti nel bosco: il Cellaio, la Capraia, la chiesa di San Gennaro, il Cisternone, l’ex-Eremo dei Cappuccini e la Fagianeria. Il progetto prevede, da un lato, il recupero delle attività laboratoriali storicamente legate al bosco (porcellana, agricoltura, floricoltura) e dall’altro la messa a profitto delle struttura, seppure, in alcuni casi, attraverso “forme partecipate” di gestione. Ci sono tuttavia situazioni poco chiare: quella riguardante la Fagianeria, per esempio, che in seguito a questi interventi ha subìto la trasformazione più evidente, venendo affiancata da un nuovo fabbricato che ne ha quintuplicato l’estensione. La struttura sarà destinata a servizi aggiuntivi per rilanciare l’attrattività del bosco: ristoranti, caffetteria e bookstore.
Il compito più delicato del dirigente, nei mesi a venire, sarà proprio quello di stabilire le modalità di ingresso dei privati nella gestione di queste strutture e di quelle che rischieranno di aggiungersi, in un processo di trasformazione tendente al profitto più che alla fruibilità per i napoletani, che appare, riforma alla mano, ormai irreversibile. (dario cotugno)