Verrà trasmesso mercoledì 2 settembre, prima alle 9,00 e poi alle 22,35, l’audiodocumentario Il suono del silenzio, di Marcello Anselmo, in streaming sul sito della ReteDue RSI / Radiotelevisione svizzera. Il documentario, dedicato all’opera di Romeo Castellucci, è scaricabile in podcast, sempre sulle pagine del sito dell’emittente.
Pubblichiamo a seguire un articolo che racconta il lavoro dell’autore e regista teatrale, prendendo spunto dalla pubblicazione del libro collettivo Toccare il reale. L’arte di Romeo Castellucci (Cronopio, 2015) a cura di Piersandra Di Matteo.
Sospeso tra arte, religione e filosofia, il teatro di Romeo Castellucci e della Socìetas Raffaello Sanzio – da lui fondata agli inizi degli anni Ottanta con la sorella Claudia e sua moglie Chiara Guidi – è soprattutto visione, pensiero che si fa corpo in scena e apre a una diversa percezione della vita e del mondo.
Uno dei cardini su cui poggia la ricerca di Castellucci, è il rapporto tra azione scenica e spettatore; più degli stessi attori, infatti, siamo noi che guardiamo stupefatti quel vorticoso susseguirsi di suoni, silenzi e forme cosmogoniche, i veri protagonisti delle sue messinscene, a cui l’autore chiede di condividere il battito interno dello spettacolo, l’emozione di immergersi in un flusso sensoriale imprevedibile, fino a coglierne le ultime sensazioni “come dati immediati della coscienza” (Henri Bergson). Talvolta questa esperienza estetica, che attraverso l’arte della visione ci mostra un altrove ai limiti dell’umano, può essere traumatica, suscitando scandalo – com’è accaduto in Francia alla presentazione del lavoro Sul concetto di volto nel figlio di Dio (2010), spettacolo accusato di blasfemia – in quella parte di religiosità integralista poco disposta a interrogarsi sul senso della nostra esistenza, meno che mai a mutare il proprio punto di vista sul mondo orrendo che si è costruito; aspetto decisivo, quest’ultimo, della poetica di Castellucci, perché convinto che sono “le opere d’arte che segnano, che marcano una segnatura, quelle che cambiano il punto di vista”.
Sin dalla fase iniziale, la drammaturgia del regista cesenate si precisa come una dolorosa meditazione sulla morte e sullo spaesamento dell’Essere che incontra la Storia. In questo senso, molto allusivo di un tempo che non contempla la morte ed esclude dal proprio orizzonte sofferenza e caducità del corpo, è proprio lo spettacolo Sul Concetto di volto nel figlio di Dio, dove in una scena dominata dall’immagine del volto del Cristo di Antonello da Messina, un figlio si prende cura di un padre costretto a mostrare, alla fine della sua vita, la decadenza del proprio fisico, fino all’incontinenza e all’atto dell’evacuazione; gesto estremo che, tuttavia, spinge gli spettatori a specchiarsi nella fragilità esistenziale di quell’uomo partecipando a un sentimento di umana pietà sotto lo sguardo impassibile di Cristo che osserva l’azione dall’alto.
Un prezioso volume collettivo, edito da Cronopio, Toccare il reale. L’arte di Romeo Castellucci, a cura di Piersandra Di Matteo, consente ora, attraverso i contributi di studiosi di diversa formazione presentati al convegno dello scorso anno all’Università di Bologna, un’analisi attenta dell’intero percorso artistico di Castellucci – oggi una delle voci del nostro teatro più apprezzate e riconosciute in campo internazionale.
Se il primo elemento fondativo della sua messinscena – attraversata da una costante tensione dialettica tra materia e spirito, reale e irreale, luce e buio – è la partecipazione dello spettatore che deve entrare in teatro con la stessa innocenza con cui gli iniziati partecipavano ai Misteri Eleusini, l’altro aspetto essenziale è il linguaggio del corpo come catastrofe, catastrofe soprattutto del linguaggio; una visione apocalittica dell’Essere che rinvia al divino e al divenire del mondo. Tale dimensione della corporeità è inscritta da Castellucci – in lavori, solo per citare alcuni titoli, come Amleto, la veemente esteriorità della morte di un mollusco; Divina Commedia; Genesi; Il Combattimento; Orfeo ed Euridice; Go down, Moses; Tragedia Endogonidia (ciclo di ben undici spettacoli, dal 2002 al 2004, che partendo da Cesena prendono il nome delle città in cui sono rappresentati) – in uno svolgimento del reale che sfugge alla Storia riportando l’uomo contemporaneo nella sua essenza originaria.
Emblematiche della sua scrittura sono le immagini violente di Go down, Moses. Qui ci imbattiamo in una madre del nostro tempo che, dopo aver partorito, lascia il suo figlioletto (Mosè) in un cassonetto dei rifiuti; la ritroveremo alla fine dello spettacolo che fuoriesce dalla macchina di una risonanza magnetica in una caverna abitata da uomini di Neanderthal, che disegnano immagini rupestri sui muri col proprio sangue, seppelliscono un neonato, si accoppiano; una comunità di uomini e donne che in una remota infanzia del mondo vive le nostre stesse angosce, i nostri stessi sentimenti ed emozioni.
In uno dei saggi più interessanti del volume, Marcello Neri si sofferma sulla dimensione della corporeità presente in tutta l’opera di Castellucci, affermando che è “nel corpo, dunque in ogni corpo, che il divino cristiano viene posto strutturalmente in status nascendi”. Questa osservazione richiama alla mente Antonin Artaud, da sempre ispiratore del regista cesenate e da lui evocato nel ciclo dell’Epopea della polvere, il cui teatro della crudeltà è essenzialmente scrittura del corpo, energia, gesto irripetibile che allontana la parola e “riporta il teatro a un piano di creazione autonoma e pura, in una prospettiva di allucinazione e di sgomento”.
Castellucci guarda al teatro come a un’esperienza estetica che diventa etica. Scopo del suo teatro, che brucia i codici imitativi del teatro di rappresentazione, è la radicale decolonizzazione del nostro immaginario. Il risveglio delle coscienze, egli afferma, passa per un risveglio dello sguardo. Allora si capisce bene che il suo rifiuto delle oscene immagini della contemporaneità, non è solo un atto creativo che innova il teatro, ma anche una preziosa indicazione per il futuro, soprattutto per chi ancora crede nella possibilità di fondare comunità su altri valori etici e morali. (antonio grieco)
By Remo Romagnuolo September 7, 2015 - 9:21 am
Un progetto interessante. Complimenti!!!