Fotoreportage di Eva de Prosperis
Kumanovo è una piccola città a nord dell’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia. Il paese è da mesi scosso da tensioni tra il governo, sempre più vicino alla Russia di Putin, e l’opposizione, composta da partiti di sinistra e da una grande parte della popolazione albanese della Macedonia (circa un terzo della popolazione totale del paese).
La mattina del 10 maggio a Kumanovo, in un quartiere principalmente abitato da cittadini d’etnia albanese, un gruppo armato di una trentina di persone ha aperto il fuoco contro la polizia, riparandosi in abitazioni civili. Per più di dieci ore il quartiere è stato scenario di guerra. Il gruppo armato è riuscito a impadronirsi di una stazione di polizia per qualche ora. Più di settanta case sono andate distrutte e ventidue persone hanno perso la vita: otto poliziotti e quattordici membri del gruppo armato. Fra la popolazione civile non ci sono stati morti, l’unico ferito è un ragazzo di venti anni, colpito a una spalla da un proiettile di kalashnikov.
Al termine del conflitto i componenti del gruppo sono stati identificati dalle autorità macedoni come combattenti dell’Uçk (l’Esercito di Liberazione del Kosovo, una formazione paramilitare con una forte ideologia nazionalista albanese, attivo durante la guerra contro la Serbia, e alcuni dei cui esponenti oggi occupano importanti cariche nel neonato governo del paese). Ufficialmente l’implicazione dell’Uçk non é stata riconosciuta dalle autorità kosovare, ma molte delle persone arrestate durante il conflitto a fuoco sono considerate eroi nazionali. Tra loro Mirsad Ndrecaj (aka Commander NATO), Sami Uksini (Commander Sokoliji) e Beg Rizaj.
L’ultimo evento di questo genere si era verificato nel 2001, quando l’Uçk attraversò i confini per ottenere manu militari maggiori diritti per la minoranza albanese presente nel paese. Oggi in un clima di instabilità politica questo evento si colora di un grande significato simbolico. Sia gli Stati Uniti che la Nato si dicono inquieti rispetto alla situazione. La missione K FOR (missione della NATO presente sul territorio kosovaro dal 1999) e la polizia kosovara (KP) hanno iniziato pattugliamenti aerei e terrestri lungo le frontiere. La paura è quella di ulteriori infiltrazioni verso la Macedonia e di una escalation delle violenze. Anche altri paesi, come Bulgaria e Serbia, hanno dispiegato forze militari lungo i propri confini. In Kosovo ci sono tre campi d’addestramento identificati dove ci si prepara a una potenziale guerra. Uno di questi si trova a Gijlan/Gnjilane, cittadina vicina al confine macedone, e un altro nella zona di Mitrovicë/Mitrovica, vicina al confine serbo.
Nel frattempo, a Skopje, alcuni attivisti sono accampati davanti la sede del governo dal 17 maggio, giorno della manifestazione che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di cittadini macedoni, i quali richiedevano le dimissioni di un governo considerato corrotto e anti-democratico. La manifestazione ha ricevuto l’appoggio di vari esponenti dell’Unione Europea.
È molto difficile immaginare i possibili esiti della situazione in Macedonia. A Kumanovo la polvere si posa e gli abitanti sono ancora lì, accampati davanti alle macerie, in attesa che qualcuno dal governo venga a fargli visita. In un ex negozio d’alimentari, distrutto in parte dal conflitto, s’ammassano ogni giorno aiuti umanitari provenienti da Ong e dalla popolazione albanese. Da lì ogni giorno vengono distribuiti chili di farina e altri beni alimentari a chi nello spazio d’una notte ha perso tutto, ma non la speranza. (eva de prosperis)
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