Senza centro
In copertina – Si dice spesso, di certi quartieri o rioni del centro storico di Napoli – la Sanità, i Quartieri Spagnoli, per esempio –, che sono periferie incastonate nel centro. Si vuole mettere in questo modo l’accento sulla trascuratezza dei luoghi pubblici, sull’inefficienza dei servizi. Sull’assenza di teatri, cinema, luoghi d’incontro. Ma anche, in modo implicito, sulla prevalenza tra gli abitanti dei ceti sociali più bassi; e quindi sul proliferare delle attività illegali, e delle organizzazioni criminali. È un discorso un po’ grossolano, incompleto, che tra l’altro dà per scontato che la periferia, ogni periferia, sia un luogo omogeneo, dove regnano la desolazione, l’abbandono. E la violenza. Una visione che risente delle tante rappresentazioni in voga, altrettanto parziali e semplicistiche, alle quali però sembra sempre più difficile sottrarsi: da un lato il “terribilismo”, il compiacersi delle tinte forti, l’aura fosca di certi paesaggi, la descrizione dello sfascio fisico e morale; dall’altro, quasi per reazione, una retorica uguale e contraria: le “buone pratiche”, gli angeli del territorio, gli impavidi che tra mille difficoltà si oppongono al male, meglio se in forme associate. […]
Un antidoto, un modo per comprendere meglio i tasselli che formano la città, per raggiungere dettagli e complessità alla rappresentazione di luoghi considerati di risulta, è sicuramente quello di rivolgersi alla vita quotidiana di chi li abita, andando sul posto, ascoltando con attenzione le voci delle persone, dando forma ai loro racconti. In tal modo, ci si accorgerà che molti cittadini che siamo abituati a considerare “periferici” non si sentono affatto tali, che il centro per loro è formato dai luoghi in cui vivono. Che i cinema più affollati, quelli dei centri commerciali, sono ormai più vicini alla periferia che al centro; o che ci sono tante persone che piuttosto che andare a teatro, preferiscono praticarlo, sul palcoscenico di un dopolavoro; che i migranti non sono solo persone bisognose, ma spesso appartengono a comunità forti, che si organizzano per le proprie esigenze vitali, ludiche, religiose, senza aspettare l’aiuto di qualcuno. Insomma, a guardare le cose più da vicino, potremmo finire per mettere in discussione i pilastri su cui si fonda questa presunta dicotomia tra centro e periferia. E cominciare a governare come merita la nostra metropoli.
Pag. 2 e 3 – Un cittadino tranquillo. L’avvocato De Vizia era arrivato al 71esimo compleanno senza grossi problemi. Impiegato comunale in pensione, il voto sempre a sinistra, amava leggere il giornale nei giardini davanti al Municipio. Ma la città che ne usciva fuori non era più la sua
Pag. 4 e 5 – Elemento di disturbo. San Giovanni a Teduccio. I ragazzi sui muretti, nel bar sempre gli stessi clienti. Il giornale della prima C. Antonio alza la voce in classe, ma ritaglia, disegna, diventa per acclamazione il grafico del giornale. Poi scompare, riappare; fino al solito epilogo
Pag. 6 e 7 – I palcoscenici fatti in casa. Uno legge i copioni nel taxi, aspettando i clienti. Un altro ha visto tutte le cassette di Eduardo. C’è chi ha imparato a fare il rumorista in un circolo del Pci. Li unisce la passione del teatro fatto in casa. E messo in scena nei dopolavoro dell’area flegrea
Pag. 8 e 9 – Il signore dei miracoli. Dalla periferia del mondo a quella di Napoli. I peruviani del Rione Traiano che organizzano tornei di calcio con tanto di divise e trofei. Quelli dei Quartieri Spagnoli con la loro Confraternita. Come si aggiornano delle vecchie idee sugli immigrati
Pag. 10 e 11 – Marano-Napoli. una storia disegnata
Pag. 12 e 13 – La scuola delle mele marce. “Quello è stato per mezzo degli altri”, dicevano gli adulti del vicolo per difendere i propri figli. Lo stesso dicono adesso i dirigenti scolastici che gestiscono i progetti contro l’esclusione. La responsabilità è della gioventù incivile, mai degli educatori
Pag. 14 e 15 – L’avventura di un internato. A metà degli anni Settanta il memoriale di Aldo Trivini, rinchiuso per errore nel manicomio criminale di Aversa, provoca un processo e la condanna del direttore e di alcuni agenti. Un libro ne ripropone la versione integrale e racconta tutta la storia
Pag. 16 e 17 – Neiwiller, il clandestino. Vita e opere di un misconosciuto maestro del nostro teatro, a venti anni dalla scomparsa. Gli spettacoli, i laboratori, la fondazione di comunità aperte di attori e artisti, l’elemento chiave dell’improvvisazione. Il percorso di un poeta del sottosuolo
Pag. 18 e 19 – Dodici pollici. Libri, teatro, città
Con i testi di – riccardo rosa, andrea bottalico, fabio germoglio, umberto piscopo, salvatore pirozzi, dario stefano dell’aquila, antonio grieco, francesco migliaccio, giulia beatrice filpi
E i disegni di – giulia d’anna, escif, ottoeffe, eno, malov, rosario vicidomini, cyop&kaf, diego miedo
By Francesco Di Vaio December 4, 2013 - 8:40 am
Cari amici,
non condivido la Vostra ironia su Barbaro, né la simpatia per un rituale che non conserva più
niente, sul piano antropologico, dell’ antico rituale, se non il fuoco con un materiale rubato.
Le movenze, il linguaggio, il “metodo”, come si sente dire nel video, ci dicono dell’ arroganza di una banda, che per l’ età è consapevole della propria immunità, ne attesta un apprendistato già compiuto. Ho visto questo tipo di banda fare una sorta di forca caudina fuori la stazione della metro di P. Cavour e colpire a sangue degli inermi cingalesi che ne uscivano. Vi risparmio le parole e le minacce a chi ne prendeva le difese; a Via Toledo l’ ho vista sfiorare un indiano per far cadere quello seduto su una piattaforma e vi risparmio ciò che mi hanno detto per aver richiamato qualcuno di loro. Forse bisognerebbe rileggere quanto Pasolini scrisse sui mutamenti antropologici dei ragazzi di vita. Forse servirebbe a capire meglio i rapporti da costruire tra loro e la città.