Dal capitolo “La musica del popolo”:
Angelo Coppola, paroliere e impresario
Pollena Trocchia è un paesino nei pressi del Vesuvio. Ci si arriva prendendo la tangenziale e poi una superstrada, che di volta in volta indica questo o quel paese, che si inerpica faticosamente sulla montagna. Pollena presenta uno scenario meno grigio e deprimente rispetto a quello di tanta periferia cresciuta negli ultimi decenni. Palazzine e, soprattutto, piccole villette ordinate, e un po’ di verde che non guasta. Due grandi strade parallele che salgono verso l’alto, unite da altre ad esse perpendicolari. In mezzo altre ancora, più piccole, tra cui via Enrico Caruso. Il volume della musica che fuoriesce dai balconi non è altissimo, ma permette di distinguere con chiarezza le canzoni di Valentina Stella e Sal Da Vinci. Si tratta di quella parte di musica napoletana a cui la borghesia cittadina ha concesso una dignità artistica, operazione che nel corso degli anni ha di volta in volta incluso un Nino D’Angelo e un Franco Ricciardi, o escluso un Ciro Ricci e un Mauro Nardi. In via Enrico Caruso 4 c’è la sala di registrazione di Angelo Coppola, editore, produttore, autore di testi, e padre di Nancy, cantante venticinquenne ormai affermata sulla scena neomelodica.
Se vai cercando qualcuno che ti racconti la sua storia, hai trovato la persona giusta. La mia vita è come un grande romanzo, come un film, e infatti a un certo punto quelli di Mediaset ci volevano fare una fiction. Qualche anno fa stavo lavorando con certi produttori di Roma, e uno di questi fu talmente colpito dalla mia storia che decise di farci un libro. Io raccontavo e lui scriveva, abbiamo passato mesi facendo questo. La cosa veniva bene, perché c’era tutto: la storia di uno che viene salvato dalla musica; l’azione, di quando ero giovane e faceva ’e bbanche; la storia d’amore, e il lieto fine che piace a tutti. Poi il nostro rapporto di lavoro finì, e pure quest’idea è morta. È un peccato. Il libro era arrivato a metà, e non è un progetto che da solo riesco a portare avanti.
Sono nato a San Giovanni a Teduccio, nel rione Villa. A scuola ci sono andato fino alla terza media, andavo anche abbastanza bene, in italiano soprattutto, mi piaceva scrivere. Sono stato bocciato una sola volta, in prima media, perché non riuscivo a stare fermo; ma proprio da adolescente, agli inizi degli anni Ottanta, cominciai a fare reati: facevamo i motorini, le autoradio, roba a livello di microcriminalità, che ci lasciava pure più esposti quando era il momento di pagare. A San Giovanni non c’era niente, né una persona né una cosa che ti potesse far ragionare, ed evitare di pigliare quella strada. Così so’ finito al Filangieri, il carcere minorile, per un’autoradio. Di quel periodo mi sono rimaste le cassette che registravo a casa, cantando le canzoni classiche napoletane e quelle neomelodiche di allora, Nino D’Angelo e Pino Mauro soprattutto. Imparai pure un poco a suonare il pianoforte, mia mamma mi comprò una tastiera, e ho cantato a qualche matrimonio. Però mai seriamente.
Al Filangieri ci sono stato solo otto giorni, anche se mi bastarono e avanzarono. Poi nel1986 misono sposato con quella che è ancora mia moglie: Danila, una donna eccezionale, che ha avuto un sacco di sofferenze per causa mia, e che quando sono stato dentro andava facendo i servizi per le case. Fu lei che mi fece mettere a lavorare. Ebbi, tramite suo fratello, un posto alla Findus. Lavoravo sui camion, però la cosa durò sei mesi perché il lavoro calò, e me ne cacciarono. Mi ero comprato pure la macchina,la Golf, e se la rubarono proprio fuori allo stabilimento di Gianturco, ci rimasi una merda. Comunque persi il lavoro, a quel punto però mia moglie era incinta, e qualcosa mi dovevo inventare. Con la liquidazione dei miei genitori aprimmo una pizzeria a Barra, ma non decollava, e dopo meno di un anno chiudemmo. In quel periodo stavamo a casa di mia mamma, e decisi che quella vita non la potevo fare. Così cominciai a fare le banche.
Lavoravamo soprattutto al nord, a Firenze, a Bologna, e le rapine fruttavano bene. Dopo un bel colpo pigliavo e me ne partivo: la Spagna, che ho girato tutta quanta, e l’Olanda. Mi pigliavo un aereo e capace che me ne stavo un mese ad Amsterdam. A mia moglie dicevo che era per lavorare, per chiudere degli affari, perché in effetti in Spagna tenevo molti amici che facevano il commercio con le giacche, le pellicce. Però poi finiva a belle donne e cocaina, di lavorare non volevo saperne. Con la cocaina tutto sommato ho avuto un buon rapporto, nel senso che ho sempre comandato io, sono riuscito a non farmi mettere i piedi in testa. Alla fine però ho pagato, per due rapine fatte nel ’90 e nel ’93 a Bologna. In un primo momento mi avevano sospeso la pena, ma mi vennero a pigliare proprio quando mi ero rimesso in carreggiata. Mi ricordo che una prima volta vennero nel ’96, che stavo a casa dei miei. Io me ne scappai, perché pensavo che erano venuti a prendere me. Scappando successe che mi stroppiai, caddi e mi ruppi tutti e due i piedi, calcagno destro e calcagno sinistro. Quando i poliziotti mi acchiapparono e mi identificarono, dissero: “Guarda che sfaccimma ê cumbinato, Coppola! Noi non cercavamo manco a te, eravamo venuti pe’ frateto!”. A quel punto vatti a operare al Loreto Mare, fatti sei mesi di sedia a rotelle, e nel frattempo cominciavo a vedere che i miei figli stavano facendo delle amicizie che non mi piacevano. Uno come me, nella famiglia, basta e avanza. Allora ho preso tutti quanti e siamo venuti qua, a Pollena Trocchia. Mentre stavamo qua, nel ’99, mi arrestarono. Quando successe avevo cominciato a lavorare con un commerciante di fiori a Pescara. Per la prima volta si guadagnava tanto, e pulito. Avevo affittato pure casa a Pescara, ma mi arrestarono proprio nei giorni che stavamo portando i mobili là sopra. Quella è stata la grande ingiustizia della mia vita. Mentre stavo cercando di far campare la mia famiglia onestamente arrivò la sentenza, e mi sono dovuto fare cinque anni. Da un lato, alla fine, potrei dire che è stata una specie di fortuna, perché in carcere ho riscoperto la musica, ho scritto la canzone per mia figlia Nancy, e da lì è nato tutto quello che ora mi sta permettendo di campare. Però il carcere è troppo brutto, me ne sono fatti dieci diversi, e sono stati cinque anni di inferno.
By maurizio amico tuo fraterno di roma March 26, 2015 - 6:56 pm
ciao carissimoangelo ne sono passati di anni sono in spagna e ti mando un caro abbraccio a te etutta la tua famiglia