Entrando in quel flusso continuo, sanguigno, che è il mondo delle migrazioni, cercando di esaminarne le vie principali e le diramazioni secondarie, le influenze che produce sui corpi nazionali nei quali si innesta e le modalità di reazione di questi stessi corpi alla stimolazione, mi si pone un domanda: abbiamo noi, corpo-Italia, bisogno di un nemico? Un’entità più debole da incolpare per i problemi più vari?
Nell’India del XIX secolo, Rudyard Kipling scriveva una poesia, “Il fardello dell’uomo bianco”, in cui la colonizzazione veniva considerata come processo necessario che l’uomo europeo portava avanti al fine di civilizzare le brute popolazioni asiatiche e africane. In questa visione le popolazioni indigene erano non solo più deboli, o inferiori, culturalmente parlando, ma anche colpevoli in prima persona di ciò. Oggi, nel mondo post-coloniale, o piuttosto nel mondo sottoposto ad altri tipi di colonizzazione, cosa succede? Oggi noi sappiamo che sono milioni le persone che per problemi economici, per motivazioni sociali, personali, politiche o religiose hanno la necessità di lasciare il proprio paese. Lo sappiamo perché in alcuni casi siamo stati noi stessi a causare l’insorgere di tali problemi, siamo consapevoli della naturalezza di ciò e loro, gli emigranti, altrettanto naturalmente, per quanto possano decidere nei loro spostamenti di spargersi nel mondo intero, sanno anche che tra le tante destinazioni ci sono anche i nostri paesi. Poiché di questo stesso globo, siccome non siamo ancora riusciti a separarcene per mitosi, facciamo parte.
Se insomma è pacifico essere, al pari degli altri paesi, terra d’immigrazione, dovremmo chiederci come ci comportiamo con chi arriva qui? Io sostengo in maniera quantomeno ostile. Per fare un esempio tra tutti pensiamo al termine “clandestino”, con il quale molti media e parte dell’opinione pubblica definiscono gli immigrati, parola diventata, nel tempo, sinonimo di “malvivente” o nel migliore dei casi di “scansafatiche”.
L’ostilità non si ferma però soltanto al vocabolario, ma continua sotto spoglie differenti. In Italia una di queste la chiamiamo “accoglienza”. Far scendere il “clandestino” dal barcone con il quale è arrivato per spedirlo in una struttura lontana chilometri da ogni centro abitato, zeppa di insetti e parassiti (il CARA di Roma ne è la prova), fornendogli cibo che non hanno mai mangiato prima d’ora (la famosa integrazione deve pur cominciare da qualche parte), e garantendogli un’assistenza legale e psicologica (se si scappa da una situazione di pericolo se ne avrà pur bisogno), ecco fare tutto ciò mi sembra, e credo sembrerà a tutti, alquanto ostile nei confronti di qualcuno che invece pronuncia una delle parole più antiche e semplici del mondo: “aiuto”.
Altri esempi sono la tassa per rinnovare il permesso di soggiorno (se pensate che un immigrato paga duecento euro per un permesso di cinque anni, considerate che noi dovremmo allora pagarne il doppio ogni qualvolta rinnoviamo la carta d’identità), o il trattamento di chi si trova a lavorare nelle campagne italiane tra baraccopoli e sfruttamento della manodopera. Ma cosa succede se non ottengo o non riesco a rinnovare i documenti? Naturalmente divento uno straniero irregolare. Per capire di cosa parliamo basterebbe anche solo immaginare le migliaia di migranti costretti a nascondersi come ladri, per l’unica colpa di non avere i documenti in regola, a causa della paura di esser fermati da polizia e carabinieri. Nonostante gli accorgimenti, se si viene scoperti quello che accade è l’esser portati davanti a un giudice di pace, che per sua unica volontà spedisce lo straniero irregolare in un centro d’identificazione ed espulsione dove, privato della propria libertà, rimpinzato di psicofarmaci, isolato nei confronti dell’esterno, sarà costretto ad aspettare di mese in mese la fine di una detenzione ingiusta che può durare fino a un lunghissimo anno e mezzo. Una sopraffazione, una inumanità, una violenza, che qualcuno si ostinerà, ancora, a chiamare accoglienza. (marco stefanelli)
Per saperne di più sull’ostilità dell’accoglienza italiana e sui centri d’identificazione ed espulsione ascolta l’ultima puntata di Passpartù.