da: Repubblica Napoli del 10 aprile
L’obiettivo operativo 1.10 del Por Fesr 2007-2013 della regione Campania ha un bellissimo titolo, “La cultura come risorsa”, davvero centrato per una regione che sforna talenti nel campo artistico e culturale che affermano nel mondo i valori di questo territorio. Ci si aspetterebbe che la ricaduta di queste belle parole fosse un pullulare di iniziative e progetti utili a connettere in modo intelligente ed efficace giovani talenti e strutture, tradizione e innovazione, capitale sociale con luoghi e distretti. Al contrario, la quasi totalità delle ingenti risorse disponibili continuano a essere destinate a grandi eventi e festival. Non entro nel merito delle scelte, che in non poche occasioni ho già avuto modo di discutere anche su queste pagine, ma oggi, arrivati al 2015 inoltrato, mi si consenta una semplice domanda: in Campania, che ne avete fatto del cinema?
Mentre si assegnava l’Oscar a Sorrentino, brillavano di successo alcuni film e serie televisive totalmente girati in Campania, ricevevano riconoscimenti in Italia e all’estero una quantità di giovani autori e produzioni indipendenti del cinema del reale, si affermavano inaspettati film come Smetto quando voglio, e Alessandro Rak otteneva l’European Award per l’animazione, la Regione Campania emanava il suo ultimo bando per il fondo di coproduzione regionale nel lontano 2009. Poi più nulla. Credo si possa annoverare come caso unico al mondo, un soggetto di governo e di programmazione territoriale che non fa tesoro immediato di una così straordinaria risorsa endogena. Come avere una miniera di diamanti sotto casa e non coltivarla. Anzi, con istinto autolesionistico, si opera al rovescio, mancando perfino di assicurare gli strumenti adeguati alla stessa Film Commission regionale, che con due operatori (due) e nessuna risorsa, riesce incredibilmente a fare un lavoro eccellente.
Un comportamento che dimostra come anche il sostegno a un’esperienza come quella di Giffoni è destinato a rimanere un’azione isolata, se non riesce a diventare un modello operativo per la politica regionale. Altre regioni — ultima l’Emilia Romagna lo scorso anno — si sono dotate di una legge per il cinema molto semplice e chiara, che considera strettamente connessi, come infatti sono, i diversi ambiti di questo unico grande comparto industriale che si presenta sempre di più come strategico per le politiche pubbliche. Basterebbe qui, come si è fatto altrove (ovunque?), esaminare a fondo quel mosaico composto da quattro parole chiave per il cinema: formazione, sviluppo, produzione, promozione.
È triste rivangare episodi dolorosi, ma qui l’unico esperimento tentato di formazione nel cinema risale alla misteriosa e fallimentare vicenda della scuola del documentario di Città della Scienza, che non ha lasciato traccia di sé, nonostante la considerevole mole di denaro speso, esattamente come l’incredibile storia degli studios, pure questi destinati a Bagnoli. Lo sviluppo, ovvero la crescita di nuovi autori e progetti, anello principale del percorso di creazione filmica, è un concetto non pervenuto, laddove in Europa è riconosciuto come fondamentale dal programma Media. E il sostegno alla produzione vede un ormai mitico bando annunciato e mai pubblicato, oggetto di critiche e illazioni (seppur sempre riservate…).
Infine la promozione, quasi mai intesa come diffusione della cultura del cinema (la sua storia, la sua qualità, i suoi autori, i mondi che si attraversano) e formazione del pubblico – come la intende chi opera nella realtà sociale portando al cinema ogni giorno persone vere, cittadini – ma come un’ulteriore ghiotta opportunità di distribuire denaro senza andare troppo per il sottile, perché solo l’immagine conta; con un unico target: gli avventori di kermesse pensate come passerella di star e assessorame vario con l’umiliante motivazione dell’attrattività turistica. Ci ho pensato molto in questi giorni trascorsi a Lisbona, dove un’associazione di giovani organizza un festival di cinema italiano (otto giorni di proiezioni con oltre duemila presenze al giorno) in una magnifica struttura anni Cinquanta acquisita dal comune e recuperata a fini culturali. Un altro pianeta, se pensiamo che negli stessi giorni il presidente Caldoro presentava in pompa magna il festival (ebbene sì, un altro) Youfilmaker. Con tutto il rispetto, l’evento ha ricevuto centocinquantamila euro di finanziamento pubblico per tre giorni e attività in otto scuole, proponendo un’idea di cinema fatto con i ragazzi che, per esempio, a Ponticelli con i Movielab si realizza dal 1995, con un budget annuale pari a un decimo e una infinità di corti prodotti. La stessa esperienza costruita da Gubitosi a Giffoni insegna che la valorizzazione del nostro “ordinario” patrimonio di talenti, paesaggi, idee, creatività, storia non passa solo per l’evento, ma deve fondarsi su un percorso sistematico che si concretizza in strutture materiali e immateriali.
Invece noi tolleriamo di non avere ancora in una città come Napoli uno spazio pubblico dedicato al cinema, con una cineteca e sale di proiezione, dove incontrare mondi, autori, cinematografie, dove parlare di cinema, senza il vincolo commerciale come unico parametro per fare e far vedere film.
Insomma, ora che si apre l’ennesimo nuovo ciclo di governo regionale, c’è da augurarsi che qualcuno si ricordi di mettere mano a un sistema serio di regole e risorse per il cinema, essendo passata invano la quarta consiliatura da quando alcuni di noi – eravamo giovani – credettero nella ragionevole forza culturale, economica, civile di un’arte affascinante e complessa che potrebbe dare molto di più alla nostra terra e al mondo. O saremo irrimediabilmente vecchi quando finalmente ci sarà una legge sul cinema in Campania? (antonella di nocera)