Alle ore undici scendono in campo due squadre senza motivazioni. Su un desolato prato indoor della bassa Irpinia l’aria è pesante. A fine novembre fuori ci sono ventisei gradi, dentro è una serra. I primi cinque si riscaldano aspettando gli altri, senza correre: quattro sono accaniti fumatori, fuori forma e fuori controllo, l’altro pratica nuoto e sembra l’unico con intenzioni serie. Dopo cinque minuti di tiri imprecisi il fiato è già spezzato e non si ricomporrà prima di tre ore, a giochi già fatti.
Le formazioni. Da una parte un tecnico di messa in onda – messo in porta; difesa composta da un post-produzione, un giornalista e un tele-cineoperatore; in avanti il classico amico cooptato per il numero legale. Dall’altra, in perfetta forma e con le magliette dello stesso colore: un regista (relegato tra i pali), l’editore, i due commerciali e di punta Bruno Giordano, centravanti del Napoli tricolore.
«Domani alle undici di mattina giochi a pallone».
«Dai, sono a pezzi, sono raffreddato, poi sono di turno di pomeriggio, non mi va di venire tanto prima».
«Non hai capito, non te lo sto chiedendo. Ha organizzato l’editore, ha fatto il tuo nome, quindi giochi».
«Ho capito».
Le squadre le ha fatte proprio lui, l’editore che gioca a calcio a cinque, è sposato, ha un fisico asciutto e non fuma. Avere contro Giordano significa condannarci alla sconfitta, e questo è chiaro a tutti. Anche gli altri tre si rivelano buoni giocatori. Qualcuno mormora prima del calcio d’inizio: «Non è giusto, da questa parte nessuno ha vinto scudetti!». Un appello che resterà inascoltato.
La squadra dei dipendenti macina però un buon calcio. Obbligati dalla precaria forma fisica a una maggiore attenzione nel possesso della palla, i subordinati dimostrano ottime abilità nel palleggio. Si gioca con il compagno vicino, a due tocchi, e Bruno Giordano non ritiene opportuno portare pressing. In avanti fa movimento il nuotatore, che riesce a far avanzare la difesa di qualche metro, quanto basta per sfiancare l’intero reparto. I padroni vanno sotto di due, poi tre gol. L’editore comincia a impegnarsi, e ne deriva una certa foga agonistica che la difesa dei sottoposti scarica a suon di calci sui commerciali, preservando però l’integrità del capo e del suo scudettato amico.
I commerciali sguigliano, sfuggono come capitoni cercando il dialogo, gli uno-due mandano in confusione le buste paga e il match s’incattivisce. I notabili recuperano e pareggiano. Siamo a metà partita. Maradona e Careca non ci sono, ma Giordano sembra a suo agio. Si muove in punta di piedi ed evita con grazia tutti gli ostacoli. Tenta un tunnel ai miei danni, ma come si permette? Fermato. Torno al mio posto come Alemao al centro Paradiso.
La cappa che si crea sotto il telone soffoca tutti. I fumatori cominciano ad ansimare. I tocchi si fanno via via più imprecisi, l’azione offensiva non viene più accompagnata. Giordano salta netto il portiere, tiro debole, sulla linea salva el Trinche in scivolata. È il classico momento di gloria, e l’ultimo allungo della gara: mancano venti minuti e sta andando come l’avevamo studiata. Ma per perdere venti minuti bastano, e quando l’editore capisce che gli stipendiati stanno esalando gli ultimi respiri allunga la falcata. Lo fa due, tre volte e capitoliamo. Rincorrendo uno dei quadri direttivi vado incontro al mio destino. Resto a terra, sento le fibre rattrappirsi e il cuore battere forte. Li chiamano crampi. Giordano spinge la punta del suo piede contro il mio, la gamba si rilassa e finisce qua: al primo accenno di fair-play è giusto andare via.
Dopo una lunga doccia inizierà il turno di lavoro. Ciascuno racconta il proprio calcio sugli stinchi dei commerciali, ma all’uscita quegli stinchi presentano il conto. Cappotto grigio e panciotto, cravatta multicolore, il barcollante commerciale guarda me e sputa livore: «Ti lascio lo scontrino, sono andati tutti via. Pagate voi e poi vediamo». (el trinche)