«Ci stanno trattando in maniera davvero crudele. Avevo un mal di denti terribile ed erano diverse settimane che chiedevo un medico. Alla fine mi hanno portato in ospedale quando ho iniziato a sanguinare dopo essermi tolto il dente da solo». Questa parole, dure, sono state pronunciate da una persona non rinchiusa nelle galere sud-africane durante l’apartheid, quando bastava entrare nei quartieri dei bianchi per essere arrestati, ma pochi mesi fa, in Grecia, quando per esser detenuto nei centri per migranti bastava avere il colore della pelle sbagliato.
Era l’estate del 2012 e il governo greco bandiva l’operazione Xenios Zeus. In pochi mesi oltre ottantamila persone vennero fermate e arrestate soltanto perché ritenute “non greche”.
Christian Ukwuorji e Hyun Young Jung erano due turisti, il primo afroamericano il secondo coreano, entrambi fermati e arrestati dalla polizia greca a causa del colore della pelle o della forma degli occhi. Naturalmente a loro la libertà è stata ridata in breve tempo ma non è stato così per migliaia di altre persone che migranti, regolari o meno, lo erano sul serio. A rivendicare la loro immediata scarcerazione non c’è stata nessuna ambasciata e così, nel silenzio dei media europei, mentre commissariati e altre strutture in disuso venivano trasformati in centri di detenzione per migranti, migliaia di questi venivano quotidianamente arrestati e trattenuti, per mesi.
Le leggi europee parlano di un periodo massimo di diciotto mesi per la detenzione dei migranti irregolari, in Grecia. Questo limite, denunciano da più associazioni e ONG, è stato abbattuto e i normali fermi si trasformano in ergastoli potenziali.
Già la testimonianza iniziale e le poche righe di corredo basterebbero a descrivere la situazione del paese. Ma queste parole ne rilanciano altre e la denuncia della violazione dei diritti umani più elementari non può esser liquidata in così breve spazio.
I tempi di detenzione illimitata, l’assenza di cure e assistenza legale, l’illegalità degli arresti, tutte queste cose basterebbero ad annientare le menti di un qualsiasi essere umano, resta il problema di come disfarsi dei corpi, scrigni di un pensiero ormai sfatto. La Grecia ha pensato anche a questo. «Il centro di detenzione di Komotini non è un posto buono nemmeno per gli animali. I bagni sono rotti. Le deiezioni, gli escrementi, cadono dai bagni del primo piano in quelli del piano terra». Quest’altra testimonianza racconta più di mille articoli di giornale.
È Medici Senza Frontiere ad averla raccolta, come l’altra, nel suo ultimo rapporto “Invisible Suffering” nel quale accusa il governo ellenico di causare, con queste condizioni di detenzione, il diffondersi di malattie gravissime tra i migranti, solo per fare un esempio, l’ultimo, l’epatite B, C e l’HIV. E infatti non ci si può aspettare di meno quando per un’intera cella, nella quale vivono persone di cui non si conosce la cartella clinica e le eventuali patologie, si dà un solo rasoio per radersi. Omicidio colposo? Ci siamo vicini.
Al termine di questo breve viaggio in un inferno di cui persino Dante sarebbe riuscito a immaginarne solo una parte, viene naturale chiedersi il perché di tutto questo. È ancora ai diversi rapporti di ONG e associazioni per il rispetto dei diritti umani che bisogna guardare per trovare una risposta plausibile. Una risposta che per molti è da ritrovarsi in un tentativo di scoraggiamento dei migranti con l’obiettivo di spingerli a chiedere il rimpatrio volontario nei propri paesi oltre che, naturalmente, la volontà di impaurire i possibili migranti di domani. Ma ciò che appare più sconcertante è che, mentre tutto questo avviene, l’Europa rimane muta, e anzi probabilmente gongola di aver ben speso le decine di milioni di euro che annualmente sborsa alla Grecia per il controllo delle proprie frontiere. (marco stefanelli)
Per saperne di più sui centri di detenzione greci ascolta l’ultima puntata di Passpartù.