“Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando tra loro e celebrano una festa di ritrovamento.” (Umberto Eco)
La festa, stavolta, è ambientata nella tundra siberiana, dove ritroviamo, dopo il naufragio del Titanic, la Sciarappa’s band quasi al completo. Nella terza (e ultima?) puntata, Sciarlotta, Karamazov e il maestro Lapezza lavorano a un nuovo spettacolo per conquistare il pubblico siberiano. Rimpiangendo Paraustiello, avvolto dai flutti, e accuditi da una smemorata domestica russa, i nostri lavorano alla pièce in attesa che Sciarappa padre mandi rinforzi alla truppa. Le prove sono accompagnate dall’orchestrina della Tundra – violino, clarinetto e fisarmonica – e procedono a rilento fino all’arrivo di un misterioso personaggio, C.K., che con un notevole colpo di scena si rivela nientepopodimeno che Ciro Karamazov, fratello dell’omonimo – di cui diventerà rivale in amore – ed ex capitano Sichei, della sventurata crociera tra i ghiacci (seconda puntata).
L’originale soluzione scenografica di Peppe Cerillo permette, in uno spazio raccolto come quello del Piccolo Bellini, di intravedere un backstage che è in realtà la scena offerta all’immaginario pubblico sovietico. La sceneggiatura di Sara Sole Notarbartolo riprende il linguaggio della sceneggiata napoletana anzi ci si tuffa a corpo libero, appropriandosi sia dei suoi schemi narrativi (isso, essa e ‘o malamente) sia del pathos interpretativo dei suoi personaggi, amplificandoli, esasperandoli, sconvolgendoli, riadattandoli alla sua idea – assolutamente contemporanea – di tragedia della commedia.
La parodistica costruzione drammaturgica che ne deriva, irride in primo luogo i più longevi topoi della migliore tradizione soap operistica (le scatole cinesi di “in realtà sono tuo figlio” e “non ci crederai ma tua madre sono io!”) accentuandone i moduli trash; per altro verso, nella serialità delle agnizioni, richiama il teatro comico primordiale, quello di Plauto per intenderci, evidenziandone le intramontabili e infinite possibilità ancora vitali.
La vis comica, a tratti dirompente, è originata con tutta evidenza dall’ingresso di Sichei (Rosario Giglio), maestro nel dettare tempi e ritmi in scena; arte di cui si giovano coralmente tutti i protagonisti: in particolar modo la meravigliosa sciantosa Sciarlottella (Valentina Curatoli) e, soprattutto, Karamazov, ancora più efficace e sicuro per la ricomposizione del più antico schema – spalla/comico – che raggiunge il suo acme proprio sulle note di “I figli…so’ piezze ‘e core”.
Rispetto alla seconda puntata (perfetta per genialità della sua scrittura scenica, direzione e interpretazione) ci sono meno virtuosismi, ma sempre bravissimi e coinvolti risultano tutti gli interpreti, tra cui la poliedrica Antonella Romano e il puntuale maestro Davide D’Alò.
I Posteggiatori tristi, “Isso, Essa e Karamazov”, Piccolo Teatro Bellini. (brunella basso)