Il pareggio di ieri sera regala al Napoli l’accesso a due finali e la sicurezza di partecipare a una competizione europea la prossima stagione. Toglie, inoltre, ansia a un finale di stagione che rischiava di essere al cardiopalma, considerando l’attuale posizione di classifica della squadra. Questa semifinale di ritorno di Coppa Italia evidenzia, però, anche una serie di paradossi di cui la società e la squadra sono prigioniere.
Uno. La gestione De Laurentiis. Nei dieci anni sotto la nuova presidenza, gli investimenti che la società ha effettuato sono derivati quasi interamente da una gestione efficace degli utili. De Laurentiis, in sostanza, da quando ha rilevato il marchio SSC Napoli (per pochi spiccioli), ha molto raramente messo mano al portafogli. Ciononostante, complice un livello enormemente calato della serie A rispetto almeno agli ultimi cinquanta anni, lo stesso De Laurentiis può già vantarsi di essere uno dei presidenti più vincenti della storia azzurra.
Due. La stagione 2014-15. Per una serie di ragioni non solo tecniche, il Napoli ha reso quest’anno al di sotto delle proprie possibilità. Questo non ha impedito agli azzurri di raggiungere la decima finale di Coppa Italia nella sua storia, la possibilità di giocarsi la Supercoppa, l’accesso all’Europa. A dispetto di una annata ricca di tribolazioni, la stagione del Napoli è ancora da considerarsi positiva.
Tre. Benitez. L’allenatore spagnolo ha da tempo perso il controllo della situazione. La squadra non segue più (ammesso l’abbia mai fatto) le indicazioni del tecnico, che fatica a porre rimedio nel corso delle partite a uno stato di forma scadente e agli evidenti limiti della rosa. Rafa però si conferma “re di coppe”, avendo conquistato quest’anno la Supercoppa a Doha, e trovandosi in corsa per due finali (Coppa Italia e Europa League).
Quattro. Hamsik. Capitano, leader, e giocatore con la maggiore cifra tecnica in campo. Il Napoli, però, gioca da due anni senza di lui. La piazza attribuisce la sua latitanza alle modifiche tattiche della gestione Benitez (ma in realtà lo slovacco gioca solo qualche metro più in avanti rispetto agli schemi di Mazzarri); qualcun altro all’infortunio che ne ha interrotto l’anno scorso una stagione iniziata positivamente. Fatto sta che quello del numero diciassette è un caso da risolvere, il cui rumore è attutito solo parzialmente dai risultati raggiunti dalla squadra.
Cinque. Gargano. Emblema di una serie di sessioni di mercato inconcludenti è il ritorno in campo dell’uruguaiano. Un calciatore che in novanta minuti è capace di sbagliare più di tre quarti dei passaggi effettuati (per questo due anni fa non fu ritenuto all’altezza della squadra azzurra), e che pure, a dispetto dei suoi limiti tecnici, è indispensabile per l’equilibrio tattico in campo. Soltanto grazie al suo dinamismo, lo sfasciato centrocampo azzurro – perennemente in inferiorità numerica – riesce a mascherare una parte delle proprie carenze, e a rendere la squadra qualcosa di vagamente simile a una formazione di calcio. L’assenza in rosa di centrocampisti di qualità e di difensori centrali affidabili, è un motivo ricorrente da almeno tre stagioni. Soltanto la società sembra non accorgersene.
Sei. I gol subiti. Nella serata più importante, il Napoli passa il turno mancando cinque nette occasioni offensive e qualificandosi quindi soprattutto grazie all’inedita capacità di non incassare reti (nonostante i soliti marchiani errori dei difensori).
Sette. Il portiere. Se gli azzurri si qualificano è anche grazie alla bella parata di Andujar a dieci minuti dal fischio finale. Questo non fa dimenticare, però, che il Napoli ha perso almeno nove punti (solo in campionato) grazie alle incertezze dei suoi estremi difensori, e che la sua porta è attualmente difesa da un calciatore che ha sempre militato, in Italia, in squadre di bassa classifica. Facendo spesso la riserva di portieri come Guardalben, Santoni, Agliardi, Frison, Rafael.
Otto. Il vivaio. Nonostante i pochi minuti giocati, il migliore in campo per gli azzurri è stato Lorenzo Insigne, che ha sfiorato l’eurogol con una serpentina esaltante. Fatta eccezione per il fantasista di Frattamaggiore, e a dispetto delle chiacchiere del presidente sulla cantera o “scugnizzeria”, il Napoli non è in grado di sfornare alcun giovane pronto per essere lanciato in prima squadra. Anzi uno ce n’era: Marcello Trotta, passato nel 2008 dalle giovanili azzurre a quelle del Manchester City (si narra che il Napoli non volle assicurargli un pulmino per gli allenamenti, che coprisse il tragitto da Santa Maria Capua Vetere a Castelvolturno).
Sarebbe stato questo, l’unico articolo possibile da scrivere fino al minuto settantanove, quando il Napoli ha incassato il gol di Lulic ed è stato eliminato dalla Coppa Italia, toppando il secondo obiettivo stagionale su quattro. Ma otto paradossi sono troppi, e nella vita non ti può sempre andar bene. Gli azzurri pagano così in un colpo una guida tecnica divenuta progressivamente delirante, l’ennesimo mercato da zona retrocessione, una società disorganizzata e attenta solamente al marketing o a riempire le proprie casse. A questo punto l’addio di Benitez sembra scontato e inevitabile, ma per il tifoso-tifoso (principale antagonista del tifoso-ragioniere, quello attento ai bilanci e agli investimenti della società, come se questa prelevasse i soldi del suo sudato stipendio) si prospettano altre lunghe stagioni di limbo. Guardando le solite squadre in vetta al campionato, e accontentandosi ogni paio d’anni di vincere una Coppa Italia. (riccardo rosa)