Ruggine è il primo extended play dei napoletani Muri di carta. Il disco, autoprodotto, contiene quattro tracce, tutte scritte da Alessio Mirarchi (voce del gruppo) fatta eccezione per Mio simile, il pezzo che apre i live e che è una rivisitazione di Al lettore, poesia-prologo dei Fiori del male di Baudelaire.
Il gruppo lavora con questa formazione da nove mesi, ma i suoi componenti attuali suonano insieme da almeno quattro anni. È stato questo il tempo necessario per trovare il giusto equilibrio, prima tra i suoni e in una seconda fase tra le tracce finite nell’album. Ne viene fuori un buon disco, elaborato e registrato in uno dei dieci box-studio dove, nel sottosuolo di piazza Nazionale, circa venti gruppi musicali cittadini cercano quotidianamente di concretizzare il proprio lavoro, provando sotto due metri di cemento armato il loro jazz, rock, metal, o folk. Il risultato, in questo caso, è apprezzabile: nell’originalità, nella pulizia del suono e nell’efficacia dei testi.
Sulle sonorità elettroniche e noise della band (Alessia Della Ragione al basso, Francesco Giangrande alla chitarra e al sintetizzatore, Maurizio Piscopo alla batteria), decisivi sono gli interventi della voce narrante di Mirarchi, che si incastra tra le note della formazione raccontando storie. È in questo senso emblematica la scelta di aprire le esibizioni (e il disco) con l’adattamento di Baudelaire: le storie che i quattro raccontano – esattamente come nel testo del poeta francese – sono storie dimenticate. C’è quella del giornalista e critico musicale pugliese Pierpaolo Faggiano, organizzatore per anni di un importante festival indipendente di musica jazz a Ceglie Messapica, in Puglia, morto suicida a quarantadue anni; oppure quella dei minatori dello Yorkshire che tra il 1984 e il 1985 diedero vita a un lungo e duro sciopero, represso dal governo di Margaret Thatcher, la quale non esitò a paragonarli agli invasori argentini delle isole Faulkland. Ritratti, quelli dei lavoratori del profondo nord inglese, ispirati alle letture del romanziere David Peace, che colpiscono per la forza narrativa e che sembrano cuciti addosso alle atmosfere evocate dalla musica del gruppo. In altre, per esempio Architettura ostile, è la capitale britannica a diventare cornice per il racconto della morte di Pawel Koseda, trentottenne senzatetto polacco, trovato impiccato lo scorso gennaio in uno degli angoli più ricchi della City. Il brano diventa così spunto per una riflessione sul rapporto deteriore tra territorio e individuo, tra città e cittadino, tra uomo e ambiente urbano, efficacemente coadiuvata, durante le esibizioni, dal breve video del tedesco Fabian Brunsing.
Queste ultime due tracce, purtroppo, non fanno parte dell’album (uscito agli inizi di questo mese), in quanto parte di un processo di elaborazione musicale che il gruppo ha ancora in corso, e che potrebbe culminare, attraverso un lavoro capace di limare qualche ridondanza stilistica, in un disco più lungo e completo, ancora più efficace di questo interessante esordio. (riccardo rosa)