
“Ci siamo guardati in faccia, erano le sei del mattino, non c’è stato neanche bisogno di dire: che facciamo? Ci siamo seduti a terra e abbiamo bloccato la strada”. Sono le parole di Alessandro, tra gli oppositori al cantiere per la costruzione del tratto salentino del Trans Adriatic Pipeline (TAP), controversa infrastruttura per il trasporto di gas dall’Azerbaijan all’Italia. A raccogliere la testimonianza è Paola Imperatore in un articolo del 2019 per Lo stato delle città.
Il desiderio di incontrare chi si oppone a grandi opere dall’elevato impatto ambientale ha portato la studiosa e attivista ad attraversare l’Italia per anni, trascrivendo voci, annotando osservazioni, prendendo parte alla quotidianità di chi lotta. “È questo l’entroterra abruzzese, bellezza distrutta e in abbandono […]. Ogni sabato gli abitanti e le abitanti si recano a Casa Pente: chi pota […], chi raccoglie rami e foglie da terra, chi mette un po’ di musica per accompagnare il lavoro. Nina […] si arrampica come sempre sugli alberi, mentre qualcuno passa per portare del caffè e la propria solidarietà. È importante per chi si oppone a SNAM costruire centri di aggregazione, dire alle controparti, con la propria presenza, che il territorio è di chi lo vive […] e non di chi vuole metterlo a profitto”. Così racconta per Monitor (2020) la protesta contro il metanodotto “Rete Adriatica” di SNAM che dalla Puglia dovrebbe arrivare alle porte di Bologna.
L’osservazione ravvicinata di campagne di protesta territoriale contro grandi opere, non solo energetiche, ha portato Imperatore a elaborare un’analisi attraverso gli strumenti di un filone delle scienze politiche attento alle forme del conflitto, alle pratiche di lotta e alle interazioni tra movimenti e istituzioni (“interazionismo strategico”), unito alla prospettiva dell’ecologia politica. La riflessione è confluita nel libro Territori in lotta. Capitalismo globale e giustizia ambientale nell’era della crisi climatica pubblicato la scorsa primavera da Meltemi e ancora al centro di numerose occasioni di dibattito.
L’autrice indaga sei casi, richiamando attori, strategie, poste in gioco, rappresentazioni e geografie all’interno dei capitoli dedicati ad alcuni temi trasversali: l’organizzazione e le successive riarticolazioni del conflitto da parte delle comunità locali, le frizioni e le possibili alleanze con i lavoratori delle grandi opere, la relazione tra movimenti e istituzioni (e tra queste e le grandi aziende), la narrazione mediatica delle proteste e infine la rilevanza di lotte ambientali situate in territori specifici per contrastare la crisi climatica globale.
Oltre alle campagne di protesta contro TAP in Salento e SNAM (Rete Adriatica) in Abruzzo, Imperatore indaga le lotte contro altre due grandi infrastrutture dall’elevato impatto sull’ambiente e sulla salute a livello locale: la campagna No Tav Terzo Valico tra Genova e Tortona e quella contro il Mobile User Objective System (No MUOS) a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Oltre all’opposizione a interventi infrastrutturali, Territori in lotta analizza il contrasto a due industrie estrattive fortemente inquinanti attraverso la campagna No Cave nelle Alpi Apuane e quella contro le Grandi Navi nella laguna di Venezia.
Tra i temi sollevati, uno dei più rilevanti, soprattutto alla luce dell’accelerazione avvenuta nel corso degli ultimi due anni rispetto al tema dell’energia e con lo stanziamento di fondi PNRR è quello del progressivo accentramento dei poteri e dell’affermarsi di una logica dell’emergenza come strumento di governo delle grandi opere. La tendenza a velocizzare le procedure, riducendo i tempi delle valutazioni di impatto ambientale, la trasparenza delle pratiche e il potere degli enti locali, secondo l’autrice avrebbe avuto inizio già a partire dalla Legge Obiettivo del 2001, per intensificarsi con una sequenza di decreti sempre più fitti, come Sblocca Italia (2014), Genova (2018), Sblocca Cantieri (2019) e Semplificazioni (2020), dei cui rischi aveva scritto per Monitor insieme a Marco Antonelli.
Come mostrano alcuni studi sulle proteste contro grandi opere richiamati da Imperatore, ciò che più spesso influisce sulla mancata realizzazione delle infrastrutture è il disaccordo tra diversi livelli di governo. Per questo, la sequenza di decreti volti a dichiarare opere come TAP e Rete Adriatica “di interesse strategico costituenti una priorità di carattere nazionale” (Sblocca Italia) costituisce uno tra i principali ostacoli all’efficacia di alleanze tra attivisti e governi locali che potrebbero mettere in discussione l’intero progetto. Secondo l’autrice, tali alleanze, seppur fragili, non sarebbero affatto scontate, bensì l’esito di un lungo lavoro di pressione politica da parte delle comunità locali in lotta.
L’accentramento dei poteri e l’accelerazione guidata da dichiarazioni di emergenza, sommati a repressione fisica, economica e giudiziaria di chi lotta per opporsi a grandi opere nocive per la salute, l’ambiente e il clima, sono tra i principali fattori di rischio per la tenuta nel tempo del conflitto. Ma anche qualora la forza della lotta diminuisca e avvenga una “demobilitazione”, Imperatore invita a non banalizzare la lettura dei conflitti solo come sconfitta o vittoria rispetto all’obiettivo centrale della campagna. Infatti, “le mobilitazioni producono effetti a medio e lungo termine spesso difficili da cogliere a una prima lettura”, tra cui per esempio la “creazione di spazi di emancipazione dei soggetti subalterni”.
Facendo riferimento alle campagne No TAP e No MUOS, l’autrice a questo proposito indaga il ruolo molto rilevante eppure poco esplorato delle madri. Una di loro racconta il proprio contributo per arginare la demobilitazione in seguito all’aumento di episodi di repressione: “Molta gente comune si stava allontanando per paura, quindi Mamme No TAP voleva esser un modo per rassicurare le persone che c’erano […] che si poteva stare e fare qualcosa di meno impattante, la cena, la pasquetta, i cortei per la festa della donna […], le passeggiate archeologiche […], i sit-in in spiaggia, le catene umane, proprio per tornare ad avvicinarci tutti […]”. Un’altra donna racconta invece lo spaesamento generato dalla partecipazione delle madri alla lotta No MUOS: “Il blocco dei mezzi fu fatto anche con i nostri corpi e le mamme con le perline mettevamo in difficoltà chi cercava di entrare perché un poliziotto niscemese stesso non si permetteva di prendermi e strattonarmi”. Secondo Imperatore, questo tipo di conflitto, ambientale e territoriale, può creare lo spazio per ridefinire e sovvertire l’idea stessa di maternità in contesti in cui questa è connotata in maniera univoca e, “senza mai nominare il femminismo, farne una pratica”.
Tra gli effetti a medio e lungo termine delle mobilitazioni, anche se concluse, l’autrice include poi “un enorme capitale sociale, politico e tecnico da cui altre lotte possono attingere, quello stesso capitale sociale che ha permesso a queste mobilitazioni di nascere”. L’intreccio tra lotte territoriali contro opere nocive per l’ambiente e movimenti per la giustizia climatica (e antimilitaristi) si fa infatti sempre più fitto, anche in Italia, in seguito alla “portata epocale” degli scioperi per il clima del 2019, come ricorda Imperatore nel suo ultimo volume sull’era della giustizia climatica, scritto con Emanuele Leonardi. È un esempio in questo senso la mobilitazione contro le Olimpiadi Milano-Cortina 2026, in parte erede del movimento No Expo, che, in occasione del primo Congresso mondiale per la giustizia climatica (WCCJ), ha portato all’occupazione temporanea di un luogo simbolo per le lotte ambientali, climatiche e per il diritto alla città a Milano. O ancora, la mobilitazione contro la costruzione della base militare di Coltano, nei pressi di Pisa, alla quale contribuiscono attivisti e attiviste già impegnate in altre lotte ambientali e climatiche e che nei giorni scorsi è culminata con una manifestazione nazionale contro l’escalation della guerra a livello globale. (gloria pessina)