
Un mondo senza galere è possibile (edizioni Malanova) è un testo di Sandra Berardi, pubblicato in questi giorni ma scritto durante la scorsa primavera, quando su alcune questioni, come le morti nel carcere di Modena, o le violenze avvenute nella primavera del 2020 in diverse carceri d’Italia, si ragionava ancora per ipotesi o deduzioni. Alcuni eventi degli ultimi mesi impongono quindi ulteriori riflessioni. Tra questi l’archiviazione per i casi riguardanti otto delle nove morti del carcere di Sant’Anna disposta dalla procura di Modena, e l’emersione dei filmati della “mattanza” nel carcere di Santa Maria Capua Vetere messa in atto da numerosi appartenenti al corpo di polizia penitenziaria su centinaia di detenuti inermi. “Li abbatteremo come vitelli!” è l’espressione usata dagli agenti nelle chat, espressione che racchiude probabilmente l’intera filosofia che guida l’operato degli addetti alla custodia nel nostro paese.
Le immagini di Santa Maria Capua Vetere hanno fatto cadere il velo di ipocrisia che sinora ha coperto la mattanza nelle carceri italiane a seguito delle proteste, ma non solo. Ripropongono le narrazioni ricevute da centinaia di familiari lungo lo stivale, alcune delle quali confluite in diversi esposti (su Milano Opera, Pavia, Voghera, Melfi, Rieti, Bologna, Alessandria), dalle associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti, molte delle quali ancora al vaglio degli inquirenti.
È il caso per esempio della procura di Foggia, a cui l‘associazione Yairaiha, di cui la stessa Berardi fa parte, ha presentato un esposto su delega dei familiari di alcuni detenuti; un esposto consegnato a fine marzo 2020, ma che la procura ha iniziato a vagliare solo a seguito della coraggiosa inchiesta di Bernardo Iovene per Report dello scorso gennaio. Le narrazioni di quanto accaduto a Foggia, confermate nei mesi successivi alla presentazione dell’esposto anche da alcune persone ormai libere, sono univoche e agghiaccianti: la notte del 12 marzo, quindi tre giorni dopo la rivolta, i detenuti di intere sezioni sarebbero stati svegliati nel cuore della notte a calci, pugni, manganellate e insulti; legati mani e piedi con fascette di plastica, proprio “come vitelli da abbattere”, trascinati mezzi nudi lungo i corridoi e scaraventati sui blindati come fossero sacchi di immondizia. A seguire: ancora manganellate, calci, pugni, insulti e minacce lungo il tragitto fino a nuova destinazione, per poi ritrovarsi nel buio di una cella, malconci e privati di tutto, dignità compresa.
Il dossier (scaricabile gratuitamente a questo link) prova a soffermarsi sui rischi e i limiti dell’approccio riformista alle politiche carcerarie. L’inchiesta condotta dall’autrice e la raccolta di testimonianze avvenute nell’ultimo anno e mezzo provano a dare un contributo al dibattito, rileggendo gli eventi avvenuti durante l’emergenza Coronavirus per tornare a ragionare sul superamento delle carceri e sull’idea di un paese, e di un mondo, senza galere.