Lunedì mattina. Una trentina di disoccupati del Movimento 7 novembre entra nel palazzo della Città metropolitana di Napoli, occupando i due piani in cui hanno sede gli uffici dei partiti di maggioranza e opposizione: è necessario riportare attenzione sulla vertenza che riguarda quasi settecento disoccupati che da anni lottano per avere un lavoro stabile in città. Negli ultimi due anni questi disoccupati hanno partecipato ai corsi di formazione finalizzati all’inserimento lavorativo e tenuti da enti ingaggiati dal comune di Napoli. Il 23 maggio scorso è stato siglato un protocollo di intesa con il ministero del lavoro, il comune di Napoli e la Città metropolitana, che ha finanziato con circa dieci milioni di euro un progetto per l’inserimento lavorativo di disoccupati di lunga durata. Dopo i soliti rallentamenti burocratici ha avuto il via la fase esecutiva, una procedura che avrebbe dovuto tenere in considerazione i requisiti specifici acquisiti nel corso dei tirocini da tutti coloro i quali hanno completato il percorso. Ciò non è avvenuto, soprattutto a causa dell’intervento nella gestione del progetto del ministero del lavoro, che ha completamente scavalcato il comune di Napoli, ignorandone le direttive, come l’assunzione prioritaria per i disoccupati che avevano completato il ciclo di formazione. Nella giornata di ieri, allora, dopo vari incontri e tavoli istituzionali senza esiti rilevanti, i disoccupati si sono ritrovati a piazza San Domenico Maggiore per muoversi in corteo.
Alle 15.30, orario del concentramento, il gruppo è già folto e compatto: circa un centinaio di uomini e donne, uniti tutti dietro lo striscione storico del movimento; davanti, gli attivisti più longevi fanno servizio d’ordine.
In piazza c’è tensione, ci si muove rapidamente, esplode qualche petardo che spaventa i turisti intenti a riprendere il corteo come in un film d’azione. La rabbia dei proletari napoletani senza lavoro si riversa nei vicoli iper-turistificati del Centro storico, si battono le mani, si intonano cori che rivendicano i quasi dieci anni di lotta. All’incrocio tra via Acton e via Medina, non senza aver dovuto affrontare qualche rimostranza di turisti e concittadini poco interessati al loro destino, i disoccupati bloccano la strada. La municipale arriva tardi, non riesce a dirigere il traffico, che va in tilt. Dalla questura scendono agitati ispettori e cameramen della Digos che cercano di raccogliere elementi utili per l’ennesima fase giudiziaria che rischia di seguire a questa giornata di lotta. In generale, i poliziotti sembrano sorpresi dalla determinazione dei disoccupati.
Dopo pochi minuti il corteo si muove verso piazza Borsa, dove effettua un altro blocco. Stavolta gli agenti della Digos si arrampicano con le loro telecamerine sulla statua di Vittorio Emanuele II, ma i manifestanti sono rapidi a spostarsi nei vicoli che danno verso via Mezzocanone. La gente sorpresa chiede cosa stia accadendo, qualcuno straparla a sproposito di lavoro nero e reddito di cittadinanza, tra i disoccupati c’è chi trova persino la pazienza e la forza per spiegare i passanti che il movimento lotta per il lavoro da molti anni prima che l’opzione del reddito – durata in verità molto poco – venisse presa in considerazione dalla politica istituzionale.
Da Mezzocannone il corteo risale verso piazza San Domenico Maggiore. Il cameriere di un bar offre acqua ai manifestanti, un paio di interventi ribadiscono ai passanti l’importanza delle questioni portate in piazza. Dopo qualche ulteriore “scambio di opinioni” con la Digos, il corteo si muove senza scorta della polizia verso l’ex Asilo Filangieri, dove è in corso un’assemblea in vista della manifestazione di sabato a Roma, contro il genocidio in corso in Palestina. (angelo della ragione)
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