Giovedì 20 giugno, in conferenza stampa nella sala Giunta di palazzo San Giacomo a Napoli, ci sono stati presentati trionfalmente i primi dati dell’Osservatorio turistico urbano voluto dall’assessorato al turismo e alle attività produttive e coordinato da Valentina Della Corte, docente di Economia e gestione delle imprese alla Federico II con specializzazione nel marketing del settore turistico. Con lei l’assessora al turismo Teresa Armato, il presidente della commissione turismo del consiglio comunale Luigi Carbone e il sindaco Gaetano Manfredi. Presenti i “portatori di interessi” cittadini, rappresentanti del settore alberghiero ed extra-alberghiero. Insieme ai dati, ma non ne scriverò nel dettaglio qui, ci è poi stato illustrato il Brand Napoli, installazione permanente di dodici metri, realizzata dal team guidato dall’architetto Marco Tatafiore, che verrà collocata per i selfie dei turisti in piazza Municipio a un costo per le casse pubbliche di duecentotrentamila euro (il finanziamento è del ministero del turismo).
L’Osservatorio è nato nel marzo 2023 come gruppo di lavoro formato da docenti e ricercatori delle università napoletane (il gruppo della Federico II a titolo volontario stando a quanto dichiarato), affiancati dalla Vodafone, che si è aggiudicata il bando. L’obiettivo è studiare scientificamente i “cluster di turisti” in città, e quindi la domanda e l’offerta, con un sistema avanzato di customer relationship management (l’inglese neoliberale è la lingua d’obbligo – pare – in questo tipo di comunicazione con il pubblico). Un sistema che consente tra l’altro, grazie alle rilevazioni delle compagnie telefoniche, di contare con esattezza senza precedenti i turisti e, sul modello della “Netflix experience” (sic!), individuare i luoghi dove i turisti sostano per più tempo. La funzione dell’Osservatorio è strategica sia per l’assessorato di competenza, sia per la costituenda (e monitoranda) Destination Management Organization, una “struttura pubblico-privata finalizzata alla promozione dell’immagine e dell’offerta turistica della città”.
Per citare qualche brano del linguaggio usato in conferenza stampa, l’obiettivo è “posizionare il brand Napoli nei nuovi mercati” (obiettivo in sostanza già messo nero su bianco nel 2017 dall’allora giunta de Magistris, come argomentato nel dettaglio da Alessandra Caputi e Anna Fava in Privati di Napoli) facendo opportuni “fam trip” (nel gergo degli addetti ai lavori, campagne di promozione presso operatori del settore). Rispetto a ciò, sarebbero stati compiuti decisivi passi in avanti nel corso dell’ultimo anno: Napoli, con la sua media di tre notti per turista, e con punte di quattro, ha superato per durata dei soggiorni turistici sia Firenze che Venezia, collocandosi al di sotto (di poco) della sola Roma, con una crescita del quindici per cento delle presenze nei primi cinque mesi del 2024. Nell’anno precedente, con la strategia vincente della destagionalizzazione ossia della “movimentazione” dei “cluster di turisti” lungo tutto il corso dell’anno, già si era toccato il record di dodici milioni e mezzo di arrivi, complice la promozione delle co-visite, per cui per esempio chi va a Firenze o Roma poi, grazie all’alta velocità, scende a farsi due o tre notti a Napoli.
Nelle conclusioni di Valentina Della Corte, Napoli sarebbe dunque una città in fase di “sviluppo economico avanzato”, da gestire “in modo guidato e coerente con la tutela del centro storico”; processo, questo, che già sarebbe “in corso”, e grazie al quale si starebbe riuscendo a “ridurre l’eccesso di ‘turistificazione’ di alcuni quartieri/aree della città”, come dimostrerebbe la delibera del 2023 che ha bloccato l’apertura nell’area Unesco di nuovi locali di somministrazione di cibo e bevande.
A riprova, ci viene fornito un “piccolo focus sulla citizenship” (queste, testualmente, le parole usate in conferenza stampa): i dati raccolti su un campione di tremila persone (analizzato unicamente per fasce anagrafiche) dimostrerebbero che il sentiment è largamente positivo in merito agli effetti del turismo sulla qualità della vita in città. Secondo l’89% degli abitanti intervistati “il turismo apporta notevoli benefici economici”; secondo il 44%, il prezzo dei beni e servizi sarebbe sì aumentato per effetto del turismo, ma “non come nelle altre città d’arte”. Sarebbe dunque sbagliato parlare di “overtourism” (sottinteso, come fanno le reti di attivisti e attiviste per il diritto all’abitare) perché la “turistificazione”, pur riconosciuta, riguarderebbe solo alcuni quartieri e non la città nella sua interezza.
Con ironia probabilmente involontaria, ma certamente con un’appropriazione indebita compiuta in oggettiva mala fede, nel Power Point proiettato, tra le foto scelte come sfondo alle slide relative a questo sondaggio, ne è stata usata una che ritrae un’assemblea di abitanti organizzata dalla rete Set nel cortile di Santa Chiara nel 2018; assemblea che al contrario affrontava, tempestivamente, il problema dell’impatto della turistificazione sul diritto all’abitare.
Conclusioni entusiastiche e perentorie, insomma, queste dell’Osservatorio; basate, in apparenza, su dati raccolti rigorosamente.
Ma sono dati parziali e omissivi, che nulla dicono (e nulla possono dire nemmeno a chi, come me, si è alzato per chiedere proprio su questo un approfondimento) sulla provenienza sociale di quei tremila intervistati. In quali quartieri risiedono? e, soprattutto, sono proprietari di casa o affittuari? È chiaro infatti che la prospettiva sul turismo cambia radicalmente in base a se si abbia un secondo o terzo appartamento da collocare sulle piattaforme turistiche per gli affitti brevi o se, al contrario, si stia in affitto e ci si veda aumentare di colpo il canone mensile per la concorrenza di quegli stessi affitti brevi. Napoli, come mostra Alessandra Esposito nel libro Le case degli altri, è una città divisa a metà da una linea immaginaria che congiunge Castel Sant’Elmo e Castel dell’Ovo, in cui la metà che sta a ovest della linea (con circa l’ottanta per cento di proprietari sul totale dei residenti in quei quartieri) tiene in affitto l’altra parte di città che sta a est (in cui il cinquanta-sessanta per cento dei residenti sono affittuari).
Tra i dati non presentati dall’Osservatorio, ci sono per esempio i 9.943 annunci sulla sola piattaforma Airbnb registrati a marzo 2024 relativi in gran parte all’area Unesco, il settanta per cento dei quali relativo a interi appartamenti presenti per un numero illimitato di notti sulla piattaforma e quindi stabilmente sottratti all’uso abitativo. Se il settore “extra-alberghiero” è “fervido”, come afferma Valentina Della Corte, e se il Comune – viene ribadito – non intende (né a suo dire potrebbe, ma ci tornerò dopo) limitare l’apertura di nuovi b&b, come potrà la cosa non incidere sul diritto all’abitare se l’espansione degli affitti brevi turistici insisterà sugli stessi vani e sugli stessi appartamenti che un tempo erano sul mercato a uso abitativo? Cosa che, peraltro, già incide, e in modo drammatico, sul diritto all’abitare: dopo la pandemia, la prefettura ha annunciato a Napoli diecimila nuovi sfratti, tra morosità incolpevole e fine locazione, con aumento del seicento per cento rispetto alla media precedente.
E il lavoro? Cosa sa la giunta del precariato e del nero (o grigio) nella ristorazione? Cosa sa della povertà del lavoro nel settore e nel suo indotto? A richiesta, si rimanda alla prossima presentazione dei dati dell’Osservatorio economico, ma un osservatorio turistico che si prefigga anche di misurare l’impatto sociale, economico e ambientale del turismo sulla città e non fornisca alcun dato in merito a questo sta facendo soltanto propaganda.
Lo schermo dietro cui si tutelano le giunte delle città oggetto di processi di turistificazione, per loro natura al centro di ingenti interessi privati, e in cui montano le proteste degli abitanti via via meglio organizzati, è la mancanza, che si dichiara totale, di strumenti normativi per limitare il fenomeno delle case vacanza e degli affitti brevi. Unica cosa che sarebbe possibile, e che quindi è stata da poco avviata, sono i controlli tesi a fare emergere le “irregolarità” dell’esistente, in un’ottica di “collaborazione e non di repressione” con gli stakeholder. Eppure in altri comuni italiani si stanno facendo battaglie legali contro le piattaforme e si stanno intentando ricorsi: il consiglio comunale di Firenze ha approvato una delibera DPC 40/2023, cosiddetta “Affitti brevi”, che obbliga al cambio di destinazione d’uso per tutte le attività ricettive extra-alberghiere e blocca questo cambio per nuove attività nel centro storico, facendo riferimento a una nutrita batteria di norme nazionali. Se ci fosse la volontà politica di contrastare per il bene pubblico gli interessi privati, una battaglia politica potrebbe essere avviata con la Regione e con il governo anche dal comune di Napoli perché questi strumenti vengano finalmente messi a disposizione o potenziati.
L’unica soluzione, come richiesto da una campagna di raccolta firme presentata in conferenza stampa dalla Rete Set – Resta abitante mercoledì 19 giugno, in contemporanea con il consiglio comunale dedicato alle linee guida per il Piano Urbanistico Comunale, è porre un limite alla trasformazione di abitazioni in case vacanza, obbligando al cambio di destinazione d’uso (e quindi di regime fiscale) per ottenere il codice identificativo necessario a svolgere l’attività ricettiva, bloccando l’apertura di nuove strutture nei quartieri storici già saturi, e individuando con metodo partecipato delle soglie urbanistiche adeguate (incluso il rapporto tra posti letto per gli abitanti e posti letto per turisti) che possano limitare le strutture extra-alberghiere anche negli altri quartieri. E infine fermare la svendita del patrimonio immobiliare comunale, per utilizzarlo a scopo abitativo, così da calmierare il mercato privato.
Secondo il sindaco Manfredi, invece, che si dice “realista” (e che dunque, implicitamente, crede non esserci alternativa, sia pure rimanendo convinto che Napoli non debba cedere alla “monocultura”) il fenomeno verrà “temperato” spontaneamente, quando, grazie al miglioramento dei trasporti (?), apriranno nuove case vacanza in quartieri ora lontani o mal collegati con l’area Unesco dei quartieri storici, che faranno concorrenza e dunque disincentiveranno i nuovi investimenti in questi ultimi. Che nelle more di questo “temperamento” migliaia di persone verranno espulse dai quartieri abitati fino a ora, generando a catena scompensi sul mercato immobiliare dei quartieri all’intorno dove proveranno a trasferirsi, in termini di aumento degli affitti e di nuovo consumo di suolo, non sembra affatto una cosa rispetto alla quale la politica cittadina senta di dover prendere decisioni all’altezza. (antonio del castello)