
Una nuova accelerazione ha segnato negli ultimi giorni la lunghissima battaglia per il Lago Bullicante all’ex Snia di Roma. Un conflitto iniziato nel 1992, quando dopo un abuso edilizio è spuntato un lago nel mezzo della città e a seguito un intero ecosistema, studiato dagli scienziati di tutto il mondo e vissuto ogni giorno dagli abitanti del quartiere, uno dei più inquinati e cementificati in Europa. Le energie impegnate in questa “guerra dei trent’anni” a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo hanno ottenuto finora moltissimo: un parco pubblico, un centro sociale, l’esproprio di una fetta consistente della proprietà privata responsabile dell’abuso dove dallo scorso anno la regione Lazio ha istituito un “monumento naturale”, riconoscendo con tutte le tutele necessarie l’importanza dello straordinario processo di rinaturalizzazione.
Ma gli appetiti e le aspettative di profitto sull’area sono ancora moltissimi. E così periodicamente spuntano progetti, speculazioni, deturpamenti all’interno della parte ancora privata, dove sorgono i ruderi dell’ex fabbrica di seta artificiale chiusa ormai nel lontano 1954. Si tratta di interventi pesanti, del tutto incompatibili con l’adiacente monumento naturale. Per questo la richiesta che il Forum del parco delle energie sta portando avanti da tempo è l’allargamento del perimetro della tutela e del monumento naturale a tutta l’area, insieme all’esproprio della parte ancora privata. Negli ultimi mesi le aperture anche a livello istituzionale verso questa opzione sono state più concrete del solito: si sono espressi a favore sia l’ente regionale che ha in cura le aree naturali di Roma e che ha preso in carico la zona del lago (Roma Natura), sia alcuni uffici del comune di Roma. Forse proprio per questo parallelamente a queste aperture sono iniziati lavori sempre più invasivi nella parte privata che hanno comportato, nel giro di alcune settimane, il quasi totale abbattimento di alberi, nidi, arbusti, specie protette quali il Pino di Aleppo: un piano di desertificazione naturale che ha conseguenze gravi sia sulla parte già pubblica sia sulla continuità ambientale dell’intero contesto. Un convegno scientifico internazionale lo scorso 14 gennaio aveva segnalato proprio nella compresenza di rinaturalizzazione e pertinenze di archeologia industriale una caratteristica estremamente preziosa del sito, da tutelare nella prospettiva della valorizzazione dell’intreccio tra natura e storia.
Le ruspe hanno iniziato ai primi di aprile a lavorare sodo. Inizialmente sembrava si limitassero a operazioni di sfalcio e pulizia, che comunque vista la stagione di nidificazione sono da considerarsi pericolose in un contesto del genere, e sono perciò espressamente proibite. Poi è stato chiaro sempre più rapidamente che si trattava di un’azione di sbancamento e abbattimento. Gli abitanti del quartiere hanno presentato esposti e denunciato pubblicamente lo scempio, ma tutte le istituzioni e le forze dell’ordine che si sono affacciate all’area privata sono state sistematicamente allontanate, in nome di una presunta sacralità della libertà di iniziativa all’interno della proprietà privata. Di fronte all’arroganza della proprietà e alla lentezza istituzionale, ancora una volta le ruspe sono state interrotte solo dall’azione diretta degli abitanti, che a partire dal 27 aprile hanno iniziato un presidio permanente con lo scopo di monitorare le attività e, di fronte agli abusi, cercare di interrompere il lavoro delle ruspe. Ciò che hanno visto gli attivisti e i tanti semplici cittadini accorsi dietro la rete che separa l’area pubblica da quella privata è desolante. Dove era fiorita una vegetazione ricca e ormai trentennale solo terra, polvere e fusti ammassati. Ma la battaglia contro la distruzione della parte restante di vegetazione, nella zona ovest della ex fabbrica e proprio sul confine del monumento naturale, è ancora possibile: il 28, il 29 e il 30 aprile si sono susseguiti i blocchi, le proteste, le azioni che hanno costretto le ruspe a fermarsi molto spesso. Il prossimo appuntamento è per una manifestazione cittadina convocata per le ore 15 del 1 maggio, proprio nell’area del lago.
Lo spaccato che emerge da questi ultimi giorni di mobilitazione è il frutto del grande lavoro didattico, sociale ed educativo proposto dal Forum negli ultimi anni. Non sono solo attivisti e militanti che si alternano al presidio ma interi nuclei familiari ormai abituati a vivere il lago ogni giorno, insegnanti che hanno partecipato con le loro classi ai tantissimi laboratori naturalistici degli ultimi anni, pensionati che ogni giorno grazie al lago hanno la possibilità di respirare e passeggiare lontano dal traffico e dal cemento, studiosi che hanno partecipato allo sforzo collettivo messo in piedi per documentare la necessità del monumento naturale. La spinta alla partecipazione d’altronde è venuta proprio dall’attivismo delle “vedette”, gli abitanti dei palazzoni di largo Preneste che hanno iniziato a fotografare e documentare dalle loro case le attività delle ruspe, rendendo palese a tutti quello che stava succedendo. Si tratta di uno sforzo corale, che vede impegnato in modo plurale e coordinato un intero territorio.
A questo punto, l’obiettivo della manifestazione del 1 maggio e delle prossime tappe di mobilitazione si concentra su tre punti, ritenuti imprescindibili insieme al blocco immediato dei lavori. Al comune di Roma si chiede di attuare immediatamente l’esproprio della parte ancora privata. Alla regione Lazio l’estensione del monumento naturale a tutta l’area. Al demanio di riconoscere il bacino del lago come bene idrico per tutelarne le acque e le sponde. Solo così potrà essere bloccata la speculazione assicurando un futuro sereno al quartiere e all’ambiente naturale. Mai come in questo momento la differenza tra proprietà privata e pubblica è stata così chiara: da una parte della rete si disbosca e si abbatte, dall’altra parte ci si prende cura del verde, si discute, ci si organizza, si condivide un pezzo di città. Questa lotta trentennale ha determinato un ciclo di partecipazione e di consapevolezza dal quale nessuno vuole più tornare indietro. (michele colucci)