Rumore, dicembre 2016
da: Rumore, dicembre 2016
Le circostanze che nell’Italia degli anni Ottanta hanno portato a scoprire l’hip hop, spesso sono davvero singolari: una cassetta o un vinile che da una base Nato arriva nelle mani o nelle orecchie di un ragazzino, un’incursione sul palco, durante una manifestazione sindacale, di militanti che protestano in rima e a tempo creando stupore e curiosità, una finestra di una scuola media che dà su un parchetto dove dei tizi ballano in maniera plastica come certi personaggi dei film americani. Antonio Bove (1975) dà voce a queste e a tante altre storie degli artisti hip hop di Napoli e dintorni, raccontandole con precisione e sintetizzando bene gli scenari sociali, politici e culturali dagli anni Ottanta a oggi. Le pagine di Vai Mo mettono in evidenza, per esempio, l’inconsapevolezza degli esordi – per lo più avvenuti in strada, nelle piazze – che ha portato, tra l’altro, all’intuizione dell’uso del dialetto.
Napoli è ed è stata una città importante per il rap italiano, per esempio negli anni Novanta ha avuto una etichetta come la Flying Records che, anche grazie al suo marchio Crime Squad, ha sfornato dischi storici. Bove fa una cronistoria del rap locale con uno stile quasi anglosassone, senza fronzoli, che fa da raccordo ai racconti diretti dei protagonisti della scena, con ambientazioni che spaziano dal centro città alle periferie, senza dimenticare la provincia. (luca gricinella)