
All’estremo oriente di Torino, oltre il quartiere di Santa Rita, si diradano le palazzine e s’aprono campi di granoturco tagliati dalla tangenziale. Ai lati sfilano i concessionari di auto e le Alpi chiudono l’orizzonte. L’occhio segue la torre blu del termovalorizzatore, punto di riferimento a meridione. Lungo il ciglio della strada crescono i roveti, ma radi vivono ancora vecchi noci sfiorati dall’asfalto. Alcuni cascinali antichi, silenziosi, circondano l’interporto di Torino: una distesa di magazzini e strade ferrate assediate dal brusio di camion e furgoni. Qui si trovano i depositi di Sda, Bartolini, e quello di FedEx TNT. Mercoledì 10 giugno, sotto il primo sole del mattino, i lavoratori hanno bloccato l’ingresso e l’uscita dei mezzi dal magazzino di TNT. Era un picchetto in solidarietà con le lotte a Peschiera Borromeo.
A Peschiera Borromeo, periferia orientale di Milano, quasi cento lavoratori interinali rischiano il posto nonostante gli accordi presi con FedEx TNT all’inizio della quarantena. I facchini protestano fin dai primi giorni di maggio e hanno continuato nelle settimane successive. Nella seconda settimana di giugno i lavoratori di Peschiera Borromeo hanno bloccato per quattro notti consecutive i cancelli del magazzino. Il primo blocco è avvenuto la notte tra lunedì 8 e martedì 9 giugno. Il presidio si è sciolto la mattina con l’arrivo delle forze dell’ordine. Il secondo blocco, nella notte tra il 9 e il 10 giugno, ha ottenuto il medesimo risultato. Ancora il 10 giugno i lavoratori hanno iniziato il presidio durante le prime ore della sera. Questa volta la polizia ha usato la forza nel pieno della notte. Ci sono state cariche e feriti tra i lavoratori, ma il blocco è stato mantenuto per diverse ore dopo l’intervento violento delle forze dell’ordine.
Racconta A. la mattina di giovedì 11 giugno: «Ieri sera siamo andati a fare il picchetto davanti alla TNT di Peschiera Borromeo. Eravamo un centinaio. La polizia è intervenuta un’ora e mezza dopo. Erano cinque camionette all’inizio, poi sono venute altre due e dopo qualche scontro ancora due. Sono intervenute nove-dieci camionette. I nostri coordinatori sindacali sono andati a parlarci, per allungare i tempi. Poi volevamo far convocare un tavolo in prefettura, perché non vogliamo arrivare allo scontro. Invece loro sono intervenuti e abbiamo fatto lo scontro. Sei ragazzi sono finiti in ospedale. Hanno rotto la gamba di un ragazzo. Spingevano i lavoratori per terra, oppure li prendevano per spostarli a forza. E mentre spingevano uno ha battuto la testa per terra. Questo era il terzo presidio della settimana. Dopo il terzo scontro, noi guardiamo il nostro collega che stanno portando via con l’ambulanza e loro, la polizia, vogliono caricare ancora. Noi abbiamo cercato di fare l’assemblea – erano le due e mezza del mattino – per evitare nuovi scontri. Hanno capito che eravamo in assemblea, poi abbiamo sciolto il gruppo e siamo andati via verso le quattro. Dalle otto di sera alle tre di notte era tutto bloccato, il blocco è durato tanto nonostante le cariche».
K. è un delegato sindacale Si Cobas ed era presente la sera delle cariche: «Ieri è successo un macello. Sono venuti subito a sgomberarci, noi non abbiamo accettato, ci siamo messi a terra, uno attaccato all’altro, davanti ai cancelli. E loro arrivano e iniziano a toglierti; se non ti sposti, eccoli a torcerti le dita o colpirti il ginocchio – in modo che ti alzi per forza. A un ragazzo hanno spaccato il dito, la caviglia a uno, e due svenuti. A un altro hanno dato una botta alla mano e si è gonfiata: è diventata tutta blu. Ci hanno menato abbastanza. Abbiamo tenuto duro fino alle due e mezza, e poi basta. Abbiamo fatto un’assemblea e abbiamo deciso: meglio andare, altrimenti le prendiamo ancora. Ora stanno bloccando in tutta Italia: Reggio Emilia, Bologna, Piacenza. Ora andiamo in sede. Noi non molliamo, eh. Stasera siamo ancora lì».

La notte successiva i lavoratori di Peschiera Borromeo hanno organizzato un nuovo blocco fuori dai cancelli. Il presidio è iniziato alle undici di sera e si è sciolto solo al mattino con l’arrivo delle camionette di polizia e carabinieri. Altri magazzini in Italia sono fermi in solidarietà con i lavoratori di Milano. La mattina del 12 giugno M., delegato Si Cobas a Piacenza, racconta: «Nelle ultime due notti abbiamo bloccato i magazzini di Piacenza, Reggio Emilia, l’interporto di Bologna: tutti nello stesso momento. I nostri compagni di Peschiera Borromeo hanno subito un attacco violento dalla polizia. A Reggio Emilia abbiamo bloccato dalle nove di sera del 10 giugno fino alle sei del mattino dopo. Nello stesso giorno, a Bologna hanno bloccato l’interporto dalle dieci di sera fino alle quattro del mattino, hanno subito anche una carica violenta della polizia. A Piacenza e Bologna hanno fatto tre giorni di scioperi continui. Poi ieri sera, l’11 giugno, Piacenza ha fermato tutta la prima linea, dalle dieci di sera fino all’una».
I blocchi in tutta Italia sono un segnale di solidarietà ai licenziati, ma sono anche l’esito di proteste nate in questa stagione contro la gestione del lavoro in emergenza epidemica. Secondo O., delegato presso il magazzino di Teverola, provincia di Caserta, «la situazione è abbastanza bloccata. La cassa integrazione è arrivata, quella di marzo, ma per quella di aprile c’è da aspettare fino a luglio. Per quanto riguarda le situazioni di magazzino che abbiamo sollevato, l’azienda ha rifiutato le nostre richieste sull’adeguamento dei part-time. Poi hanno impedito di prendere il patentino per portare il carrello elettrico a lavoratori che stanno in deposito da cinque-sei anni, mentre c’è gente che dopo due anni già ce l’ha perché sono amici e parenti dei capi. Sul vestiario, si sono rifiutati di investire per l’adeguamento. Tieni conto che sono arrivate alcune lettere di contestazione a nostri lavoratori, dopo i blocchi delle settimane scorse, in cui di fatto si contesta lo sciopero. Per esempio, la contestazione è aver bloccato l’impianto meccanico con le mani, e aver ignorato l’alt dei preposti. Quando poi nel magazzino succedono cose di tutti i colori, i lavoratori sono arrivati allo scontro fisico diverse volte, i preposti non hanno segnalato e non è arrivata nessuna contestazione. L’attenzione e i provvedimenti cambiano a seconda di chi è il lavoratore, di quanto è sindacalizzato, oppure semplicemente se è simpatico ai preposti o meno. A livello nazionale il nodo è la questione di Milano, gli altri stabilimenti possono portare la loro solidarietà, partecipare a blocchi e scioperi, o mantenere alto il livello di conflittualità portando avanti le questioni relative ai singoli stabilimenti. L’idea adesso è di bloccare Roma, andremo a Fiano Romano perché è un hub decisivo sul quale è importante intervenire».

La sera del 17 giugno nascono nuovi blocchi a Piacenza, Bologna e proprio a Fiano Romano. S. ha partecipato al blocco a nord di Roma, sebbene lavori in Campania: «Siamo arrivati lì verso le due, ma loro già stavano in sciopero dalle otto di ieri sera. Siamo rimasti fuori dai cancelli fino all’alba in modo che è saltato pure il turno della mattina. Lo abbiamo fatto in solidarietà con Peschiera Borromeo, ma anche a Fiano ci sono delle vertenze aperte per l’innalzamento dei contratti, c’è gente che dopo quattro o cinque anni sta ancora a part-time…».
La stessa sera, il 17 giugno, i facchini sospesi dal lavoro hanno bloccato ancora il magazzino di Peschiera Borromeo. A. era di nuovo presente: «Eravamo quattrocento persone, ieri, al magazzino di Peschiera Borromeo. Abbiamo mandato un segnale forte alla polizia e ai capi di FedEx: quando vogliamo, sappiamo essere tanti, insieme, e abbiamo tenuto duro fino alle cinque. Abbiamo bloccato sia a Peschiera che a San Giuliano, dove FedEx ha un altro magazzino. A Peschiera c’erano i solidali, i nostri colleghi iscritti al sindacato, c’erano i ragazzi della Camera del non lavoro e dei centri sociali». Anche K. è fiducioso: «C’è una cosa importante: ieri a Peschiera Borromeo c’erano anche i lavoratori di Zara e H&M, i lavoratori di SDA sono arrivati in solidarietà. Eravamo circa quattrocento, quando siamo tanti non ce la fanno a portare abbastanza camionette. Possono portare dieci camionette, possono essere in cento, ma se noi siamo in quattrocento non ce la fanno». I camion trasportatori sono rimasti in coda tutta la notte, fuori dai cancelli. (francesco migliaccio / riccardo rosa).