
Sekine Traore, ventisettenne del Mali, è stato ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere nella tendopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), l’8 giugno del 2016. Sekine era un lavoratore stagionale impegnato nella raccolta delle arance, arrivato in Italia a bordo di un barcone, costretto a vivere in condizioni inumane in una fabbrica occupata a pochi passi dalla vecchia tendopoli di San Ferdinando. Con lui, in quello stesso spazio, vivevano centinaia di migranti, prima di essere sgomberati con un’operazione propagandistica a suon di ruspe e tweet dall’allora ministro dell’interno Matteo Salvini nel marzo 2019. A quello sgombero è seguita la costruzione di una nuova tendopoli, a pochi metri di distanza dalla vecchia.
Il bollettino ufficiale della questura racconta in quei giorni di una lite tra migranti in una tenda adibita a bar. Sekine, dicono, impugna un coltello. All’arrivo di una pattuglia dei carabinieri, intervenuti per sedare la lite, seguono una colluttazione, il ferimento di un militare e l’esplosione di un colpo di pistola, sparato dall’agente per legittima difesa. Le pattuglie dei carabinieri accorse, in realtà, sono due, più una della polizia, per un totale di sei agenti contro un solo uomo. Il colpo di pistola viene esploso quando nella tenda sono rimasti soltanto i sei agenti e Sekine.
Sekine viene portato all’ospedale di Polistena, dove muore appena arrivato. Il giorno seguente centinaia di migranti raggiungono in corteo il comune di San Ferdinando, chiedendo verità e giustizia per l’omicidio dell’uomo.
La procura inizia a interrogare gli operanti. I carabinieri riferiscono tutti la stessa versione, quella della legittima difesa, sottolineando che Sekine non accennava a calmarsi e continuava ad agitare il coltello da cucina durante tutti quei concitati momenti. Per questa ragione, i sei operanti avrebbero deciso di affrontarlo dentro la tenda, provando a disarmarlo con bastoni e sfollagente (alcuni utilizzavano anche tavoli di legno), mentre Sekine si sarebbe più volte scagliato contro di loro, brandendo il coltello e sferrando un colpo verso il volto di uno dei carabinieri, che a sua volta avrebbe sparato per fermare il tentativo di aggressione.
Diversa è la versione dei due poliziotti che, pur descrivendo una situazione analoga a quella dei carabinieri, menzionano una caduta di Sekine nella tenda, aggiungendo che dopo questa caduta, lo stesso non sarebbe mai più riuscito a rialzarsi completamente.
Il 30 novembre del 2017 è cominciato, con l’udienza preliminare al tribunale di Palmi, il processo a carico del carabiniere che ha sparato, accusato di eccesso colposo di legittima difesa. La costituzione di parte civile di Acad, Associazione contro gli abusi in divisa, è stata ammessa, mentre è stata rigettata quella presentata per un cugino di Sekine residente in Italia. La difesa dell’imputato ha chiesto il rito abbreviato, condizionato all’esame di tre dei carabinieri operanti. Il giudice ha disposto il rinvio a giudizio per il carabiniere che ha sparato.
Dopo una serie di rinvii, il 10 luglio 2020 si è finalmente tenuta la prima udienza. La difesa dell’imputato ha continuato a chiedere l’estromissione di Acad dal procedimento, un tentativo ripetuto invano anche nelle udienze successive. Il giudice, infatti, ha sempre rigettato la richiesta di esclusione e ha anzi accettato la partecipazione al procedimento per il fratello e la sorella di Sekine. Il giudice ha inoltre accolto la richiesta avanzata dalle parti civili di citazione per il ministero della difesa, in qualità di responsabile civile, e ha dato appuntamento all’udienza successiva per l’esame dei primi due testi dell’accusa. Il processo è entrato così nel vivo, con l’esame di due testimoni appartenenti all’arma dei carabinieri.
Nelle udienze di aprile, giugno e ottobre 2021, fino a quella del 28 gennaio 2022, sono stati sentiti tutti gli altri agenti operanti: carabinieri, poliziotti e agenti della scientifica. I carabinieri hanno confermato quanto dichiarato in seguito all’intervento, anche se nessuno sostiene di essersi reso conto di quanto accaduto al momento dello sparo. Uno tra i due poliziotti ha cambiato completamente la versione fornita nel corso delle indagini. In particolare ha affermato che Sekine fosse caduto diverse volte prima dello sparo, ma che si fosse sempre rialzato (e che dunque non sarebbe stato a terra al momento dell’omicidio, come aveva invece riferito lo stesso agente in sede di indagini). Ha dichiarato inoltre di “non aver visto” gli accadimenti avvenuti negli attimi precedenti lo sparo.
Nel corso dell’istruttoria spesso si è tentato di screditare Sekine, descrivendolo come una persona tra le più problematiche della tendopoli, un uomo con problemi psichiatrici, spesso sotto effetto di stupefacenti, nonostante gli esami tossicologici abbiano accertato il contrario. Gli uomini della scientifica hanno invece dato conto dei rilevi effettuati nella tenda e sui reperti rinvenuti, tra i quali il coltello presumibilmente utilizzato per l’aggressione al carabiniere. Su questo coltello non è stata rilevata alcuna traccia di sangue. La prossima udienza è prevista per il mese di aprile, con l’esame dei due medici che hanno effettuato l’autopsia e dell’imputato. (santino piccoli)