
Lo scorso dicembre è uscito in tutta Italia Taranto. Un anno in Città Vecchia, un libro di cyop&kaf con testi di Riccardo Rosa e Luca Rossomando. Nelle 240 pagine del libro vi sono le fotografie di tutti i dipinti realizzati da cyop&kaf a Taranto tra la fine del 2013 e quella del 2014. In appendice al volume c’è il testo Timoni Al Vento. Storie della Città Vecchia raccontate da chi le ha vissute. Pubblichiamo a seguire alcune di queste storie.
ANGELO CANNATA – Animatore culturale
Ci sono persone che sono scintille. Cominciano bruciando dentro, poi il calore si propaga e inizia a piegare le cose che gli stanno intorno. In qualunque contesto s’incontri una di queste persone, il campo gravitazionale – quello che spesso tiene le cose pesantemente ancorate a se stesse – comincia ad alterarsi. Così rapporti, traiettorie, dinamiche, mezzi e fini ritornano al centro e qualcosa si muove: eppure.
Angelo è una di queste persone. Forse non sa esattamente come, ma sa che deve smuovere le acque del presente stagnante che lo circonda, e sa che deve farlo ora. Quando gli abbiamo spiegato le nostre intenzioni raccontandogli di quello che avevamo provato a fare ai Quartieri Spagnoli di Napoli ha detto solo: venite quando volete, qualche letto in più lo si trova sempre. E allora per un anno intero, tutte le volte che decidevamo di fare un’incursione, ci ha accolto e facilitato – non tanto e non solo la permanenza, ma soprattutto la conoscenza; ci ha scorazzato a destra e a manca, presentato alla maggior parte delle persone che poi avremmo intervistato, introdotto in anfratti dimenticati, nascosti dietro lamiere arrugginite.
Ci ha scortati tra le ferite di un corpo puntellato eppure tremendamente vivo. Lo ha fatto senza quel tono di lamentazione, oppure – al contrario – di ostentato riscatto (una medaglia, due facce) col quale molti da noi al sud piagnucolano o urlano a seconda dei casi; lo ha fatto – anzi – col sorriso disperato e gravido di speranza di chi sa che solo standoci dentro si può capire come muovere i primi passi tra macerie che avanzano da ogni lato. Quando con la camminata ciondolante e lo sguardo sismografo s’aggira in Città vecchia facendo domande, ascoltando – dai bambini ai più vecchi – molte persone lo credono uno del comune, non uno fuori dal comune. Si sbagliano di grosso. Angelo, lo abbiamo visto, dubita. E questa è la sua forza. Noi, dal canto nostro, possiamo solo augurarci che continui senza sosta ad affinare, partendo dal linguaggio, gli arnesi con i quali battaglia quotidianamente i mulini, non più a vento, ma a carbonfossile, petrolio, cemento. Puntando al conflitto prima ancora che alla vittoria o alla sconfitta.
«Salinella è il quartiere dove sono cresciuto, il luogo dove risiedevano i miei nonni materni, provenienti dalla Basilicata, proprio in questa casa dove abito ora. Era il luogo dove mia madre, per proseguire la sua attività politica, mi accompagnava dopo la scuola. Mia madre lavorava ai servizi sociali del comune, ma in generale aveva una vita politica e sociale molto attiva, così come mio padre, e infatti si conobbero perché entrambi frequentavano il Pci, la sezione Fratelli Cervi, e in seguito la sezione Primo Maggio. Comunque, nonostante sia nato in una zona periferica, fin da ragazzo ho sviluppato uno spirito di attaccamento alla Città vecchia. D’altronde nel mio palazzo o comunque nella mia famiglia c’è gente che prima di abitare in periferia abitava nella zona vecchia, che era la zona più importante della città prima dell’espansione urbanistica e industriale. E forse pure per questo a scuola mi ero molto interessato alla geografia, mi sembrava di scoprire in questo modo che anche il microcosmo dove vivevo faceva parte di un mondo, che nessuna parte della città poteva considerarsi separata dalle altre. (continua…)
GIUSEPPE GIGANTE detto Peppe Sciolline – Rigattiere
Sciolline, con la “e” finale muta, come da regola per il dialetto tarantino, sta per “nocciolina”. Pare che Giuseppe ne mangiasse a chili, da ragazzo. Suo padre è stato scaricante di frutta al mercato, operaio all’Italsider e giardiniere per le monache della Città vecchia; uno dei suoi fratelli, Mustakì, fu storico leader di Lotta Continua, scomparso prematuramente e rimpianto da molti. Sciolline si racconta nell’unico posto e nell’unica lingua possibile. Il posto è il tavolino circolare all’esterno del suo deposito-bar, locale le cui destinazioni d’uso sono ormai indistinguibili tra loro. Nella prima stanza c’è un grosso frigorifero, con le birre e le coca cola, la televisione accesa e lo stereo che la sovrasta, a volume altissimo, di giorno e di notte. Intorno quadri, mobili, soprammobili, lampade, fotografie, gatti di porcellana, cornici, radio, tappeti, forme e colori di ogni genere, che Sciolline cerca quotidianamente di rifilare ai turisti che passano, fotografano e poi vanno via. La lingua è il tarantino: stretto, incalzante, senza pause. Il problema della comprensione d’altronde non è affare suo. Per fortuna c’è un amico, al suo fianco, che traduce i passaggi più arditi, le parolacce, gli aneddoti principali. Sciolline segue il flusso del racconto senza preoccuparsi di chi ha davanti e di cosa gli succede intorno; tira dritto, come sembra aver fatto nel corso della sua vita, senza preoccuparsi troppo di capire, o forse capendo talmente tanto da scegliere di andare avanti per la sua strada, senza pensare ad altro.
«Siamo morti. A Taranto vecchia siamo morti. Si sta meglio al cimitero… In questo palazzo sono nato, vedi? Al pianterreno. Devo fare cinquantasei anni, e da cinquantasei anni sto qua. Sopra abito e sotto tengo il locale, da una trentina d’anni, per disgrazia mia… Avevo venticinque anni. La gente se ne cominciava ad andare già. Scasamenti a Paolo VI, poi in tutti gli altri quartieri. Hanno dato le case in periferia, se li sono portati… Paolo VI, Salinella, Tamburi. Ije no’ me n’hagghie vulute scere maje. Preferisco stare qua. Ogni volta devi scendere, prendere il pullman, ‘nu casine… Invece qua si scende da casa, mi faccio una camminata, passa la serata senza andare a New York o a Parigi… Poi la città nuova comunque è vicina e con poco sei arrivato… Oggi qua tengo questo negozio, le cose usate vendo. Faccio il mercatino (mostra dei pezzi antichi in legno e un lampadario). Ho parecchie cose buone. Me le porta la gente. Alcune le trovo, le recapito dagli scantinati. Ma qua ormai è il deserto. La gente non ci abita più. Sono tutte rotte queste case e ci vogliono un sacco di soldi per metterle a posto. Ma questo è il nostro paese e ce lo teniamo caro… I problemi gli altri non li possono credere, ma noi li vediamo, ce li abbiamo in corpo. Vengono, parlano, dicono: “Faccio qua, faccio là…”, ma che cosa devono fare che non sanno neanche come sta messa Taranto Vecchia e come è iniziata la Città vecchia. Ovunque ci sono i problemi…».
«Quando ero bambino la vita era diversa! Stava nascendo il popolo in quel periodo… La gente almeno mangiava, ci stava il contrabbando, tutto a contrabbando era. E poi rubavano tutti quanti. A chi rubavano? Eh, alle persone con le automobili. Quelli della città. Uno badava da una parte e l’altro prendeva il portafogli. Era continuamente inseguimenti e cose così. Quello che si recuperava poi si rivendeva. Il portafogli, il portachiavi, lo stereo. Poi ci stavano i locali. I militari che stavano qua, tutti nelle trattorie a mangiare andavano. Poi quando stava il giuramento era un casino… E noi li aspettavamo, era l’occasione per venderci le sigarette. Mo’ honne sparite tutte. Ti ricordi tu il periodo dei militari? (chiede a un amico). Quanti ne stavano! Adesso non se ne vedono più come prima, chi lo sa dove sono andati. (continua…)
GIOVANNI GUARINO – Attore, operaio in pensione, animatore culturale
«La Città vecchia è una zitella che invecchia sempre più, con una dote ricchissima, per cui ogni volta viene sedotta e abbandonata: dai costruttori, dagli amministratori, dagli operatori culturali… Ma sai quanti ne sono passati di qua? Vengono, ti incantano, decidono di, dicono di, ma il distacco col territorio è micidiale, si crea un collegamento molto superficiale, un rapporto con trenta, quaranta persone che magari ti possono salutare facendoti credere che sei conosciuto, ma nei livelli più bassi del problema non ci arrivi… Taranto alla fine dell’Ottocento aveva 29mila abitanti censiti; nel 1965 erano 150mila; nel 1985 erano 250mila. Ed è tutta gente che è arrivata qui adulta… Fino al 1864 la città di Taranto era solo la Città vecchia, l’isola. Con la fine dell’editto bizantino e la possibilità di costruire al di là del ponte, la città comincia ad andare… Vanno via prima i ceti medio-alti, si insediano nel nuovo borgo umbertino. Poi cominciano gli operai: Tre Carrare, l’Arsenale… Passare il ponte diventa una sorta di inserimento in una casta sociale diversa. I primi detrattori del quartiere sono stati proprio gli abitanti della Città vecchia che andavano al di là del ponte. Il loro senso di colpa più grosso è quello di aver abbandonato il quartiere. Taranto vecchia non è stata solo lasciata, è stata rinnegata… Quando passano dall’altra parte i ceti medio-bassi e si vanno a incontrare con la famiglia un po’ più ricca, non possono dire che fino a un anno prima abitavano nel buco e quindi: “Ah, Taranto vecchia, Taranto vecchia…”.
«Succedono due o tre episodi micidiali in quegli anni. Nel ’36 Taranto è già una grande base militare da una parte, un grande porto dall’altra: l’isola si trova in mezzo. Quindi un enorme fronte di contrabbando, prostituzione… La mazzata definitiva si avrà nel ’46 con l’occupazione alleata. Uscendo dal ponte i camion americani dovevano scendere la discesa del Vasto, allora c’era il lastricato, i palazzi crollati e molti camion venivano presi d’assalto dalla gente per fame. In quell’anno fu ucciso un soldato americano in un vicolo, a colpi di stecca da biliardo durante una rissa; aveva scambiato, si dice, la moglie di uno per una puttana e dopo quell’episodio gli americani scrissero su tutto il perimetro dell’isola “off limits”. Fino a venti anni fa, quando arrivavano le truppe Nato si metteva la polizia militare all’imbocco del ponte per non farli passare… Ma pure quando c’erano a Taranto migliaia di marinai, nessuno di questi si azzardava a passare il ponte perché prima del giuramento gli dicevano: “Non andate a Taranto vecchia…”. Allora si è cresciuti con questa cosa. (continua…)