
Mercoledì 12 aprile, presso il comune di San Ferdinando (Reggio Calabria), verrà presentato il progetto Terragiusta. Medici per i diritti umani, con la partecipazione dell’associazione Echis. Incroci di suoni.
Il progetto Terragiusta, da quattro anni attivo nelle campagne della Basilicata e della Calabria, offre prima assistenza medica e orientamento socio-legale e sanitario ai migranti impiegati in agricoltura in condizioni di sfruttamento. Tra gli obiettivi c’è anche quello di contribuire a informare l’opinione pubblica sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri.
Quest’anno il report finale sarà corredato da una mappa sonora, curata da Echis e accompagnata dalle foto di Nadia Lucisano e dalle musiche di Nosenzo. Il reportage audio racconta le storie di alcuni dei protagonisti della filiera degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro, attraverso le testimonianze raccolte a febbraio di quest’anno tra ghetti e aranceti.
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Siamo arrivati a Rosarno a fine gennaio, nel pieno della stagione delle arance, per raccogliere le testimonianze di chi vive e lavora nelle terre della Piana di Gioia Tauro.
Quei giorni pioveva e faceva freddo, nelle settimane precedenti era stato anche peggio. Quest’inverno il gelo ha reso la vita dei braccianti africani più dura del solito. Quando vivi in baracca o in una tenda usurata dal tempo, la pioggia prolungata e le temperature che rasentano lo zero possono diventare un incubo. Non riuscire a dormire vuol dire svegliarsi al mattino privi delle energie indispensabili a far fronte alle mille difficoltà che iniziano con lo spuntare del sole. Trovare lavoro come braccianti, passare almeno otto ore a riempire cassette di arance o mandarini e rientrare in tenda quando ormai è già buio. Tutto per venticinque euro a giornata o per un euro a cassetta. Dopo aver fatto un po’ di spesa e caricato il cellulare, i soldi sono finiti. Il più delle volte, non bastano neanche per le medicine.
Abbiamo parlato con chi era arrivato da poco e con chi da anni torna in Calabria in questo periodo. Con chi viene per cercare lavoro e con chi ha bisogno di rinnovare il documento. Tutti, tranne qualche rara eccezione, parlano con rassegnazione. Sono passati sette anni dalla rivolta di Rosarno, ma le cose non sono cambiate. A San Ferdinando, il comune in provincia di Reggio Calabria che ospita la famosa tendopoli, si progetta di costruirne una nuova, stavolta vigilata e recintata così da poter controllare chi entra, chi esce e cosa succede al suo interno. Sarebbe la terza tendopoli dal 2012. In cinque anni non si è riusciti a pensare a soluzioni differenti da quelle emergenziali, nonostante le organizzazioni della società civile attive nella zona abbiano proposto alternative concrete ed economiche per le finanze pubbliche.
Abbiamo parlato con i contadini, anche loro rassegnati per i bassi prezzi dei prodotti agricoli che consentono a malapena di continuare a produrre. Alcuni, schiacciati dal potere della grande distribuzione e delle multinazionali dei succhi, sono stati costretti a lasciare le arance sugli alberi e con stupore ce ne accorgiamo girando tra le campagne della Piana, dove è difficile incontrare gente al lavoro.
Abbiamo parlato anche con persone che si sono fatte portatrici di idee che, in questo quadro, sembrano rivoluzionarie. Tra tendopoli, campi container e sfruttamento, c’è anche chi si è rifiutato di credere che non ci fosse alternativa a questo modello, che le politiche carenti a livello nazionale o lo strapotere delle multinazionali all’interno della filiera degli agrumi non fossero giustificazioni utili per non provare ad accogliere o offrire lavoro in un modo giusto.
Abbiamo ascoltato tante storie e tanti punti di vista. Passando dalla tendopoli, dove vivono duemila persone tra braccianti, negozianti e migranti in attesa, a Drosi, un paesino di ottocento abitanti, dove Ciccio e altri volontari della Caritas hanno guidato un progetto di accoglienza diffusa per i braccianti africani. In mezzo a questi due poli ci sono tante realtà e tante persone che in un modo o nell’altro con le arance e con la loro raccolta hanno a che fare. Perché in questa terra di giardini, le arance vogliono dire lavoro, reddito o, nella maggior parte dei casi, la loro mancanza. Vogliono dire anche politiche locali, nazionali e sovranazionali spesso miopi, che negli anni hanno drogato un mercato che sembrava prospero e invece camminava sulle gambe inferme di fondi europei mal distribuiti.
Siamo stati alla manifestazione organizzata dai migranti della tendopoli, a San Ferdinando. Anche quel giorno pioveva, ma almeno duecento persone hanno voluto partecipare e, dopo aver sfilato lungo la strada che collega la tendopoli al centro del paese, sono arrivati sotto il palazzo del Comune. I cori intonati lungo la strada e poi sotto la finestra del sindaco chiedono documenti e contratti. Si riesce a ottenere un incontro col prefetto, vi partecipa una delegazione che poi torna a riferire a chi è rimasto fuori. Le promesse ottenute non sono soddisfacenti e si torna verso la tendopoli un po’ delusi, ma pronti a organizzare un’altra manifestazione qualora le istituzioni non rispettassero gli impegni presi.
Durante quella settimana a Rosarno, ascoltando voci e storie, ci siamo accorti che la gente ha tanto da dire, anche se non sempre ha voglia di parlare.«Tanti giornalisti passano di qui, e non è mai cambiato niente… A che serve allora?». Ce lo chiedono in tanti, soprattutto tra i migranti africani, e ce lo chiediamo anche noi. «Dieci euro a intervista», scherza, neanche tanto, un ragazzo da lontano, mentre parlo con Mamadì. La sensazione che tutti i bianchi che li avvicinano non vogliano altro che approfittare di loro traspare su molti volti, a volte è un grugno, altre un velo leggero su uno sguardo distante.
Tanto è stato scritto su Rosarno e sulla Piana di Gioia Tauro, specialmente dopo il 2010, dopo la rivolta che ha fatto da spartiacque nella storia recente di questa terra. Serve ancora parlarne ogni volta che comincia la raccolta delle arance? Serve ancora ascoltare le voci di chi in quella Piana vive tuttora? Noi crediamo di si. Terragiusta è un diario di viaggio e una mappa sonora che unisce storie e persone legate tra loro dalla catena delle arance. Nonostante le dialettiche populiste tendano a oscurarne i nessi, ascoltando le voci dei protagonisti di questo audio-racconto, i legami tra i vari anelli sono evidenti. Una mappa per avvicinarci e sentire da vicino e, contemporaneamente, per allargare lo sguardo e non perdere di vista il contesto. Terragiusta è un modo per immergersi in questo spaccato di Calabria, perché crediamo che ci riguardi tutti. (nerina schiavo)