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12 Marzo 2024

Territori di scarto. I Castelli romani contro il progetto di inceneritore della giunta Gualtieri

Lorenzo Natella
(archivio disegni napolimonitor)

Una giornata di sole, nonostante il vento pungente dei pomeriggi invernali ai Castelli romani, ha accolto lo scorso 24 febbraio oltre millecinquecento persone in marcia sull’Appia Nuova, dal corso di Albano fino alla piazza principale di Ariccia. Comitati di quartiere, associazioni, collettivi, gruppi ambientalisti. Quel pezzo di strada ne avrà visti una trentina di cortei come questo, solo negli ultimi quindici anni, tutti per ribadire che il modello di sviluppo territoriale e la gestione dei rifiuti attuale sono sbagliati, dannosi per le comunità, utili al profitto dei soliti noti. A camminare insieme e alternarsi negli interventi non ci sono solo i movimenti dei Castelli romani, ma anche organizzazioni che vengono da Roma e dall’hinterland, rappresentanze da Guidonia, Colleferro, dalla provincia di Rieti. L’oggetto della protesta è il progetto di inceneritore di Roma, che il sindaco capitolino e metropolitano Roberto Gualtieri, anche in veste di commissario straordinario per il Giubileo 2025, vuole far costruire nell’area industriale di Santa Palomba, alla periferia estrema della città, lungo il confine con il territorio di Pomezia.

La lotta per la difesa del territorio, in questa parte di campagna romana che si estende a sud verso la pianura pontina, ha una storia lunga tanto quanto la pianificazione dall’alto della sua trasformazione in un gigantesco polo industriale per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti. Per almeno tre decenni il problema della monnezza di Roma Capitale ha rappresentato un guadagno enorme per gruppi industriali come la famiglia Cerroni, monopolista del traffico di rifiuti nel Lazio. Recentemente questo monopolio è stato spezzato ed è iniziata una lunga fase di ridefinizione dei rapporti di potere economico sulla gestione di questo gigantesco affare. Una “mangiatoia” che, tuttavia, subisce da anni il disturbo attivo delle lotte territoriali. I cittadini e le cittadine della provincia hanno assunto un nuovo protagonismo, determinati a non subire in silenzio, attraverso estenuanti mobilitazioni, ma anche studio, battaglie legali, controllo popolare, presidi quotidiani, blocchi stradali, tessitura di reti solidali. Queste comunità non hanno intenzione di farsi colonizzare da politiche dei rifiuti che estraggono valore da queste terre restituendo solo veleni. Una beffa per comuni che vantano raccolte differenziate su percentuali da far invidia ai territori dell’arco alpino!

Il progetto dell’inceneritore di Albano, che aveva dato il via al movimento No Inc, fu archiviato nel 2015 solo grazie alla tenacia delle lotte. Da allora il business dei rifiuti, con la complicità della politica capitolina, regionale e nazionale, non ha mai fermato il piano di aggressione nei confronti di un quadrante della provincia che fa gola in virtù della sua posizione strategica. Si alternano progetti e atti amministrativi per la realizzazione di discariche, biodigestori, termovalorizzatori, impianti vari e con nomi via via più elaborati. Il settimo invaso della discarica di via Roncigliano – tra i territori di Albano e Ardea, un’area con caratteristiche geografiche che la rendono vittima sacrificale ideale – diventa bersaglio della protesta per più di dieci anni. Dall’estate 2021 il presidio permanente contro la discarica ha resistito davanti ai cancelli del sito per mesi, arrivando a bloccare i camion di rifiuti provenienti da Roma e testimoniando i continui sforamenti e violazioni dell’impianto, fino alla sua definitiva chiusura nel marzo dello scorso anno. Il movimento porta a casa molte vittorie, ma l’aggressione ai danni del territorio aumenta d’intensità finché non si arriva all’idea di realizzare l’inceneritore a Santa Palomba, promossa dalla giunta Gualtieri (e da Acea) come soluzione definitiva ai problemi dell’immondizia che invade Roma.

Il corteo di sabato arriva compatto nella piazza di Ariccia, tra gli edifici barocchi oltre il ponte che affaccia su alcuni dei boschi più preziosi di queste zone. L’inceneritore metterebbe a rischio l’intero equilibrio del territorio, a partire dal fragilissimo sistema idrico già messo a dura prova dalla pressione antropica esistente. I laghi di Nemi e Castel Gandolfo stanno lentamente scomparendo, e con loro altri corsi e specchi d’acqua più piccoli e vicinissimi al sito di Santa Palomba. Pensiamo ai laghetti della Solfatara, dentro la riserva naturale di Decima Malafede, ma anche alle acque sotterranee che rendono possibile l’attività agricola dell’intero distretto. Un progetto come questo darebbe loro il colpo di grazia: per funzionare, l’inceneritore avrà bisogno di ben quattro pozzi di raffreddamento che dovranno attingere direttamente dalla falda acquifera dei Castelli romani. Parliamo di diecimila litri d’acqua l’ora, ogni ora di ogni giorno, per quattro decenni. L’impatto sarebbe devastante.

I manifestanti si chiedono perché, nonostante il Piano Regionale non preveda la costruzione di alcun “termovalorizzatore” ma anzi l’attivazione e l’incremento della raccolta differenziata, Roma dovrebbe andare contro questi indirizzi e dotarsi di un impianto con un bacino d’utenza così grande. Attivando l’inceneritore di Santa Palomba, spiegano dal microfono del corteo, ci troveremmo di fronte a un’utenza extra-regionale. A chi serve tutto questo? Non certo al beneficio delle comunità, ma sicuramente al profitto di chi specula senza scrupoli a danno dei territori. Di una cosa i comitati contro l’inceneritore sono certi: dopo i pronunciamenti negativi del Tar e del Consiglio di Stato, che hanno rigettato i ricorsi delle associazioni con motivazioni totalmente schiacciate sulle posizioni della giunta di Roma, il movimento dovrà contare ancora una volta sulla forza della mobilitazione popolare. Per smascherare ogni bugia, per ribadire che sul nostro territorio abbiamo il diritto di prendere parola, per difendere le nostre terre, le nostre case e la nostra salute. (lorenzo natella)

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