Il 15 ottobre scorso c’è stato, alla biblioteca Ramondino-Neiwiller di via Sedile di Porto a Napoli, il primo incontro di scuola popolare. Sono intervenuti Marco Veruggio, autore del libro Conflitto di classe e sindacato in Amazon (Edizioni PuntoCritico) e un driver di Amazon, che ha raccontato la sua esperienza professionale e di lotta. Riportiamo qui un estratto del suo intervento.
Io faccio il corriere presso un magazzino di Amazon che si chiama in gergo “delivery station”, perché Amazon ha un linguaggio tutto suo. Le chiamano così, le stazioni di consegna. Nel 2020, al tempo della pandemia, io lavoravo ancora in Bartolini. Siamo entrati in Amazon quando ha inaugurato questo magazzino nel settembre 2020. All’inizio ti sembra di essere contento, perché rispetto a chi lavora in Bartolini, GLS, SDA, il lavoro è più semplice, diciamo che la rotta te la fanno loro, non ci sono le bolle, è tutto preciso, studiato, è tutto apparecchiato; solo che subito capisci il trucco: cioè che ti fanno uscire fuori di testa, la loro politica è questa, metterti un livello di stress e di tensione e di fatica tale per cui ti spremono e ti buttano via. Noi su quattrocento corrieri che siamo, trecento sono a scadenza e solo in cento siamo fissi; e anche tra questi c’è un ricambio fortissimo; nel 2020 eravamo entrati in sessanta sotto la mia ditta, perché poi Amazon per i magazzinieri usa l’agenzia interinale, per i corrieri usa le cooperative o le aziende; di quelli, in quattro anni siamo rimasti in dieci; ce lo dissero chiaramente nell’incontro sindacale dopo che facemmo questi blocchi e scioperi in maniera molto spontanea nel 2021, ce lo disse il loro capo delle ditte in appalto che un lavoratore di Amazon più di tre anni non ci può stare lì. Noi siamo come le merci a scadenza, dopo quella data non puoi più andare. Ecco, bisogna capire il perché.
Io sono già quattro anni e mezzo che sono lì e non ho intenzione di andare via, perché è quello che vorrebbero loro. Però è dura e come mai è dura? Non si tratta di fare le vittime, ma di capire cos’è che questi studiano per fare in modo che ogni secondo del tuo tempo e ogni tua energia sia spremuta in modo che a fine giornata tu abbia fatto il 99,5% dei pacchi consegnati. Nel mio magazzino ci sono quarantamila pacchi che vengono lavorati la notte, e noi il giorno si deve portare il 99,5% di questi pacchi. Uno pensa che è impossibile, invece è possibile. Come è possibile? Cos’è che gli permette questa cosa? Primo, il ricatto.
Il ricatto è dato dal fatto che la maggior parte dei lavoratori sono a scadenza e quando uno entra a scadenza è contento di entrare in Amazon perché lo stipendio, siccome c’è la trasferta, è un po’ sopra la media degli altri corrieri. Quindi uno per tenersi quel lavoro fa quello che vogliono loro. E cosa vogliono loro? Vogliono che tu finisca la rotta.
La rotta: non hai sempre la solita zona, non hai sempre i soliti clienti, non hai sempre il solito furgone. Ogni giorno ti danno un’applicazione, te entri e ti dicono questo giorno c’hai 140 stop, 160 posizioni, 185 pacchi. E se sei a scadenza le devi fare veloce, le devi fare bene e se non lo fai loro lo vedono in diretta, non è che aspettano il giorno dopo che qualche crumiro o qualche rompicoglioni ti va a segnalare, no, loro vedono in diretta come stai lavorando. Come fanno? Con questi telefonini qui che ti danno, entrano nella tua pagina mentre lavori e sono lì seduti nel magazzino mentre te schiatti sotto il sole o sotto la pioggia e te sei un puntino, loro vedono questo puntino… queste cose le abbiamo scoperte dopo tre anni che eravamo lì, a suon di parlare con i capetti che hanno fatto carriera, sono loro che ce le raccontano, poi ora c’è stata anche l’inchiesta della procura a Torino che gli ha fatto il solletico ad Amazon, gli ha sequestrato centoventi milioni di euro, li fanno in mezza giornata loro centoventi milioni, però la cosa interessante che è venuta fuori è come fanno a farti lavorare in quella maniera, loro utilizzano questo telefonino, ti vedono sullo schermo, e non è tramite il GPS ma tramite il telefonino che lo fanno, in diretta vedono se hai chiamato il cliente, se gli hai mandato il messaggio, se gli hai lasciato il pacco nel giardino, se l’ha mangiato il cane, se l’ha rubato l’altro vicino, vedono tutto e soprattutto vedono la media che è calcolata dall’algoritmo perché il punto fondamentale di lotta per noi è stata questa cosa qua, che noi praticamente si lavora a cottimo, ma noi non saremmo a cottimo, noi si dovrebbe fare otto ore di lavoro al giorno; ne facciamo nove e mezzo, ma in realtà te lavori fino a che non finisci la tua rotta, che tu abbia cento pacchi o duecento. Loro dicono: l’algoritmo è scientifico, se l’algoritmo dice che puoi farne centoquaranta tu devi farne centoquaranta e invece non è vero assolutamente, lo fanno per convincerti che se non li fai è perché sei sfaticato, perché sei distratto, perché non ti impegni abbastanza.
Quelli come me o altri che siamo lì da più anni, che si è lottato e non ci facciamo mettere troppo piedi in testa, se ti chiamano e ti dicono vai più veloce, oppure perché a quel cliente non gliel’hai consegnato? perché non l’hai lasciato al vicino? io butto giù e faccio la mia giornata, ma lo posso fare io; quelli a scadenza cosa fanno? li chiamano e gli dicono vai a prenderti i pacchi degli altri… e questo lo chiamano “l’aiuto”. Ma non è l’aiuto a me, è l’aiuto a loro. Perché l’aiuto a loro? Perché le ditte hanno i bonus, cioè se fanno il 95% di consegnato Amazon gli dà dei soldi in più e ai capetti uguale. Ma a me, che io porto cento pacchi o ne porto cinquanta, lo stipendio è quello, a me non mi cambia niente. Noi abbiamo una tabella, una classifica che viene fatta ogni settimana, tramite questa applicazione che registra se io sono stato gentile col cliente, se ho trasgredito la sua proprietà, se gliel’ho messo male il pacco, se gliel’ho messo bene… io non la guardo nemmeno perché a me non mi cambia niente, ma loro la usano per dare questi bonus all’azienda e soprattutto per fare pressione sui lavoratori per arrivare al cento per cento di consegne.
Il punto è questo. Perché loro stressano così tanto? Perché loro non vogliono resi, non vogliono nulla a magazzino e vogliono continuare a inebetire, a rendere come degli automi tutte le persone che consumano. Perché se te ordini il martedì, loro ti dicono: il pacco è previsto per giovedì. Ma se ti arriva il giorno prima, te subito rifai un altro acquisto. Se io invece vado piano e tutti andassimo alla velocità normale, il pacco arriverebbe venerdì. E allora il consumatore è più difficile che nel frattempo acquisti altro. Quindi c’è un meccanismo infernale che loro fanno tramite questo controllo e tramite il ricatto.
Un’altra cosa che mi sono scordato di dire è che la maggior parte di noi siamo assunti a tre giorni o a quattro giorni, in modo tale che per lavorare sei giorni e avere uno stipendio dignitoso devi fare come dicono loro. Se non lavori come vogliono loro, cioè se non finisci la rotta, ti fanno fare solo quei tre giorni lì e con 1.100 euro non ce la fai. Questo è il ricatto che loro usano, ma ce ne sono tantissime di strategie che utilizzano per cercare di evitare l’unione dei lavoratori.
Negli Stati Uniti, durante la pandemia, Amazon non era riuscita a controllare il fatto che la gente rallentava il lavoro, si sentiva male, ecc. Allora è lì che ci sono stati i primi scioperi, che la gente ha iniziato a contestare il ritmo, ma contestare il ritmo è anche contestare il modo in cui sei trattato. E negli Stati Uniti si sono creati degli scioperi, dei picchetti, dei movimenti sindacali, e cosa ha fatto Amazon? Quando siamo entrati noi in magazzino hanno messo questi rilevatori di distanza che all’inizio loro dicevano che erano per non infettarsi e invece hanno usato questa cosa che se io mi avvicino a te più di un metro e mezzo suona tutto, tipo allarme, e anche ora che la pandemia non c’è più c’è sempre questa cosa che te non devi stare vicino a quell’altro, non solo nel magazzino ma nemmeno vicino col furgone; se io mi metto insieme ad altri due colleghi perché magari finisco prima sul viale prima di rientrare al magazzino, dopo un minuto lo chiamano, a me no perché sono fisso ma quell’altro che è precario lo chiamano perché lo vedono da questi telefonini, quindi diciamo che questo elemento del controllo a distanza che loro dicono che è per la sicurezza, in realtà è un controllo utile per la produttività e per tenere separati i lavoratori.
Questa è l’ideologia loro, che te devi essere il primo e ti fanno proprio la classifica. E poi c’è qualche rintronato, scusate il termine, che fa la gara: io ne ho fatti 170, io ne ho fatti 190, io ne ho fatti 210 e questo è il sistema che loro vogliono, la competizione. Tanto i soldi che becchi sono sempre gli stessi e soprattutto levi il lavoro all’altro. Noi abbiamo fatto scioperi e blocchi nel 2021, il magazzino era appena aperto, loro non erano tanto preparati e fecero questa cosa assurda che dopo il periodo del picco, che ora li chiamano picchi di produzione, prima era il Black Friday, ora ogni settimana c’è un picco, ogni settimana c’hai una mole di lavoro maggiore, e loro dopo il picco di Natale dissero che c’era un calo, che però non era vero, semplicemente stava andando giù il picco e questi geni, d’accordo col sindacato confederale, provarono a farci mettere un giorno in cassa integrazione per continuare a guadagnare come guadagnavano prima. Questa cosa non è riuscita, noi gliel’abbiamo impedita, però ti fa capire proprio il tipo di sistema di queste multinazionali, basato sul controllo, sull’oppressione, sul fatto che noi siamo stressati e diamo retta a loro quindi questo è il punto sul quale sicuramente Amazon è avanti; anche se all’apparenza ti sembra più agevole, è agevole solo per loro per farti portare più pacchi e per costringere la gente a comprare sempre di più. (un driver di amazon)