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3 Luglio 2024

Tor Pignattara contro la violenza. E contro il disprezzo istituzionale

Stefano Portelli
(foto di salvo bullara)

Martedì sera al parco Sangalli di Tor Pignattara a Roma c’è stata una grande manifestazione di solidarietà antirazzista, dopo l’aggressione contro tre genitori i cui figli giocavano nel parco e a cui è stato gridato di tornare nel proprio paese. Un corteo è partito dal parco, rifiutando la presenza del Pd locale tra i manifestanti, e ha sfilato per via di Tor Pignattara fino alla Casilina; nel parco sono rimaste centinaia di adulti e bambini a manifestare e condividere la rabbia per la violenza razzista in una zona percepita come familiare. Le bandiere dei partiti e dei sindacati che sventolavano sopra una parte del presidio erano l’unica presenza estranea alla manifestazione; del resto, sono state abbassate quando ha parlato una rappresentante dei giovani palestinesi, che ha inchiodato i Democratici alle loro responsabilità nel fomentare il razzismo. Il presidio si è concluso con i tamburi della murga in mezzo al campo da basket.

Le comunità di genitori che in questi anni si sono formati intorno alle scuole del quartiere, soprattutto il plesso Pisacane della scuola Simonetta Salacone, hanno sempre fatto dell’antirazzismo il pilastro delle loro attività, costruendo infinite occasioni di incontro e scambio tra italiani e stranieri, in uno dei quartieri di Roma dove le seconde generazioni hanno raggiunto i quarant’anni e le terze non hanno certo più una “casa” dove tornare. Ma Tor Pignattara è anche pesantemente segregata dal punto di vista sociale e urbanistico: ha una densità simile a quella di Nuova Delhi; la più bassa concentrazione di verde dell’area metropolitana; trasporti pubblici minimi; pochissime case popolari; una viabilità privata distopica; foreste di barriere architettoniche; livelli di inquinamento tra i più alti della città; e un altissimo tasso di abbandono scolastico. Le istituzioni fanno il possibile per “etnicizzare” i problemi di questa parte di Roma, lasciata sin dal dopoguerra allo strapotere della speculazione privata, che prima si è arricchita sulle spalle di migranti ed ex baraccati meridionali, e ora permette ai pochi arricchiti allora di speculare sui migranti bengalesi.

“Questa è casa nostra”, era il grido razzista delle ragazze nel parco. Ma le case di Tor Pignattara sono ancora in parte abusive, non accatastate, senza fogne o precarie, nonostante la gentrificazione abbia spinto i prezzi degli affitti ai livelli delle zone ricche intorno, obbligando le famiglie più povere a stiparsi in pochissimo spazio. I ragazzi e le ragazze del quartiere, dopo le scuole medie, non hanno centri estivi che non siano privati, indipendentemente dalla loro religione o colore della pelle; il parco Sangalli, strapieno di bambini e ragazzi di tutto il mondo e di tutte le età, per quanto pittoresco, è il simbolo della densificazione speculativa a cui devono sottomettersi tutti, italiani e cosiddetti “stranieri”, pur di vivere in questa zona. La grandissima rete dell’associazionismo antirazzista ha tamponato queste gravi mancanze pubbliche con strumenti “comunitari” anche di alto livello, a volte rivolgendosi a imprese del terzo settore, che quindi non possono offrire servizi universali; e deve convivere con un revanchismo diffuso, che ha già mostrato di poter diventare violento (non solo con l’omicidio di Shahzad Khan nel 2014; più di recente con la morte di Mustafa Fannane, finito in Cpr dopo l’allontanamento dal quartiere promosso da un gruppo di abitanti). Ma questa violenza razzista, questo continuo senso di dover sopraffare o essere sopraffatti, è il frutto marcio della gentrificazione, che densifica la città senza che le istituzioni preposte si sentano in obbligo di aprire scuole, asili, biblioteche, parchi, piazze, piscine, centri di aggregazione, né di distribuire le risorse a chi ne ha bisogno.

Così le pochissime strutture pubbliche esistenti, come il parco dell’aggressione, diventano inaccessibili, o insostenibili; ma la retorica dello “scontro tra culture” permette di celare il profondo disprezzo istituzionale verso tutti gli abitanti e le abitanti del quartiere, “italiane” o “migranti” che siano. (stefano portelli)

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