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18 Dicembre 2020

Trump e Biden, la grande illusione delle elezioni americane

Derek Eller
trump biden elezioni
(disegno di daniele nitti)
A un mese e mezzo dalle elezioni presidenziali, e nell’attesa di una formale ufficialità della vittoria del candidato democratico Joe Biden, Donald Trump insiste ancora nell’opporsi ai risultati delle urne, mentre la Corte Suprema respinge gli ultimi tentativi di ricorso dei repubblicani contro l’esito delle elezioni e nelle piazze di varie città americane scoppiano disordini tra i sostenitori del presidente uscente e la polizia. Il testo che segue è un commento a freddo sull’esito delle elezioni di un giovane attivista del sindacato inquilini di Los Angeles, attualmente in Italia.
*     *     *

Nonostante i sondaggi e i grafici rassicuranti che descrivevano le diverse possibilità di ciascun esito, durante la notte elettorale c’era ancora la sensazione che i Democratici, per la seconda volta di fila, stessero bruciando le elezioni più facili da vincere nella storia americana. Il ricordo del 2016 incombeva, mentre gli opinionisti spiegavano infervorati di aver corretto i loro precedenti errori tenendo conto di nuove variabili. Nonostante le rassicurazioni che l’aumento del voto democratico sarebbe arrivato con lo spoglio del voto postale, la mappa della notte elettorale, con gli stati decisivi di Pennsylvania, Wisconsin e Michigan tutti rossi, era impressionante quasi come la prima volta. Ma mentre i voti totali continuavano ad arrivare, il “blue shift” ha capovolto un pugno di stati chiave, e Joe Biden è stato eletto 46° presidente degli USA.

In un mondo diverso, senza la crisi del Covid e il conseguente declino economico, Trump sarebbe probabilmente stato rieletto. Prima che la profondità della crisi diventasse evidente, sembrava che Biden dovesse affrontare un presidente uscente con un mercato azionario in crescita, un basso livello di disoccupazione e un consenso all’interno del suo partito tra i più alti della storia. Guardando la campagna elettorale da lontano sentivo un senso di indifferenza e inevitabilità sulla possibile rielezione di Trump; le probabilità non sembravano mai migliori del lancio di una monetina. Ma nel giorno delle elezioni, con le morti per Covid che sfioravano il quarto di milione, la disoccupazione all’otto per cento e un’economia in crisi, Biden ha ottenuto una maggioranza molto ridotta nel collegio dei grandi elettori.

Con il senno di poi, guardando indietro al 2016, sembrava ovvio che Trump dovesse vincere. Nei dibattiti delle primarie, dove tutti gli aspiranti presidenti repubblicani competono per la nomination, i suoi concorrenti sembravano dei brontoloni tristi e malridotti o dei ripugnanti mostri umani, mentre Trump vibrava letteralmente di spavalderia e sicumera. Ed era anche divertente: pure coloro che lo trovavano sgradevole, provavano un certo brivido nel vederlo rompere le regole, vantarsi delle dimensioni del suo pisello o accusare il padre del suo oppositore di aver ucciso Kennedy. Non gli costava nessuno sforzo, perché era nel suo elemento, e non si giocava niente. Trump iniziò la sua corsa alla presidenza con una trovata pubblicitaria, e cominciò a vincere solo per caso.

Come uomo, Donald Trump è indifferente, solipsista e miserabilmente volgare, ma è realmente eccellente in un’attività: creare e sfruttare la pubblicità. Riconosce le cose istintivamente prima di chiunque altro: la politica partitica statunitense, sotto il consenso neoliberale, dalla dimensione materiale è trascesa in quella estetica. È diventato possibile vincere mettendo in piedi uno show fatto bene, attingendo alla combinazione giusta di significanti culturali: uno spettacolo del genere può essere messo in onda gratuitamente persino su media che si dicono di opposizione. Quattro anni fa la maestria di Trump nell’uso dei mass media, combinata con il suo ruolo di presidente, lo ha trasformato in una valanga culturale irresistibile: uno spettacolo totalizzante che permeava tutti gli aspetti della cultura americana. Questo ha alimentato una reazione culturale liberale di uguale portata: i programmi televisivi iniziarono a distribuire colpi maldestri contro il sessismo e il razzismo, o a infilare forzate metafore sul trumpismo o l’immigrazione.

Il ritorno di Biden in questo panorama culturale è arrivato al momento giusto. Aveva iniziato la sua carriera opponendosi all’integrazione razziale nelle scuole, ha avuto un  ruolo importante nell’aumento esponenziale dell’incarcerazione della popolazione nera ed è stato accusato in modo credibile di stupro e molestie sessuali. I movimenti che hanno segnato l’epoca Obama-Trump – Black Lives Matter, contro la violenza della polizia, e #MeToo, contro la violenza sessuale sulle donne – sono stati schiacciati dal Partito Democratico con la nomina di Biden, un relitto di un’era precedente, i cui anni migliori sono stati quelli passati come vicepresidente di Obama, un esempio perfetto di come ci si può trovare al comando solo per essere stato lì più a lungo degli altri. Invece che una debolezza, questa è stata l’attrattiva principale di Biden. Non avrebbe messo fine solo allo spettacolo cacofonico e repellente di Trump, ma anche all’autoflagellazione delle politiche identitarie liberali. La campagna di Biden si fondava sulla nostalgia dell’epoca di Obama, offrendo la possibilità di azzerare ogni aspetto dello spettacolo di Trump e di tornare indietro, a un tempo e una cultura diversa. Di fatto, nel 2020 era Joe Biden il candidato di “Make America Great Again”.

Questa elezione è stata provvidenziale per continuare la messa in scena della politica statunitense, e forse ha rappresentato il migliore dei mondi possibili per la leadership del Partito Repubblicano e del Partito Democratico, nonché per gli stessi Trump e Biden. Durante Trump, il Partito Repubblicano ha completato il suo progetto quarantennale di costruire una Corte Suprema duramente reazionaria, e ha mantenuto una Camera e il controllo dei governi della maggior parte degli stati. I repubblicani sono ben coscienti di essere un partito minoritario, il cui gioco di lunga durata si basa sul far passare leggi estremiste che riducano i diritti civili, elettorali e del lavoro, a livello statale, con l’intenzione di farle confermare nelle corti federali. La presidenza non è più necessaria, e Trump ha fatto la sua parte prima di andar via, mentre i suoi oppositori vengono lasciati a raccogliere i cocci del disastro nazionale. La presidenza è andata alla fazione più conservatrice del Partito Democratico, che così ha anche sconfitto la forte insurrezione socialdemocratica della campagna di Sanders, dimostrando che la sinistra ideologica o non è necessaria per vincere, oppure non può fare altro che sostenerla. Si insedieranno con una Corte Suprema con sei giudici conservatori contro tre, e con un Senato repubblicano. Quando i democratici sono al potere, la destra del partito si deve sforzare per spiegare il fallimento nel rispondere alle richieste sociali più popolari, come la copertura sanitaria universale e la gratuità del sistema educativo. Con un governo diviso potranno facilmente sostenere di dover affrontare un’opposizione troppo forte.

Joe Biden l’anno prossimo assumerà la presidenza dopo una vita intera di manovre politiche. Ma Donald Trump otterrà il miglior finale possibile alla sua storia. Colpito dal Covid, anziano e completamente privo della fiducia che aveva nel suo primo mandato, la presidenza per lui sarebbe stata un peso. Con poche eccezioni, odiava la gestione quotidiana: sono una grande pressione, e lui non ha nessun obiettivo ideologico per cui valesse la pena occuparsene. Ma è un uomo presuntuoso, con una paura profonda di perdere. Nelle circostanze specifiche delle elezioni, in cui i voti di tendenza repubblicani sono stati contati prima, e quelli democratici dopo, era facile sollevare un polverone sui presunti brogli per le persone più ingenue e sconnesse dalla realtà. Milioni di persone credono in lui con tutto il loro cuore. Forse ora sarà in grado di fare quello che si era proposto originariamente di fare nel 2016, dopo essere ritornato con successo nella coscienza pubblica: ospitare uno spettacolo televisivo, o comprare un nuovo canale, rassicurato dal fatto che, nelle menti di milioni di persone, ha comunque vinto lui. (derek eller / traduzione di stefano portelli)

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