Quando, passate le 14, dopo più di due ore la delegazione ricevuta in prefettura è uscita dal Palazzo del governo in piazza Plebiscito, le duecento persone in presidio, rappresentanti delle comunità migranti, di associazioni e collettivi antirazzisti (tra gli altri: Ex Opg, Associazione 3 febbraio, Cgil, Asgi, Associazione dei senegalesi di Napoli), hanno fatto partire un applauso liberatorio. Erano in strada dalle 10, sotto un caldo opprimente attenuato solo da due gazebo, in attesa di notizie che avrebbero determinato il destino di centoquarantasei ospiti dei Cas della zona di piazza Garibaldi, per i quali la prefettura ha avviato la procedura di revoca dell’accoglienza. I migranti erano risultati assenti dai centri durante un controllo effettuato alle 22,00 dello scorso 13 agosto.
Esito dell’incontro è che gli ospiti dei Cas interessati resteranno presso le strutture di accoglienza, ma solo in attesa che si completi l’istruttoria del procedimento (anche con l’esame delle istanze difensive). La prefettura ha indicato in un paio di settimane il tempo necessario per assumere le sue decisioni, mentre associazioni e comitati si dicono pronti a riprendere la lotta, in caso di revoche definitive: con azioni di protesta e per vie giudiziarie, con eventuali ricorsi al Tar, per bloccare quella che viene ritenuta una misura illegittima.
A ridosso del Ferragosto, infatti, la prefettura ha deciso di applicare per la prima volta l’art. 4 del regolamento adottato dallo stesso ufficio territoriale del governo nel 2017, che prevede una “regola di rientro” per la quale i migranti devono essere nei centri entro le 21 (entro le 20 in inverno), pena la revoca dell’accoglienza. Un dispositivo che, come sottolineato dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, non solo non trova riferimenti nelle leggi di specie, ma potrebbe anche violare alcune normative nazionali ed europee, oltreché mortificare “la dignità dei soggetti accolti, senza che ne sia motivata la ragione e con conseguenze molto gravi”.
Anche sulle modalità con cui si sono svolti i controlli, i migranti hanno sollevato diverse contestazioni: sembra infatti che, almeno in una delle strutture controllate, molti tra loro fossero immediatamente all’esterno dello stabile, intenti a prendere un po’ d’aria, fumare una sigaretta o cercare una connessione wi-fi. Una volta iniziati i controlli, sarebbe stato impedito loro il rientro in struttura dagli agenti posti a presidio della porta di ingresso dell’hotel trasformato in Cas. Altri hanno contestato come, pur rispondendo all’appello del controllo, sarebbero stati iscritti nella lista degli assenti, mentre in tanti hanno riferito di ritardi dei mezzi pubblici di trasporto, al rientro da attività lavorative.
Al di là di eventuali elementi giustificativi dell’assenza, o di possibili vizi di forma e procedurali nelle operazioni di controllo (sui quali la prefettura ha assunto l’impegno di realizzare approfondimenti), è l’esistenza stessa del regolamento a palesare il paradigma razzista nei confronti dell’immigrato: pericoloso, quindi da tenere chiuso e controllato la notte, infantilizzato da orari che non appartengono all’età adulta, reificato, privato burocraticamente della sua autonomia, minorato. Anche se non applicata, quella “regola del rientro” tratteggia la visione delle nostre istituzioni nei confronti dei migranti.
Ma perché, allora, attuare questa previsione proprio ora? Perché al ferimento di un migrante da parte di due italiani nella stessa zona del Vasto, a inizio agosto, la prefettura risponde con questa “retata burocratica” che scarica sui migranti la responsabilità di episodi di violenza di cui sono vittime? Perché non sono oggetto di controllo le strutture di accoglienza, su alcune delle quali pure pendono pesanti accuse, e lo sono invece persone la cui sola colpa sarebbe un ritardo? Ci sono state, come molti ipotizzano, pressioni ministeriali, magari sollecitate dalla destra locale, che nella zona del Vasto continua a montare campagne d’odio contro i migranti? Oppure si tratta di un più banale effetto simbiotico, tipico di certa burocrazia, che anche in assenza di specifiche indicazioni tende ad adeguarsi al clima politico generale? Si vuole provare a diminuire, in questo modo, la presenza di richiedenti asilo che la stessa prefettura aveva concentrato nell’area? Hanno un peso i possibili avvicendamenti prefettizi che pare potrebbero interessare anche Napoli?
Tutte domande a cui sarà il tempo a rispondere. Nel frattempo i funzionari avrebbero promesso nuovi controlli ai centri, trovando risibile la richiesta, se non di eliminare, almeno di prolungare l’orario di rientro. Una prefettura salvinizzata, che non tiene conto del fatto che, come denunciato da tanti nel corso della manifestazione, revocare a queste persone l’accoglienza significherebbe costringerle alla strada, consegnarle alla camorra, determinare un problema di ordine pubblico e nuove spirali d’odio. A meno che non siano proprio questi gli obiettivi che si intendono perseguire. (antonio esposito)
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