Acclamato dalla critica e dal pubblico, Manodopera (interdit aux chiens et aux italiens) è stata una delle piacevolissime sorprese al cinema degli ultimi mesi. È un film d’animazione, girato in stop-motion, di Alain Ughetto, regista francese classe 1950 che aveva girato un solo lungometraggio in precedenza, Jasmine, nel 2013.
Il film è autobiografico: Ughetto percorre a ritroso la storia dei propri nonni, emigranti piemontesi nella Francia di inizio Novecento, raccontando questa straordinaria e semplice famiglia che attraversa le guerre mondiali e il fascismo, senza retorica verso “antichi valori” o verso i “bei tempi andati”.
Ora, la bellezza di questa rappresentazione è duplice. Ughetto riesce a fare un film estremamente intimo e personale, e capace tuttavia di raccontare la Storia con la maiuscola: cosa significò la mattanza della prima guerra mondiale, come il fascismo s’adoperò attivamente per reprimere lotte sindacali e diritti, l’accoglienza certamente non “rose e fiori” che i lavoratori italiani ricevevano in Francia – da qui, appunto, l’aggiunta al titolo tra le parentesi, interdit aux chiens et aux italiens, come recita un cartello fuori a una locanda che la famiglia di emigranti incrocia in terra francese.
La forte intimità dell’opera e la sua capacità di empatizzare con lo spettatore risultano non soltanto dalla “mano” del regista, intesa in senso letterale, che irrompe nello schermo e dialoga con la nonna all’inizio e alla fine del film; ma da una serie di stupende trovate stilistiche (la successione asciutta dei capitoli, l’ottimo commento sonoro di Piovani) che rendono Manodopera una piccola gemma, capace di incantare grandi e piccoli.
Ughetto prende tutto il rigore e la lezione, per esempio, di un Bresson, e rende le scene più toccanti con quella calma e quel silenzio che innalzano poeticamente i momenti di lutto e disperazione. Perché è evidente che Manodopera è anzitutto la ricerca delle proprie origini in un periodo storico dove la vita di un uomo non valeva più di quella di un fiore; e lo sforzo liberatorio e le lotte di quelle donne e quegli uomini ci arrivano – e questo è il senso generale del film – come se essi fossero anche la nostra famiglia, anche la nostra storia. Da non perdere. (salvatore iervolino)