20 Febbraio 2024
ORA O MAI PIÙ - STOP WAR ON JOURNALISM
Il 20 e il 21 febbraio l'Alta Corte Britannica si riunirà per pronunciarsi in merito all’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, dove lo attende una condanna, già scritta, a centosettantacinque anni di carcere. A Napoli, un presidio è stato convocato per il 20 febbraio, alle ore 17:00, davanti al consolato degli Stati Uniti (piazza della Repubblica, 2).
La sola colpa di Assange è quella di aver rivelato al mondo gli atroci crimini di guerra commessi dall'esercito Usa, in Iraq e Afghanistan. Vittima di persecuzione giudiziaria, vive privato della sua libertà da circa dodici anni, dapprima come rifugiato politico nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, per poi essere recluso, dal 2019, nel carcere speciale di Bermash, dove vive in condizione disumane, in attesa di estradizione.
La magistratura britannica dovrà pronunciarsi in un momento storico di grandi stravolgimenti e il suo verdetto potrebbe rappresentare, sul piano giuridico, un punto di non ritorno per la libertà di informazione a livello globale: se Julian Assange verrà estradato nessun giornalista potrà sentirsi al sicuro e libero di raccontare i crimini commessi da qualsiasi stato nel mondo.
La persecuzione politica di Assange avviene in un contesto geopolitico estremamente precario, in cui assistiamo a una sistematica violazione dei diritti umani e alla normalizzazione dei crimini di guerra. Il genocidio in corso a Gaza, ultimo atto del progetto coloniale israeliano, mostra come il controllo dell’informazione vada considerato elemento integrante nella pianificazione bellica.
Il totale divieto di accesso a Gaza della stampa internazionale, le decine di giornalisti arrestati in Cisgiordania, l’eliminazione sistematica di giornalisti e delle loro famiglie con continui bombardamenti mirati, dimostrano un preciso disegno militare, che ha l'obbiettivo di eliminare qualsiasi fonte di informazione estranea alla propaganda di guerra. L'ottusa atrocità della guerra rende difficile una stima aggiornata delle vittime, ma di fatto possiamo affermare che l’invasione in corso a Gaza rappresenta, a oggi, il conflitto con il più alto numero di giornalisti uccisi nella storia dell'umanità.
Giornalisti e giornaliste diventano un obiettivo militare, ma il popolo palestinese, consapevole che il racconto della verità rappresenta un importante strumento di difesa nelle mani della resistenza, negli ultimi anni ha sviluppato strategie e competenze che gli permettono di contrastare Israele nel controllo dei mezzi di informazione. Importante è osservare come la guerra all'informazione travalichi i confini del territorio palestinese e dell'area medio-orientale, investendo direttamente il resto del mondo.
In Europa e negli Usa, si moltiplicano i casi di giornalisti licenziati o ridimensionati per non aver accettato la linea editoriale filo-israeliana imposta da importanti testate nazionali e internazionali. In Italia, patria del "segreto di Stato", da anni arenata oltre il quarantesimo posto nella classifica sulla libertà di stampa, va segnalato l’importante gesto dal giornalista di Repubblica Raffaele Oriani che in una lettera di dimissioni dal giornale, con riferimento al conflitto palestinese, scrive: “Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi”.
In un clima di guerra permanente, che assume i caratteri di uno scontro aperto tra grandi potenze, sempre più stati considerano la libertà di informazione come un elemento di debolezza da contrastare dentro e fuori i propri confini. Alla luce di queste considerazioni riteniamo Julian Assange e i giornalisti quotidianamente uccisi in Palestina vittime di uno stesso disegno criminale che, in maniera trasversale, coinvolge sia le pseudo democrazie sia regimi dichiaratamente autoritari che governano il mondo.