UN SANTO AL GIORNO # 6 febbraio: San Paolo Miki
Paolo Miki è il primo martire giapponese, o meglio il primo giapponese caduto martire per la fede cristiana. La sua vita fu molto semplice. Egli appartenne allo stuolo imponente dei primi convertiti giapponesi dopo il più antico tentativo di evangelizzazione del paese, legato alla storia di San Francesco Saverio. Quest’ultimo era stato in Giappone verso il 1550, e vi aveva gettato i primi semi dell’apostolato. Dopo di lui, l’opera venne proseguita dai confratelli della Compagnia di Gesù, con successo sorprendente, se si pensa alle difficoltà dell’ambiente, alla mentalità così diversa da quella occidentale, e alle difficoltà legate alla lingua. Trent’anni dopo si contavano in Giappone più di duecentomila cristiani. Uno di questi era il giovane Paolo Miki, nato a Kioto nel 1556. Entrato ventenne nel seminario dei Gesuiti, ad Anzuciana, era diventato novizio, aggregandosi poi ai seguaci di Sant’Ignazio. Per lui, giapponese di lingua e di cultura, lo studio del latino fu irto di difficoltà. In compenso divenne ottimo conoscitore delle dottrine e delle usanze buddiste, e ciò gli permise di sostenere le discussioni con i dotti del luogo, ottenendo numerose conversioni. Fu ottimo predicatore, il migliore del proprio tempo, e fu scritto di lui che “mostrava il suo zelo più con i sentimenti affettuosi che con le parole”.
Fino al 1590, i missionari cristiani furono circondati, in Giappone, da un clima di tolleranza e spesso benevolenza. Ma improvvisamente, per diversi e complessi motivi, lo shagun Taicosama decretò l’espulsione dai suoi stati dei missionari gesuiti. Gran parte dei religiosi restò, nascondendosi e proseguendo l’opera di apostolato in modo semiclandestino. Ma l’arrivo di nuovi missionari e il loro proselitismo urtò Taicosama il quale, nel 1596, decretò l’arresto di tutti i missionari.
Paolo Miki venne catturato a Osaka, con due compagni. Trasferito in carcere a Meaco, vi trovò altri cristiani e missionari, ventisei in tutto: sei francescani, tre gesuiti giapponesi e diciassette laici giapponesi, tra i quali due ragazzi di undici e tredici anni. Subirono tutti raffinate e umilianti torture, tra le quali il taglio dell’orecchio sinistro, e l’esposizione allo scherno della popolazione. I persecutori tentarono di farli rinnegare, ma nessuno dei ventisei disertò. Il 5 febbraio 1597 vennero messi a morte su una collina presso Nagasaki, chiamata poi “la santa collina”. Legati con funi sulle croci, vennero trafitti da due lance incrociate, trapassanti il cuore. (torna ai santi)