Salve – ed è inutile che cominciate a guardar male – sono il Bossolo del quartiere. Potete trovarmi sui marciapiedi della vostra città, tra gli scarti dell’euforia, incastonato con la stessa lucentezza del diamante tra due grossi basoli di piperno, oppure accanto a una batteria ormai svuotata del suo contenuto pirotecnico. Faccio paura per la mia schizofrenia. Fin quando sono a salve e soddisfo un feticismo tendente al delirio di onnipotenza, posso pure confinare i miei effetti nel perimetro delle future conseguenze, ancora inesplose. Lavoro al servizio della pornofonia e della presa di possesso, materiale e simbolica.
Quando invece la mia natura avvolgente lascia partire ogni sorta di calibro vivo nell’istante, e allora – balistica permettendo – mi trovate conficcato nei costati, negli addomi come nei crani; buco arti, superiori o inferiori che siano. Dunque detono o uccido a fasi alterne, governo e sono governato, come tutti. Se è vero che “ognuno ha quei princìpi che ha la cosa che egli ha”, ne va che chi mi possiede è posseduto da un istinto di morte che io finisco con l’alimentare.
In quanto Bossolo sono un contenitore, ma anche un contenuto. Vi sono familiare, nonostante il grande costo emotivo della mia capillare presenza. Questa confidenza è il travestimento dell’alienazione, che a sua volta somiglia a quella fata delle fiabe (vedi Gunther Anders) che una volta guarisce un cieco, non già liberandolo dalla cateratta, bensì infliggendogli una cecità supplementare: lo rende cieco di fronte all’esistenza della sua cecità, gli fa dimenticare il reale aspetto della realtà; e ottiene questo risultato inviandogli sogni che si susseguono senza sosta, come un fuoco d’artificio. Ma è ovvio che sto divagando, come un proiettile. (cyop&kaf)
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