Incontro M. nella stazione di piazza Garibaldi, tra i pendolari e il ronzio forte dei treni. Ha meno di trent’anni, una laurea magistrale in linguistica e ha lavorato dieci mesi nel call center Almaviva di Napoli (azienda in outsourcing che gestisce le commesse di Vodafone). M. lavorava come outbound, l’operatore che contatta e chiama i clienti, a differenza dell’inbound che assiste i clienti e riceve le telefonate. Ha incominciato questo lavoro perché dopo l’università aveva bisogno di un impiego flessibile che le permettesse di mettere qualcosa da parte e nel frattempo cercare altro. A gennaio 2016 la chiamarono per un colloquio e cominciò a seguire la settimana di corso che l’avrebbe aiutata a conoscere il sistema operativo. «In realtà sarebbero bastate ventiquattro ore – dice –, o comunque sarebbe stato più utile fare l’affiancamento con qualcuno che già lavorava con quel tipo di sistema, anche perché questa settimana non prevedeva alcuna retribuzione».
M. il primo febbraio dello stesso anno firmò con Almaviva un contratto di collaborazione di durata mensile. Il part-time a tempo determinato (differente da quello a tempo indeterminato previsto per i lavoratori inbound) prevedeva venti ore settimanali, non più di quattro ore al giorno, rinnovabili ogni mese a discrezione dell’azienda. «Il contratto – racconta – non mi ha mai convinto, era molto vago persino sulle pause: dovevano essere di quindici minuti ogni due ore, a discrezione del lavoratore, ma i team leader incitavano a fare delle pause collettive. I dipendenti, infatti, dovevano essere sincronizzati, poiché se vi era solo una persona alla postazione, il traffico telefonico (una telefonata ogni cinque minuti) diventava ingestibile. Dovevamo segnalare ogni pausa inserendo la password a ogni entrata e uscita dal sistema operativo, in effetti non avevamo neanche ben capito se fosse una pausa controllata o no. Per un po’ smettemmo di segnarla eppure non successe nulla».
Per quanto riguarda la retribuzione, il contratto di M. e dei suoi colleghi prevedeva che l’azienda anziché pagare il tempo in cui il dipendente stava alla postazione di lavoro, pagava solo il tempo in cui l’operatore effettivamente stava parlando a telefono con il cliente, il cosiddetto talking. In pratica esistono due modi di lavorare in outbound: o fai partire tu le chiamate, quando ci sono delle campagne promozionali, oppure le chiamate sono effettuate dai clienti per eventuali problemi. Quando la chiamata parte dal call center non viene pagato lo squillo o il tempo impiegato nel contattare l’utente, ma solo il tempo in cui l’operatore emette delle parole che vengono segnalate mediante un contatore. «Se si stava in azienda quattro ore, se ti andava bene si potevano contare due ore di talking. L’ora effettiva in cui parlavi con il cliente veniva pagata circa cinque euro. Molte volte capitava che si dovessero fare dei giochetti per mantenere la linea con il cliente e continuare a parlare; oppure, se alla chiamata non vi era nessuna risposta, bisognava attendere la segreteria telefonica per lasciare un messaggio che veniva considerato talking», spiega.
M. e i suoi colleghi non hanno mai percepito alcuno stipendio fisso. «Se riuscivi a fare cento contratti che valevano quattro euro cadauno, quindi quattrocento euro mensili, e la retribuzione del talking valeva di meno (per esempio trecento euro), gli introiti non venivano sommati, ma lo stipendio che percepivi era semplicemente la somma più alta guadagnata. Io non ho mai fatto molti contratti e il mio stipendio massimo è stato di trecentocinquanta euro mensili».
Per arrivare a sbarcare il lunario molti dei colleghi di M. rimanevano dieci ore in azienda cercando di fare più contratti e più talking; gli stessi team leader invitavano i dipendenti a coprire tutte le fasce lavorative. L’outbound funziona tramite liste telefoniche. Almaviva compra da Vodafone, la sua azienda committente, le liste dei numeri da contattare. Le liste “pulite” (vengono chiamate così in gergo le liste che comprendono gli utenti ancora non contattati per la prima volta) hanno un costo alto e vengono date ai dipendenti che pian piano iniziano a chiamare. «Spesso succedeva che le liste finissero entro le prime due settimane del mese poiché molti dei miei colleghi, chiamando per dieci ore gli utenti, riducevano le possibilità di lavoro per gli altri operatori. Insomma, ognuno lavorava per il proprio tornaconto. Anche perché non c’era nessun tipo di controllo o di blocco. Non solo, essendo finite le liste dovevi richiamare sempre le stesse persone, creando frustrazione da entrambi i lati: tu che chiami e quello che riceve la chiamata».
Alcuni degli operatori outbound che si occupavano di alcune promozioni specifiche, come quelle per la rete fissa, per un periodo lavorarono davvero poco perché Almaviva non comprava le liste telefoniche. Quando ci furono gli scioperi dei lavoratori inbound di Almaviva, gli operatori outbound non si erano accorti di nulla. Le notizie non erano trapelate e gli stessi rappresentanti sindacali non avevano fatto partecipi questi lavoratori perché, non essendo a tempo indeterminato, non erano considerati dipendenti a tutti gli effetti. «La nostra era una strana isola felice. Mentre i colleghi inbound scioperavano nel cortile, tra le nostre postazioni si festeggiava con una torta un anno di lavoro insieme», ricorda.
M. racconta che quando è andata a Roma a scioperare con i suoi colleghi inbound, alcuni dei rappresentanti sindacali le dissero di salire sul pullman solo nel caso che non si fosse riempito, poiché non era considerata parte integrante dei lavoratori dell’azienda. Anche quando ci fu il referendum tra i dipendenti Almaviva per capire quali fossero le opinioni sulla rotta che stava prendendo l’azienda, gli outbound non furono chiamati a votare. Durante gli scioperi venne chiesto infatti agli outbound di non recarsi a lavoro, non per solidarietà ma per evitare confusioni. «Anche quando ho avuto un incidente andando a lavoro ho dovuto fare una battaglia per potere usufruire di un’assicurazione sanitaria. Quando chiamai la responsabile delle risorse umane di Almaviva quasi si stupì del fatto che un outbound potesse avanzare dei diritti come un inbound».
Oggi, se Vodafone ha tolto la commessa ad Almaviva per quanto riguarda il settore inbound – e abbiamo assistito agli esuberi, ai licenziamenti, agli scioperi, agli incontri al ministero –, continua a mantenere la commessa per il settore outbound, rinnovando i contratti di collaborazione ogni mese e contando su un costo del lavoro pari a zero. Se l’inbound con il contratto a tempo indeterminato cola a picco, l’outbound a collaborazione mensile, con l’escamotage del talking, è divenuto una miniera d’oro per le aziende dei call center e di certo l’unico modo per tenere il bilancio in attivo e le tasche dei lavoratori vuote. (marzia quitadamo)
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