Napoli è spesso paragonata a Marsiglia. A torto o a ragione, le due città sono descritte come le sorelle maledette del Mediterraneo, belle e dannate, incomprese e stigmatizzate. Se questo accostamento sembra evidente a una prima lettura, un’analisi urbana, economica e sociale più approfondita, metterà in risalto invece le contraddizioni e trasformerà il paragone in un ulteriore pregiudizio sulle due città. Se c’è però una similitudine della quale è impossibile non tenere conto è senza dubbio la creazione di un immaginario popolare fondato sul crimine, sempre presente per definire le due città come “eccezioni” europee. Sono rare le persone che provano a decostruire tale mito dell’illegalità che condiziona la descrizione di entrambe le città. Se a Napoli la narrazione contemporanea deve lottare contro l’onnipresenza dello “spettacolo” di Gomorra, a Marsiglia è altrettanto complicato uscire dall’immagine costruita e fatalista della natura criminale della città.
A tal proposito, in Francia sono stati pubblicati a breve distanza due saggi che analizzano con intelligenza questo luogo comune: La Fabrique du Monstre di Philippe Pujol (Arènes, 2016) e Marseille en Procès. La véritable histoire de la délinquance marseillaise di Michel Samson (La Découverte, 2016). Gli autori, entrambi giornalisti e marsigliesi, presentano la propria città attraverso documentate inchieste sul campo, senza nulla concedere al luogo comune o al fascino del crimine.
La Fabrique du Monstre è il resoconto di un lavoro di dieci anni d’inchiesta nei quartieri popolari marsigliesi, le famigerate cités nord. Il mostro di cui il titolo parla è appunto l’immagine terribile alla quale questi quartieri, e quindi l’intera città, sono associati. L’intelligenza del lavoro di Pujol è però non nella negazione di tale situazione ma nel tentativo di presentare altre ragioni dietro a tale condizione. Partendo dalle storie di persone incontrate e seguite durante lunghi periodi l’autore descrive le ragioni e soprattutto le contraddizioni di chi è obbligato a vivere in un contesto di miseria. Senza mai dare giudizi morali né tantomeno cadere nella tentazione del fascino criminale, la sua inchiesta si concentra unicamente sui fatti. “Durante otto o nove anni sono andato a caccia delle informazioni – scrive Pujol –, ho seguito le violenze, gli scippi, gli imbrogli. Ho fatto semplicemente cronaca nera. Ma con una scrittura diversa e provando a cercare un significato… quando ce n’era uno”.
La vera forza del saggio sta nell’impossibilità di generalizzare i dati delle storie che s’intrecciano tra loro. Restando al fatto individuale e alle cause e conseguenze che si possono interpretare, Pujol evita la strumentalizzazione scientifica o spettacolare. Il “mostro” è creato dalla banalità della miseria, che rende impossibile l’integrazione sociale permettendo al tempo stesso altri equilibri, meno visibili ma più strutturati. Niente nelle cité è nero o bianco: “Tre mondi s’incrociano in permanenza: i delinquenti, i militanti delle associazioni e i politici; dove tutto si fa in rete, dove si è in concorrenza su un territorio ristretto, dove si passa il tempo a fare compromessi per coabitare”. E così che il clientelismo resta l’unica modalità per la redistribuzione del denaro pubblico. Nei capitoli finali, Pujol passa dall’inchiesta sul campo allo studio della storia politica locale, dalle storie di emarginazione all’indagine sul potere cittadino. Il quadro si completa offrendo al lettore uno sguardo ampio e coerente per capire Marsiglia e i suoi equilibri precari. Perché tutto è legato e dipende dalla complessità delle reti di potere, queste zone grigie di spartizione: “Ci si focalizza sulla presunta violenza di Marsiglia e i suoi regolamenti di conti quando invece bisognerebbe aprire gli occhi sulla non-violenza delle derive mafiose di un sistema molle pieno di accordi e compromessi”.
E sulla “presunta violenza di Marsiglia”, Michel Samson, noto giornalista marsigliese, scrive un altro tipo d’inchiesta. Con l’obiettivo di smontare il mito secondo il quale a Marsiglia vigerebbe un particolare rapporto tra delinquenza comune, criminalità organizzata e potere politico-giudiziario, Samson decide di passare ventiquattro mesi, tra il 2012 e il 2016, a seguire l’attività quotidiana del Tribunale di Marsiglia. Riesce così a toccare l’origine della delinquenza, il punto d’incontro tra lo stato e l’illegalità, descrivendo la criminalità comune a partire delle comparizioni in rito abbreviato. Dietro i piccoli affari trattati quotidianamente nel Palazzo di Giustizia è possibile leggere la struttura della città e soprattutto la delinquenza come risposta alla miseria. “I giornalisti non frequentano molto i processi quotidiani – scrive Samson –, queste udienze dove la giustizia penale giudica reati e miserie. Eppure è qui che i magistrati incontrano più da vicino, e quattro giorni alla settimana, questa città povera e dalla così brutta reputazione”.
A partire da questi processi “minori” il mito costruito nella cultura popolare da film, romanzi, articoli e reportage, di una mafia locale marsigliese con regole precise e gerarchie chiare, mostra la sua debolezza. I piccoli reati sono spesso storie isolate di disperazione e sopravvivenza, e anche a livello statistico le cifre riportate non fanno emergere nessuna eccezionalità. Samson nota con ironia che città considerate “tranquille” come Nizza registrano un numero di reati superiori a Marsiglia. E dimostra che il circuito dello spaccio di droga, se garantisce una distribuzione dei redditi nei quartieri marginali, non rappresenta nessuna fonte di ricchezza eccezionale per gli spacciatori e le loro famiglie: “I rivenditori guadagnano in media settemila euro l’anno, cioè nemmeno l’equivalente del salario minimo legale, in condizioni molto rischiose che non sono associate a nessun tipo di protezione”.
Samson dimostra che Marsiglia è semplicemente una città povera e socialmente divisa e che l’unica particolarità consiste nell’essere “una città senza banlieue, dove i più poveri si trovano sia in periferia che in centro”. Così il numero di reati, piccoli e grandi, e la loro natura non ha niente di eccezionale se paragonato alle altre grandi città francesi, Parigi compresa. Il mito popolare della mafia marsigliese, creato dal cinema e dal giornalismo all’inizio del secolo scorso, e ancora oggi in auge, spinge l’informazione a trattare i singoli affari nell’ottica mafiosa di un presunto intreccio politico-criminale. Samson cita alcuni processi dove è possibile capire come la collusione tra il potere politico, la magistratura e il crimine non è così evidente come il mito sulla città vorrebbe far credere. I magistrati mantengono un’autonomia esemplare nei confronti della politica locale e del crimine organizzato. Insomma, la Marsiglia del libro di Samson è una città complessa e affascinante ma non ha niente a che vedere con la Palermo di Cosa Nostra. Si tratta di un libro essenziale, che si sforza di demolire la stigmatizzazione di Marsiglia, spesso usata per definire, per contrasto, la purezza e l’esemplarità delle altre città francesi. Il paragone Marsiglia-Napoli è più che evidente e il lavoro di Samson potrebbe essere un buon esempio metodologico anche per chi volesse ridimensionare i luoghi comuni attorno alla città partenopea. (ugo nocera)
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