
In periodi di turbolenze sociali è abitudine di certi pompieri darsi da fare prima ancora che l’incendio divampi. Così dopo il puerile attacco di Saviano alla sinistra antagonista napoletana, uscito su L’Espresso nei giorni della contestazione alla Bce – in cui tutte le questioni politiche e i percorsi esistenziali venivano degradati all’altezza di un banale scambio di dosi di droga –, ecco ora l’articolo di Paolo Macry sul Corriere del Mezzogiorno, che dopo i tafferugli di Bagnoli del 7 novembre definisce “reazionari” tutti coloro che di questi tempi scendono in piazza, chi per opporsi alla gestione del ciclo dei rifiuti, chi al commissariamento dell’ex Italsider, chi allo sfruttamento intensivo del suolo e del sottosuolo. Così facendo, secondo Macry, i movimenti rifiutano di accogliere i benefici del progresso, della modernità, della tecnologia. Tutti concentrati sulle rivendicazioni, ignorano che intorno a loro la città cade in pezzi e la camorra spopola (lui aggiunge “in periferia”, ma solo perché non si è accorto che i camorristi sono ovunque, anche in centro, anche sotto casa sua).
In realtà si ragiona da tempo sul carattere difensivo, conservativo – conservatore? – dei movimenti politici e ambientalisti recenti. Anche la Campania, nel suo piccolo, ha visto nascere gruppi, comitati, coordinamenti che invece di puntare verso orizzonti lontani, si impegnano per obiettivi più immediati e circoscritti, cercando di mettere al riparo un territorio o un gruppo sociale dagli effetti dirompenti di certe politiche.
Il modo corrente di intendere, e di realizzare, questo dubbio progresso è stato sottoposto da più parti a critiche stringenti e documentate. Noi stessi siamo stati governati negli ultimi vent’anni da politici che si definivano progressisti. Ma possiamo considerare progressista il modo in cui hanno governato il ciclo dei rifiuti nella regione? E la loro gestione delle zone deindustrializzate? E il modo in cui hanno attuato la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche? E, d’altra parte, l’osceno condono edilizio deliberato dai conservatori che governano adesso la regione – contro il quale lo stesso governo nazionale ha fatto ricorso in giudizio –, può considerarsi una valida alternativa, un nuovo orizzonte per il progressismo? E, guardando al futuro, sarà progressista la decisione di affidare un’enorme area come quella ex Italsider agli stessi enti statali e parastatali che l’hanno distrutta e inquinata? E poi “accrescere la ricchezza locale” vorrà dire ancora svendere pezzi di città, tipo Edenlandia e lo Zoo, a imprenditori privati di dubbia affidabilità, che arrivano, prendono gli incentivi e non lasciano nulla?
Allora, chi sono oggi i progressisti, quelli che vanno matti per il turismo di massa e le trivellazioni petrolifere? Quelli che non vanno per il sottile quando si tratta di impiantare discariche e inceneritori? Quelli che considerano la città un insieme di lotti da “mettere a profitto”, come dice Macry? Allora conservatori, o addirittura reazionari, saranno coloro che si battono perché la città sia amministrata prima per il benessere di chi ci vive e poi per quello dei turisti; che reclamano che la parte di ricchezza che essi producono e mettono in comune sia ripartita in servizi, strade, scuole, salute, verde, degni di un posto civile; che i cittadini coinvolti in un problema siano ascoltati da chi governa nel momento in cui si prende una decisione.
E stupisce che si possa ancora affermare che le decine di comitati che da anni sviluppano piani alternativi dei rifiuti “non propongono soluzioni”, quando hanno costituito addirittura una rete che nel nome esprime l’aspetto propositivo, per sottrarsi alla trappola di chi li dipingeva solo come “il partito del no”. Un’idea (riciclo, compostaggio, trattamento meccanico a freddo) talmente semplice e all’avanguardia da essere fatta propria dal sindaco in carica, che l’ha cavalcata in campagna elettorale e se l’è dimenticata subito dopo.
E come si può credere che chi protesta in piazza non sappia che la città sia al collasso – e magari non abbia anche qualche idea sulle cause e sui responsabili? Sono proprio certi gruppi, magari sparuti e informali, che tengono da anni “il carro per la scesa” in decine di rioni, in centro come in periferia, affrontando la camorra quotidiana senza portarsi dietro il fotografo o twittando compulsivamente il proprio scoramento, la propria rabbia, paura e solitudine. E quelli di cui c’è più bisogno sono proprio coloro che non si rassegnano a vivere in questi posti che fanno vergogna accontentandosi della buona azione quotidiana o della pacca sulla spalla del notabile di passaggio, ma che hanno ancora la forza di alzare lo sguardo sull’intera città e reclamare per ogni cosa che non viene fatta come si deve, o che non viene fatta del tutto. Certo, possiamo trovargli difetti e ambiguità, possiamo (anzi, dobbiamo) discuterne metodi e strategie, ma non sono certo articoli del genere a venirci in soccorso. A questi non interessa affatto entrare nel merito delle questioni, ma solo tenere a bada “la bestia” con qualche frase caustica e imprecisa. E invece la storia non si ripete sempre uguale, vista una volta non si è vista per sempre. Per capire quel che ci accade intorno per fortuna c’è ancora bisogno di indagare e documentarsi, di riflettere in buona fede senza scorciatoie e pregiudizi. C’è da sperare che da qualche parte in città esistano intellettuali meno pigri, meno timorosi, meno preoccupati di definire se stessi attraverso il giudizio sugli altri, o almeno capaci di tenere aggiornato il dizionario, perché il mondo cambia e ormai certe definizioni, a furia di strattonarle da una parte e dall’altra, alle orecchie di molti non vogliono dire più nulla. (luca rossomando)