A oggi sulla sola piattaforma di Airbnb si contano quasi diecimila annunci legati all’offerta dell’extra-alberghiero a Napoli. Più della metà di questi riguardano interi appartamenti (il 65%), con una concentrazione maggiore nei quartieri di San Lorenzo e Pendino (che contano oltre 2.700 annunci), corrispondenti a quella parte del centro che da piazza Dante, attraverso i decumani, arriva alla stazione centrale. Dopo il decadere del blocco degli sfratti introdotto con la pandemia, nel 2022 la prefettura ha annunciato più di diecimila sfratti esecutivi nel solo comune di Napoli.
Se questi dati sono ormai noti e denunciati pubblicamente da diverse reti per il diritto all’abitare, sono altri numeri quelli che vengono incessantemente sbandierati sui quotidiani locali e sui media nazionali: le cifre di chi arriva e di chi torna (e risceglie Napoli!), i numeri dei punti ristoro, delle attrazioni per turisti, degli appartamenti prenotati, evocando l’idea che la città sia diventata un grande albergo.
Il mese di dicembre è puntualmente scandito dalla conta delle “presenze”, il numero di turisti che dall’Italia e dal mondo approdano a Napoli per imbottigliarsi nei sensi unici pedonali di San Gregorio Armeno o Spaccanapoli. Anche quest’anno l’entusiasmo è alle stelle per il “boom turistico” che avrebbe garantito più di duecentomila visitatori nel week-end dell’Immacolata. Confcommercio evidenzia come la Campania sia la prima regione per flussi turistici del meridione – con Napoli che ne assorbe più della metà –, ma, non paga, sprona a un miglioramento del settore, “risorsa fondamentale per l’economia della regione, ma sofferente di una condizione di sottoutilizzo del suo potenziale”.
Altri conti, però, non tornano. Anzi, ci sono proprio numeri che mancano, sebbene siano tutt’altro che esigui, come quelli riguardanti i casi di sfratti esecutivi nel centro storico. «Oltre le morosità, si tratta spesso di sfratti per finita locazione – racconta Stella Arena, avvocata e attivista –. Nel centro storico non rinnovano più i contratti, appena arriva la scadenza mandano via la gente. Gli inquilini, che si tratti di morosità o finita locazione, vengono da me dicendo: devo andarmene, quello vuole fare il b&b».
Trovare una casa in affitto, ma soprattutto mantenerla, vivere stabilmente in un quartiere, è diventata un’esperienza residuale nel centro storico di Napoli. Questo processo attraversa in maniera trasversale tante categorie sociali: studenti, famiglie migranti e napoletane, lavoratori e lavoratrici che vivono da soli. «I proletari napoletani – continua l’avvocata – sono distrutti da questo fenomeno, assai più di altre classi. La vita nei quartieri popolari ruota intorno alle case del centro e a tutta una loro cultura. È comprensibile la difficoltà nello staccarsi da quel posto. I migranti soffrono meno questo problema: devono trovare qualcosa il prima possibile per il permesso di soggiorno, per loro diventa un’urgenza di regolarità. Anche gli studenti ne soffrono, ma i più svantaggiati sono quelli che ti dicono: “Ma io sto da venti, trent’anni in quella casa e ora mi rendo conto che me ne devo andare”, senza che ci siano alternative».
Anche quello degli accessi degli ufficiali giudiziari è un dato di cui non si riesce ad avere contezza con precisione. A Materdei, nelle scorse settimane, una donna che abita in un piccolo appartamento situato al piano interrato di un edificio, ha ricevuto la visita dell’ufficiale giudiziario per la sesta volta da quando sulla casa pende un mandato di sfratto esecutivo. Cristina vi abita con sua figlia da più di vent’anni e dal 2018 ha cominciato ad avere difficoltà a pagare l’affitto diventando morosa, anche perché in seguito all’aggravarsi della sua patologia non può più lavorare. Il proprietario di casa, che fino a poco tempo fa possedeva l’intero palazzo, si è mosso appena revocato il blocco degli sfratti. Grazie anche alle reti militanti che la stanno sostenendo, Cristina ha ottenuto l’ennesimo rinvio. Ma si tratta di una situazione che la trattiene in una precarietà abitativa che ha conseguenze gravi anche sul suo stato di salute.
Un caso del genere è emblematico dell’assenza di politiche di sostegno da parte delle istituzioni nei confronti di chi patisce gli effetti delle trasformazioni in corso. Senza supporto, per persone come Cristina risulta impossibile affittare un’altra casa. Il mercato richiede garanzie di cui molti non dispongono: buste-paga, mensilità anticipate, garanti. Questi ostacoli si intersecano con altre criticità, tra cui la revoca del reddito di cittadinanza e l’assenza di politiche pubbliche – la graduatoria per l’assegnazione delle case popolari è ferma da anni.
La casa è oggi al centro di un insieme di forze che ne aumentano il valore e ne trasformano l’uso. In questa dinamica rientrano anche situazioni abitative finora risparmiate dai processi speculativi, come i bassi o gli appartamenti fatiscenti, ricavati, inabitabili. Se in passato questi venivano affittati senza richiedere particolari garanzie e con fitti contenuti, oggi invece sono diventate attraenti per un mercato turistico in grado di valorizzare anche l’inabitabile. La tendenza è insomma quella di non vincolare la casa a contratti stabili o duraturi ma tenerla flessibile per poterla mettere a profitto alla prima occasione propizia.
A trarre vantaggio da questi meccanismi non sono solo i proprietari ma soprattutto chi indirizza i propri investimenti sul turismo. Nuove figure imprenditoriali fioriscono intorno al settore: ci sono i gestori dei b&b, i tour operator, i gestori dei lavoratori che fanno i check-in, i ristoratori esperienziali, gli organizzatori di convegni che ruotano intorno a “nuove figure professionali” create dal processo stesso. Il dato che sbandierano tutti è sempre il solito: “il turismo crea lavoro e sviluppo”; ma ancora una volta i numeri sono ambigui e non dicono affatto come la ricchezza prodotta dall’indotto poi si distribuisca nel tessuto sociale.
«Spesso gli sfrattati non riescono a trovare un’alternativa nello stesso quartiere in cui vivono e quasi sempre vengono espulsi da quel contesto. La destinazione diventa a quel punto la periferia», conclude l’avvocata Arena. I numeri sulle espulsioni, gli sfratti per morosità, quelli per finita locazione sembrano irraggiungibili, sebbene chiunque in città abbia delle storie da raccontare, degli esempi che vanno in questa direzione. La stessa difficoltà si riscontra nel provare a seguire i percorsi delle persone sfrattate, i quartieri verso i quali si spostano, le periferie che si allargano. È necessario allora sostare in questa crepa, restare in ascolto, tentare di collegare le storie con i numeri, ricomporre la geografia e le traiettorie di questi movimenti, organizzarsi e agire sul piano politico e sociale. (barbara russo)
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