11 e 12 MARZO – Avere un punto di osservazione dall’alto è un privilegio, ma permette anche di avere sott’occhio due minacce, contemporaneamente. Una a lunga (lunghissima?) scadenza, l’altra che si preannuncia di lunga (lunghissima?) durata.
13 e 14 MARZO – La speculazione sulle merci di prima e seconda necessità è iniziata. I commercianti si fanno guerra tra loro. Per strada ci scambiamo informazioni al volo su dove si trovano (ancora) mascherine e a quale prezzo (da 50 centesimi a 15 euro). L’ansia e anche i prezzi hanno un andamento variabile. Diciamo pure crescente.
15 e 16 MARZO – Andare verso il supermercato di via Santa Lucia offre una porzione di panorama sul golfo, il lungomare è dietro l’angolo. Affacciarsi o indugiare al sole però è scoraggiato o proibito. Le ronde della protezione civile avvisano con gli altoparlanti che si può uscire di casa solo per lavoro o per necessità primarie. La polizia ha cominciato a chiedere l’autocertificazione e in alcuni casi a fare la multa a chi non ha un valido motivo per trovarsi in strada. Qualcuno ce l’ha.
17 e 18 MARZO – Le interazioni diventano sporadiche. Martedì l’unico contatto esterno è stato con il bordo di una raccomandata e la tensione del postino attraverso lo spiraglio del portone mi è arrivata tutta intera. È di oggi la notizia di due suoi colleghi morti in Lombardia. Mercoledì andare al supermercato, con la coda, l’ingresso scaglionato e le distanze di sicurezza, è stata una festa.
19 e 20 MARZO – Qualche artigiano, dietro le serrande o la porta socchiusa, continua a lavorare. Per sanità mentale penso, ancor più che per obbligo verso i clienti. Vederli mi fa bene. Anch’io mi aggrappo alle poche scadenze rimaste. E me ne invento altre.
21 e 22 MARZO – Secondo fine settimana all’insegna del “terrazzismo” in tutte le sue forme. Si stendono i panni, magari in bikini, si fa giardinaggio, ci si imbarca in manutenzioni a piccola e vasta scala di guaine, intonaci e antenne, si fa sport come si può, e io disegno. Ho bisogno di vedere cosa fanno gli altri, conto le persone, anche quelle dietro le finestre. Ci salutiamo, ci si parla, a distanza.
23 e 24 MARZO – Nuova settimana, scendo nel vicolo per la spesa. È tutto un calare di panari. Il buon vecchio sistema è perfetto in questa circostanza, dato che i droni non ci sono ancora e gli ascensori qui sono rari. Tutti a piedi, non ci sono macchine e quasi nessun motorino. Sarebbe quasi bello se i guanti e le mascherine non ci ricordassero il motivo. Cerchiamo di rispettare le distanze, ma è difficile in un quartiere dove siamo forse più di 17.000 abitanti per kmq. Oltre all’approvvigionamento, diventa necessario lo scambio. Piccole cose, che adesso hanno un’importanza diversa.
25 e 26 MARZO – Si passano intere giornate al telefono. Ormai per chi ha tecnologia e rete a sufficienza appare chiaro che le video chiamate sono più efficaci. Alla conferenza Skype con le nipoti, mia zia ottantenne assiste un po’ stranita senza capire dove siamo veramente. Nel frattempo seguo in diretta l’odissea di un’amica rimasta intrappolata in India e la sua nottata al Centro Screening Coronavirus di Nuova Delhi, in attesa dei risultati del tampone. Nonostante il bombardamento d’immagini più drammatiche ricevute dai media, questa foto con i due infermieri tutti bardati, tra cui uno che riposa sfinito sulla sedia, con la mia amica riflessa nello specchio, non riesco a togliermela dalla testa.
27 e 28 MARZO – La conta e il bollettino con il record dei morti si affiancano ai rituali e alle pratiche di igiene personale. Chi era abituato a grandi imprese a piedi, in bici o con sci e pelli di foca, ha scoperto nelle scale condominiali un surrogato che mi ricorda un po’ il giro del criceto sulla ruota. Record personali sostenuti da sfide tra vicini di casa con le stesse passioni. Io sfuggo alla disciplina e neanche la voce della mia maestra placa l’ansia crescente.
29 e 30 MARZO – Il cielo è vuoto ma pieno di antenne. Oggi le parole sono di Emma Dante, su Doppiozero: “V come vuoti”. Sono vuoti alcuni momenti della giornata in cui salgono le smanie. Sento l’incertezza per il futuro, mi viene lo sconforto. Penso che nulla sarà come prima. Non abbiamo mai vissuto qualcosa di così grande. I nonni ci hanno raccontato di guerra, sirene, coprifuoco, bombardamenti, miseria, ma noi non avevamo vissuto quei momenti. Me li immaginavo come un film… E invece questa situazione reale genera vuoti, paure grandissime. Penso che non ci sarà un futuro. Sono rari questi momenti, ma arrivano”.
31 MARZO e 1 APRILE – “Oh Signore, siamo diventati una razza di guardoni! La gente farebbe meglio a guardare un po’ dentro casa propria, tanto per cambiare”. L’infermiera sgrida James Stewart ne La finestra sul cortile e gli ricorda che “a New York, la pena prevista per i guardoni sono sei mesi in una casa di lavoro! E là non ci sono davvero finestre. In passato invece gli cavavano gli occhi con un ferro arroventato”. Molti anni fa ero appena arrivata a Napoli e sentivo gridare da due finestre al quarto piano su lati opposti di via Chiaia. Ho avuto bisogno dell’interprete – e ho imparato diverse parole utili. Un marito furibondo insultava il dirimpettaio, colpevole di girare per casa propria senza vestiti, incurante di poter essere visto da sua moglie che, sarta, teneva la macchina da cucire proprio davanti alla finestra. L’altro naturalmente rispondeva a tono. Fossero stati in strada, credo si sarebbero ammazzati. Confesso, tengo un binocolo sul tavolo. Soprattutto adesso guardare fuori mi pare più interessante di casa propria.
2 e 3 APRILE – Per rivedere Wolves coming, l’opera disturbante dell’artista cinese Liu Ruowang che da novembre scorso assedia piazza Municipio, ho fatto una deviazione sul tragitto casa-supermercato. Il branco dei cento lupi rivolti minacciosi verso un guerriero destinato a soccombere, oggi assume un aspetto ben più inquietante. Dimentica delle norme vigenti ho scattato diverse fotografie, per disegnarla una volta a casa. Un giovanotto con giubbotto e mascherina nera, capelli lunghi raccolti e jeans strappati, è uscito da una macchina e mi è corso incontro gesticolando in mezzo ai lupi. Mi ha spaventato e ho dovuto guardare il suo tesserino attentamente per convincermi che era una guardia municipale. Con la mia carta d’identità ha calcolato a quale distanza ero da casa e dato che avevo in mano un sacchetto di cioccolatini ha esaminato lo scontrino: erano passati circa quarantacinque minuti dall’acquisto, così ha cominciato a gridare che ci facevo ancora in giro e se quello fosse per caso un genere di prima necessità. Certo, ho risposto io, è un antidepressivo. Alla fine per fortuna non mi ha fatto il verbale: «Se ne vada a casa! E non si faccia più vedere da queste parti!», ha detto rabbioso. Deve essere stressante per lui e per i suoi colleghi, me ne rendo conto. Sono tornata a casa e i cioccolatini non sono durati a lungo.
4 e 5 APRILE – Oggi ho incontrato la mia vicina per le scale mentre pagava il pescivendolo e ho ricevuto questo regalo. La gentilezza è sempre preziosa ma adesso lo è ancor di più. Tra di noi i polpi sono un tema ricorrente. Suo figlio, che conosco fin da bambino, oggi ne studia il comportamento – e se non fosse per la quarantena, sarebbe immerso in qualche mare tropicale a spiarne le mosse. Un altro condomino e nostro amico di famiglia, è un famoso studioso di cefalopodi e per anni abbiamo parlato con lui di polpi e calamari, per poi mangiarli insieme dopo i suoi esperimenti – e se non fosse per la quarantena, ora sarei andata a trovarlo in Provenza. Quando lavorava alla Stazione Zoologica e ci portavamo i bambini, ci mostrava come i calamari riescono a spolpare un’alice in pochi secondi scartandone testa, lisca e coda. Sono animali sorprendenti e mangiarli è certamente un’assurdità. L’ho steso su un piatto per disegnarlo, prima di congelarlo.
6 e 7 APRILE – Vorrei sapere chi materialmente si è preso la briga di fare il giro per accendere le luci in una trentina di stanze dell’albergo vuoto dentro il più vecchio grattacielo di Napoli. Mi pare si accendano un po’ per volta, la sera. Forse però, una volta messo a punto il “disegno”, basta accendere e spegnere un interruttore generale. Il 6 aprile c’era un cuore, ma due giorni dopo è diventata una scritta: “LO” e accapo “VE”. La “O” fino alle dieci di sera era poco leggibile, ma verso le undici è stata sistemata. Insomma lo tengo d’occhio. Anche se in fondo è una pubblicità di un’impresa privata, l’effetto non è niente male. Fa un curioso contrasto con la scritta apparsa sul Pirellone di Milano: “STATE A CASA”.
8 e 9 APRILE – La piattaforma Zoom è diventata una delle nostre finestre abituali. Ci sono problemi di hackeraggio e non è chiaro cosa succederà dei nostri dati personali, ma nel frattempo è un luogo di socialità dove tanti stanno riprendendo le attività che avevamo sospeso, come i corsi di yoga. Personalmente ho trovato il mio nirvana nelle sessioni di disegno dal vero, con modelli in pose brevi. Chiunque l’abbia provato sa quanto sia intenso questo esercizio. Certo, il fatto di essere stata veramente in quella stanza di Barcellona qualche mese fa, nel mondo come era prima, e di riconoscere qualcuno dei disegnatori collegati online, aggiunge un tocco di realtà alla situazione. La modella si può trovare in Germania, in Spagna o in Italia, la regia in questo caso era fatta da Barcellona, i disegnatori, una cinquantina, erano collegati un po’ da tutto il mondo. Due ore che passano in un momento forse trascurabile di felicità.
10 e 11 APRILE – Questo fine settimana elicotteri e droni hanno ronzato sopra la nostra testa continuamente. Il telegiornale ha poi riportato di un gruppo di persone sorprese a Palermo da un drone a fare una grigliata su un tetto, denunciati e multati. Anche noi abbiamo pranzato in terrazzo insieme a due vicini, lontani però. A diversi metri di distanza la vicina ha preparato il barbecue, mentre altri due vicini hanno cucinato le tagliatelle passandole dal loro terrazzo. Noi abbiamo impunemente assaggiato tutto calando il panaro dal tetto e ricevendolo colmo di meraviglie. Durante il pranzo, abbiamo chiamato il figlio minore che è rimasto a studiare a Stoccolma e l’abbiamo visto mentre faceva una passeggiata nel bosco, con la sua famiglia ospitante. Un pranzo di Pasqua decostruito.
16 e 17 APRILE – Ho chiesto a due amici musicisti di assistere ai loro esercizi quotidiani in video chiamata. Gli orchestrali del teatro San Carlo, come tutti i lavoratori dello spettacolo, sono stati tra i primi a uscire di scena. Il soprintendente Stéphane Lissner ha ipotizzato una ripresa dei concerti la prossima estate in situazioni all’aperto e magari nei luoghi di sofferenza, all’esterno degli ospedali, delle carceri. Nel frattempo i 300 lavoratori del San Carlo sono in cassa integrazione o consumano delle ferie, ma certo musicisti, cantanti e ballerini non possono smettere di praticare, come io di disegnare. Per il violino, G. sceglie dei pezzi di Bach che contengono una varietà di difficoltà tecniche e li suona interamente. Per la tromba invece, A. parte con dei lunghi esercizi tecnici o di respirazione e finisce con un’improvvisazione che spazia dal repertorio classico al jazz. Non si è mai registrato, dice. Entrare a casa loro mentre studiano è proprio quel disegnare dietro le quinte che ho fatto spesso al San Carlo ma molto più intimo e con la possibilità di fare domande. Uno spettacolo.
18 e 19 APRILE – Oggi un omaggio a chi ha realizzato questo taccuino, l’amico Antonio Frau, che sono stata a trovare a Gavoi durante lo scorso carnevale – viaggio indimenticabile – e con cui chissà quando potremo viaggiare di nuovo e portare avanti i nostri progetti. Qualche giorno fa Antonio mi ha inviato un pacco pieno di taccuini: li ha fatti lui con soluzioni di rilegatura pensate per disegnatori, come le pagine che si aprono raddoppiando lo spazio per i panorami. «Abbiamo bisogno di legami, di intrecci», dice Antonio, che si sente isolato. Perché sta in un piccolo paese della Barbagia che è un’isola nell’isola, certo. Perché non ama la comunicazione digitale, come molti della sua generazione – ha già compiuto ottant’anni. E infine perché, essendo cieco dall’età di cinque anni, preferisce il contatto fisico con le persone, e come dargli torto. Fin da piccolo ha esplorato il mondo con le mani, ha letto, studiato, viaggiato. È stato un’insegnante e ha sempre fatto e costruito cose. Ultimamente stava rileggendo l’Odissea, in Braille, e riscopriva dettagli della vita quotidiana simili a quella che ha conosciuto lui. «Mi manca il confronto, la dialettica, scambiarsi idee diverse. La contaminazione è importante, è necessaria», dice Antonio. «Mi hanno salvato le mani. La saggezza è nelle mani». E finché abbiamo qualcosa da fare siamo vivi.
20 e 21 APRILE – Domenica ho fatto una gita nostalgica a Venezia. In video chiamata, ho disegnato insieme all’amico Matteo Alemanno. Io guardavo rio Cannaregio da sotto casa sua, lui il Vesuvio dal mio terrazzo. Ho persino salutato chi si fermava a guardare. Brevemente, perché poi sono passati i vigili: si può uscire a correre vicino casa, ma non si può sostare. Io e Matteo abbiamo studiato insieme architettura a Venezia molti anni fa. Nessuno dei due poi ha fatto l’architetto. Lui è un bravissimo fumettista. Sta lavorando a una graphic novel sul pittore Velázquez e per ritrarlo in tutte le posizioni ha realizzato silhouette e ritratti in pongo del suo eroe. Adoro parlare di dettagli tecnici con lui. L’edificio di fronte negli anni Ottanta era abbandonato e occupato abusivamente da una remiera. La frequentavo con un’amica per imparare la voga alla veneta e uscivamo in questo tratto di laguna al lato del ponte della Libertà. La cosa più difficile era mantenere il remo nella forcola senza farsi sbalzare in acqua. Anche se non ha potuto allontanarsi molto da casa, Matteo dice che Venezia è meravigliosa in questi giorni. Silenziosa, senza turisti e senza il moto ondoso delle imbarcazioni, a parte i vaporetti. Vorrebbe tanto poter vedere il canale della Giudecca adesso!
22 e 23 APRILE – Due giornaliste di CityLab stanno raccogliendo le mappe disegnate a mano dai lettori, in tempo di Coronavirus. Questa è la mia, con in grigio i percorsi consentiti in direzione dei tre supermercati più vicini. Normalmente li evito e preferisco i negozi sotto casa, ma ora sfrutto la possibilità di camminare per più di duecento metri. Alcune amiche stanno sul tragitto, così a volte trasgredisco un poco, anche solo per chiamarle dal balcone. Oppure cammino su altri tetti, accessibili dal nostro terrazzo. In zona rossa, lato mare, luoghi e attività per i quali la nostalgia è crescente. Delfini e capodogli nel frattempo almeno se la spassano. Dallo studio al quinto piano seguo i messaggi che appaiono sul grattacielo la sera, quando le finestre s’illuminano ad hoc. Sono già cambiati quattro volte. Dopo il cuore ci sono state le scritte LOVE, HOPE e adesso LIFE. Nella portineria dell’hotel Ambassador, una dipendente mi ha detto attraverso il vetro che sono i custodi stessi a organizzarle. Sono coinvolti dodici piani con una cinquantina di camere che restano illuminate dalle 18 fino al mattino. Per accenderle qualcuno fa il giro dei piani ogni giorno.
24 e 25 APRILE – Dentro casa, sopra la finestra: il soffitto in legno è ricoperto da carta da parati antica, dipinta a mano. Se ne trovano a Napoli a volte, conservate per oltre cent’anni sotto un controsoffitto. Il disegno è bello, si ripete uguale tranne all’interno di una cornice dove il paesaggio è sempre diverso. La carta è fragilissima e mi imbarco in un restauro sommario applicando piccoli cerotti di carta giapponese per coprire infiniti strappi. Riparare e prendersi cura è un lavoro benefico, torcicollo a parte.
Fuori nel vicolo, sotto la finestra: due ragazzi suonano del jazz e sarebbe un fatto normale, se non fosse ormai tutto un poco speciale e così scendo per strada a disegnarli per qualche minuto, in presa diretta, senza pensarci troppo e questo sì che mi fa bene. Nel frattempo, il grattacielo illuminato ha cambiato messaggio serale: adesso c’è scritto ITALIA, sarà per il 25 aprile. In cima c’è anche una specie di tricolore fatto con luci colorate. Mi chiedo cosa scriveranno per il primo maggio.
26 e 27 APRILE – Ho fatto un giro nel mio quartiere, clandestinamente. Da domani invece lo potrò fare ufficialmente. Solo che dovrò mettermi i pantaloncini e farlo di corsa, la mattina tra le 6 e le 8 oppure la sera, tra le 19 e le 22. In piazza Trieste e Trento il posto di blocco era al completo: carabinieri, polizia municipale, polizia di stato (tre camionette) ed esercito (due camionette), nessuno escluso. Mancava solo qualcuno da poter fermare. Mi hanno ignorato e ho ripiegato verso i Quartieri Spagnoli con un senso di sollievo. Ho raggiunto San Carlo alle Mortelle dove da tanti anni appaiono le installazioni dell’infaticabile signor Gennaro: assemblate con scarti trovati in strada ed elevati sul piedistallo dei paletti, sono veri “oggetti a reazione poetica”. La creazione di oggi era in gran parte commestibile. I funghi prataioli sotto gli zoccoli del cavallino erano la ciliegina sulla torta. Sono tornata a casa rincuorata.
28 e 29 APRILE – In cielo non passano più aerei. La presenza e il ronzio dei droni però sta diventando inquietante. Come distinguere un controllo delle autorità dall’incursione o dallo svago di un privato cittadino? Ieri un drone è rimasto fermo diverso tempo su via Gennaro Serra alla quota delle nostre finestre del quarto piano. Abbiamo telefonato ai carabinieri per chiedere informazioni e ci hanno detto che non erano loro. Forse imparerò a riconoscerli e a disegnarli. Abbiamo trovato due mascherine lavabili nella buchetta delle lettere, omaggio della Regione Campania. Sono in tessuto “non tessuto” e per uso “non medico”. Gli addetti delle poste ne distribuiranno quattro milioni. Nel frattempo stiamo tutti imparando (i tutorial su YouTube sono già centinaia) a fabbricarle in casa, con pezzi di stoffa o vecchie magliette, anche senza ago e filo.
30 APRILE e 1 MAGGIO – Tra gabbiani e droni è ormai una guerra aperta. Quasi tutti i giorni passa un drone dal percorso incerto e dal volo radente. I gabbiani entrano in agitazione e lo inseguono in gruppo, stridendo e minacciando di attaccarlo. Il primo maggio la scritta sul grattacielo formata dalle finestre illuminate dell’albergo vuoto, era un sobrio 01 05 e durante il pomeriggio, invece dei tradizionali canti in piazza dei miei ricordi infantili (bolognesi), dal terrazzo abbiamo ascoltato la messa cantata dagli altoparlanti della chiesa di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone.(a cura di simonetta capecchi)
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* La parola “taccuino” arriva in italiano dall’arabo attraverso il latino medievale tacuinum. Fino alla metà del XV secolo, infatti, erano molto diffusi tra le classi aristocratiche, i cosiddetti tacuina sanitatis, una sorta di compendi, di almanacchi medici. Miniati, decorati, illustrati pregevolmente, erano una Treccani dell’igiene e delle buone pratiche per conservarsi la salute in un tempo in cui una carie poteva anche portare alla morte.