Da New York il corrispondente Folco Remissivo
Abel Ferrara ha compiuto da poco settant’anni. Cesare Ottaviano, l’imperatore romano più longevo, a questa età era già decadente. Il regista di Bad Lieutenant, invece, ha il portamento di chi sta per salire sul ring, mascella salda e nessun timore. Attraversa Times Square danzando nel suo loden, sorride e chiede rapidità. A pochi metri dal caffè il lavoro lo aspetta: Ferrara sta infatti ultimando le riprese del suo nuovo film, Paradise, che lui stesso definisce una “storia di cancel culture” ambientata nel rione Soccavo, a Napoli. E proprio di Napoli, Ferrara vuole parlare. “Ho chiesto questa intervista perché sono tornato a Napoli dieci anni dopo e ho notato alcune cose che devo dire”.
Prego.
Quando girai Napoli Napoli Napoli, nel 2009, mi lasciai trasportare dalle storie di questa umanità dolente, scoprii una città che mi somiglia molto, attraverso l’obiettivo vidi me stesso. Raccontai persone e luoghi che non conoscevo ma che, in fondo, parlavano la mia lingua.
E ora?
Marzo 2021, torno a Napoli. Avevo il cuore libero da ogni pregiudizio, qualcuno mi aveva parlato dell’amministrazione de Magistris ma non volevo ascoltare lamentele. Ho preso l’Alibus da Capodichino e, una volta terminato il lungo viaggio, ho cominciato a camminare: via Torino, via Parma, corso Meridionale. Cercavo un pulciaio dal quale tempo fa presi un libro di Norman Mailer. Niente, non c’era. Al suo posto una friggi-pescheria con dodici tavolini. Poco più avanti c’era un acquafrescaio del quale ricordavo ancora il tanfo proveniente dalla canotta blu e un occhio incredibilmente più grande dell’altro. Anche lì, niente: c’era il chiosco, ma era chiuso. “Lo sta rilevando la Apple”, mi dice un signore. Mi agito e chiamo i miei amici.
Comincia un tour?
Vado in perlustrazione, contatto i miei amici di un tempo e mi confermano che quella Napoli non esiste più: la città parla un nuovo idioma che non conosco. Per vendere un’immagine della città ogni napoletano ha dovuto mettere un cartellino con un prezzo in mostra. Ed è chiaro che c’è un legame tra questo mutamento e la politica cittadina. Peppe Lanzetta mi ha mostrato le foto di un recente record sul lungomare, una pizza di un chilometro, decine di forni. Mi creda, non mi sono mai sentito così solo e disperato. Poi, attraversando l’Annunziata, ho creduto di morire. C’era il mio amico Gaetano che mi teneva la mano, intorno avevamo dieci o forse dodici scooter che rombavano disegnando cerchi di fumo. L’odore di nafta e la scarsa visuale per un attimo mi hanno proiettato in un’altra dimensione, ho creduto di essere su una spacca-ghiacci nel mar di Bering. Quando sono tornato presente a me stesso ero in fila, in attesa all’esterno della pizzeria “da Michele”, trascinato dai miei compagni.
La città è cambiata in peggio, quindi?
Guardi, io le posso dire che non conosco personalmente Rosa Russo Iervolino o quelli che sono stati nella sua giunta. E chiaramente non conosco Luigi de Magistris. I miei parenti italiani votano a Sarno, quindi non influenzo nessuno e non vengo influenzato. Però quello che vedo lo racconto: sono scappato via da Napoli dopo quella pizza, e non ho intenzione di rimetterci piede. A meno che…
A meno che?
Sergio D’Angelo… Lo so, non se l’aspettava. (A questo punto Ferrara cambia voce, estrae una sigaretta dalla tasca interna del loden e fa dei segni a un autista che lo aspetta per riportarlo sul set). Vede, io non amo i partiti ma le persone. E D’Angelo ha fuoco che arde in ogni cellula, idee positive che accompagneranno i cittadini a una nuova primavera. Con lui ho discusso già di alcune idee: un distretto del cinema, per esempio. Una sorta di Cinecittà in salsa napoletana, in via Argine. Ha già effettuato alcuni studi di fattibilità, non ha perso tempo. Insomma, è un uomo valido. Fossi napoletano voterei per lui. So che si è ritirato e appoggerà Manfredi, poco importa. Saperlo in campo è già importantissimo.
Quando lo ha conosciuto?
Più di dieci anni fa. Presentavo Go Go Tales a Napoli. Ricordo questa sfarzosa festa su una terrazza, con una splendida vista sul golfo e un pizzaiolo che friggeva senza sosta. Speravo di tornare presto in albergo, ero stanco. Fui colpito dal suo foulard dai toni vivaci, un capo che non avevo mai visto prima. Dal foulard passai a inquadrare il volto: un profilo greco; gli occhi, ruvidi e dolci allo stesso tempo, passavano dalla pizza fritta ai taralli, dai taralli ai collier delle donne che lo circondavano per poi tornare alla pizza fritta. Io seguivo questa danza di colori, forme e sapori che era Sergio D’Angelo. Alla fine mi presentai, esausto.
E parlando con lui che impressione ebbe?
Intuii l’enorme carisma. Mi parlò delle cooperative che dirigeva, il suo impegno sociale era strabiliante. Il mio italiano era approssimativo, ricordo però questa parola ripetuta cento volte in pochi secondi: “sociale”, “sociale”, “sociale”. Pensai: “Ecco qualcuno che vuole aiutare gli altri”. Immaginai un film con lui protagonista, poi pian piano l’idea prese corpo e diventò Napoli Napoli Napoli, ma fu lui a scatenare la prima vibrazione.
Vi conoscete bene? Che rapporti avete?
Ora stiamo lavorando insieme a Paradise. Sarà un film distopico, ambientato a Soccavo nel 2200, una sceneggiatura originale. La “cancel culture” ha sostanzialmente azzerato la memoria collettiva dei popoli. Le vie sono numerate. La storia viene insegnata ai giovani attraverso un programma che viene trasmesso a un ricettore sulla corteccia entorinale. Il programma è lo stesso per tutto il mondo, deciso da una suprema e intoccabile accademia (con sede nel basso Lazio) che ha avuto il compito di eliminare ogni conflitto, ogni macchia nera della storia umana. Questo fino a quando un ragazzo, vedendo una vecchia figurina di Luciano Sola all’interno di un crepaccio, comincia a ricordare e trascrivere la storia. Con l’aiuto di una banda di coetanei ricostruirà le statue abbattute nel corso degli ultimi due secoli.
Cosa augura ai napoletani?
L’ingresso di Sergio D’Angelo a Palazzo San Giacomo sarebbe il finale controverso del film più amaro che avrei potuto dirigere. Auguro ai napoletani di assistere a questa scena e sentirla come un nuovo inizio. I nomi delle liste civiche, d’altronde, dicevano già tutto: “Tutto il bello di Napoli con Sergio D’Angelo” e “La città che vogliamo con Sergio D’Angelo”. Ho la pelle d’oca.
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