Acerra sale di nuovo al dis-onore delle cronache, ma stavolta non per l’inceneritore di rifiuti, non per i roghi nelle campagne né per le discariche abusive. Il lavoro investigativo dei carabinieri del Nucleo di Castello di Cisterna ha fatto emergere la trama di illeciti allestita da diversi soggetti riconducibili alle famiglie criminali del luogo, e le dinamiche di odi e alleanze che fanno da retroscena ad alcuni omicidi degli ultimi anni. Acerra ha la sua camorra, in salsa paesana. Il 20 settembre, nell’operazione denominata “Risiko”, sono state arrestate quarantatre persone in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Antonella Terzi presso il Tribunale di Napoli, su richiesta dei pm Vincenzo D’Onofrio e Francesco Valentini. Di queste, venti persone erano già detenute per altri reati. Gli indagati sono complessivamente cinquantasette. Le accuse a carico dei presunti esponenti dei clan dell’acerrano sono di associazione a delinquere di tipo mafioso finalizzata a estorsioni e “cavalli di ritorno”, traffico di sostanze stupefacenti e porto illegale di armi, lesioni volontarie, omicidi e altri reati. Il provvedimento è la prosecuzione dell’indagine durata cinque anni che culminò nel 2008 con l’operazione “Congo”, dal nomignolo affibbiato a un quartiere di case popolari di Acerra, e che portò al ritrovamento di armi ed esplosivi custoditi in casa di affiliati.
La mappa dei clan che si evince dall’ordinanza dipinge il quadro di diverse famiglie impegnate nelle attività criminali che stringono alleanze o le rompono a seconda di interessi immediati, configurandosi in schieramenti contrapposti fragili e momentanei, in cui il tradimento e il trasformismo sono la regola. Il panorama criminale di Acerra viene definito dagli investigatori come “ambiguo e peculiare”. “Emerge un costante ed a tratti ripetitivo clima di reciproche diffidenze, non di rado culminate in atti di aperta aggressione, un proliferare di gruppi e gruppetti più o meno strutturati, ma sostanzialmente privi di duratura coesione. Il periodico apparire sulla scena di volti nuovi, vogliosi di potere, spesso destinati a un rapido declino, quando non alla fisica eliminazione”.
In questa frammentazione criminale è possibile tuttavia individuare la costante altalena tra concorrenza e cooperazione delle famiglie “storiche” della mala acerrana: i Crimaldi , che ruotano attorno alla figura carismatica di Cuono Crimaldi (reggente anche se attualmente detenuto), i De Sena e i Marianiello, detti cammuristiell. Accanto a loro, in posizione di volta in volta di rincalzo e appoggio o di contrapposizione, la famiglia Tedesco pintonio, i De Falco-Di Fiore e i Di Buono marcianisielli. Grazie all’apporto dei collaboratori di giustizia Giovanni Messina e Domenico Delli Paoli è stato possibile per gli inquirenti ricostruire gli eventi nella loro concatenazione logica e cronologica e le modalità di ripartizione degli illeciti.
Dal racconto dei pentiti emerge il perdurare di un accordo tra le diverse famiglie che mette da parte vecchie ruggini in nome di una logica di profitto, e nonostante le guerre intestine. Grazie al Messina, che militava nel clan De Sena, è stato possibile ricostruire la catena di omicidi iniziata con l’assassinio di Caterino D’Urso, amatissimo genero del boss Cuono Crimaldi, avvenuto nel 2004. Antonio Di Buono, nipote di Vincenzo Di Buono, reggente dell’omonimo clan e alleato dei Crimaldi, viene sospettato come mandante o passivo condiscendente dell’omicidio per dispute di potere, ma la frattura tra i due clan alleati resta latente. La situazione precipita quando Ciro De Falco, nell’ottobre 2006, cade sotto i colpi di Antonio Marianiello. Si innesca così una catena di reazioni che coinvolgeranno i Tedesco, alleati dei Marianiello, accusati dai De Falco-De Sena di agire in combutta per estrometterli dalla ripartizione dei proventi estorsivi. Il momento di crisi delle alleanze verrà sfruttato dai Crimaldi per liberarsi di Salvatore Nolano, astro emergente del clan De Sena, indicato quale mandante dell’omicidio di Caterino D’Urso.
“È una camorra primitiva e violenta, rocciosa ed impenetrabile, ma al tempo stesso fatta di uomini sfuggenti come anguille, bugiardi e sleali, mai solidali e preoccupati del bene comune, sostanzialmente privi di progettualità a lungo termine, pronti a calpestare i cadaveri dei ‘compagni’”, si legge ancora nell’ordinanza. Le logiche dei gruppi criminali di Acerra sembrano effettivamente beghe armate di paese da parte di soggetti dediti al parassitismo verso imprenditori e commercianti, poco orientati verso una trasformazione in senso imprenditoriale dell’attività criminale. A esercitare il potere di coazione sulle vittime delle estorsioni sembra sufficiente la notoria militanza criminale e la minaccia armata, più che un forte retroterra associativo. In sostanza, qualsiasi gruppetto motivato e provvisto di armi può pretendere la riscossione di “tasse di protezione” dagli esercenti, mettere su una piazza di spaccio, imporre l’acquisto di determinati beni e altre attività illecite. La parcellizzazione dei gruppi, anche nell’ambito delle famiglie con noti interessi criminali del paese, produce brevi scoppi di violenza, e una minaccia costante e da più fronti verso la popolazione locale. Queste attività attirano anche i giovani di Acerra privi di lavoro, che nel brivido di “girare armati” e sentirsi “pericolosi” trovano uno sfogo alle frustrazioni e una minima fonte di reddito. L’attività di spaccio è ormai considerata alquanto condivisibile, “normale”, soprattutto tra i più giovani frequentatori delle piazze locali. Di certo, incarcerando gli attuali protagonisti del crimine paesano, non si sono intaccate le basi, sociali ed economiche, dell’adesione all’agire violento e parassitario che va sotto il nome di camorra. (salvatore de rosa)