Nella città di Atene esiste un luogo che catalizza ostilità e devianze all’ordine. È il piccolo quartiere di Exarchia, da sempre connesso al fiorire delle controculture politiche, artistiche e musicali.
Exarchia è il risultato di una forte costruzione di politiche contrapposte che ne delineano la fama. Se da un lato è visto come il quartiere cardine della sperimentazione culturale e politica, dall’altro la nomea di “quartiere degli anarchici” fa sì che in molti ad Atene lo temano e cerchino di non attraversarlo, ritenendolo un posto pericoloso.
Il labirinto di piccole strade crea l’ambiente perfetto per le sommosse. Le sue taverne e caffè, così come gli spazi aperti, sin dall’opposizione al regime dei colonnelli sono i luoghi ideali per parlare senza dare nell’occhio. La posizione centrale nella città la rende facile da raggiungere. I tantissimi laboratori tipografici danno l’opportunità di stampare a prezzi convenienti manifesti e testi di contro-informazione. Inoltre, qualcosa di magico avviene nelle sue strade durante le rivolte, costituendo nel tempo una sorta di tradizione che funziona ancora oggi come “mitologia attiva”. Un esempio sono le rivolte del dicembre 2008, scoppiate a seguito dell’omicidio da parte del poliziotto Epaminondas Korkoneas del giovane anarchico Alexandros Grigoropoulos.
Con la vittoria del 25 gennaio 2015 della coalizione di sinistra radicale Syriza, che ha formato il governo insieme al partito di destra populista ANEL (Greci indipendenti), il panorama politico greco, e il suo impatto sul quartiere, è profondamente cambiato, pur rimanendo apparentemente immutato.
«Voglio poter tornare a bere il caffè a Exarchia come facevo da giovane!», dichiarò quando era ancora al potere il ministro dell’ordine pubblico e della sicurezza del cittadino, esponente di Nea Dimokratia, Nikos Dendias, insistendo sul fatto che Exarchia costituisse un inaccettabile vuoto di potere istituzionale che andava colmato.
Una strategia retorica, quella sulla pericolosità di Exarchia, che oggi, a pochi giorni di distanza dalla disfatta politica di Syriza alle elezioni europee e dall’elezione al municipio di Atene del rampollo della famiglia Misotakis, vero proprio nucleo del partito di Nea Demokratia (che ha vinto anche le elezioni europee e della regione dell’Attica), è stata ripresa e sfruttata da tutti i partiti dell’arco parlamentare, con alcune differenze di forma, come vedremo.
In realtà, il vero punto di svolta non è stata la vittoria di Syriza, ma la resa di questa davanti alle istituzioni europee a seguito del referendum popolare del 25 giugno 2015. Identificherò tre fattori interconnessi che hanno determinato questo cambiamento: le politiche di contro-insurrezione “socialdemocratiche”; l’arrivo di un numero crescente di militanti anarchici e di volontari e neoassunti nel sistema dell’accoglienza da tutta Europa a seguito della crisi migratoria che ha investito la Grecia; infine, la messa a capitale delle abitazioni private, del quartiere come altrove, per lo sfruttamento turistico.
Al di là di ogni presa di posizione politica o ideologica, l’aspettativa della maggior parte dei greci rispetto al governo Syriza era quella di un reale cambiamento, di una piccola “rivoluzione democratica” (se mai questo fosse possibile). L’ascesa di Syriza è stata determinata in primis dalla sua partecipazione ai movimenti popolari degli indignati di piazza Syntagma dell’estate 2011 e alle grandi mobilitazioni contro la chiusura della radio televisione pubblica ERT del 2013. La strategia di Syriza è stata quella di dare l’illusione di una possibile rappresentabilità delle istanze dal basso nel contesto parlamentare, progetto di cui non solo non è stata all’altezza, ma che era chiaramente impossibile sin dalle sue premesse. Infatti, se da un lato Syriza si è posta come garante di una gestione solidale delle infrastrutture sociali (cliniche autogestite, accoglienza spontanea dei migranti, politiche partecipate nei quartieri, mercati senza intermediari), dall’altro ha messo in atto delle dinamiche di vera e propria capitalizzazione delle risorse sociali, economiche e infrastrutturali (aeroporti, rete ferroviaria, rete autostradale) al fine di un intenso sfruttamento commerciale e turistico.
In una nazione come la Grecia, e in particolare in una città come Atene che vive prevalentemente del settore terziario legato al turismo e che dispone di una grande quantità di appartamenti privati, spesso non prime abitazioni, un sistema come quello degli Airbnb ha portato incredibili mutamenti nel panorama abitativo del centro e in modo particolare a Exarchia. Il fatto che sia un posto così centrale e che goda di un vero e proprio “parossismo esotico” basato sulla sua storia, ha avuto due risultati diversi, apparentemente opposti, ma concorrenti: da un lato, specialmente negli ultimi due anni, nei quali una critica realtà migratoria che è sempre esistita si è acuita tragicamente, non solo si è assistito all’arrivo di moltissimi neoassunti da tutta la Grecia e altrove per lavorare con OG e ONG che si occupano di accoglienza ai migranti, ma pure, moltissimi attivisti e militanti anti-autoritari sono giunti ad Atene, Salonicco, nelle isole e ai confini per costruire un modello solidale dal basso di supporto ai migranti, antigerarchico e, almeno nelle intenzioni, non assistenzialista. Possiamo verificare come questo abbia mutato il panorama urbano di Exarchia. Se da un lato queste pratiche hanno reso l’ambiente anti-autoritario greco meno chiuso e autoreferenziale, dall’altro hanno avuto il grande difetto di non sapersi collocare in quella “tradizione” così importante per la sopravvivenza di Exarchia. Si è passati, infatti, dall’autogestione diffusa a una modalità abitativa nella quale il “privato liberato”, le occupazioni di edifici, non sembrano più avere come orizzonte l’intero quartiere ma la singola occupazione, la singola assemblea. Si assiste alla produzione di questo nuovo genere di spazio, uno spazio anomico dove l’elemento centrale non è più l’autogestione, ma piuttosto la mancata (o presunta tale) gestione da parte dello stato. Uno spazio, per altro, sempre più tristemente in balia di poteri altri, come quelli dei cartelli della droga.
Exarchia è diventato così uno scenario, più che un contesto, un palcoscenico, più che uno spazio, con forti ripercussioni sul legame tra gli “ambienti rivoluzionari” e gli abitanti del quartiere, che non riescono più a vedersi partecipi nella gestione dello spazio in cui vivono. Una sì grande produzione di sfitto e la concorrente volontà di metterlo a reddito dei proprietari di casa, soprattutto considerando il nuovo mercato, più redditizio, degli stranieri, ha fatto sì che non solo il sistema degli Airbnb si sia insinuato nel quartiere, ma pure che, per tenere testa a questo, i prezzi degli affitti “normali” siano schizzati alle stelle: impossibile ormai trovare a Exarchia bilocali a meno di 450 euro, dove la media dei prezzi fino a tre anni fa era di 280-300 euro, a fronte, è bene ricordarlo, di uno stipendio medio che si aggira intorno ai 600 euro al mese.
A questo va aggiunto un discorso pubblico allarmista volto a creare consenso sulla necessità di normalizzare un quartiere “fuori controllo”. Ogni fine settimana, infatti, compaiono articoli che riportano notizie di scontri a Exarchia notturni tra anarchici e MAT (la polizia antisommossa). Non importa quanto questi scontri durino e di che intensità siano, la notizia passa, crea immaginario.
La strategia contro-insurrezionale del governo Syriza è stata apparentemente diversa da quella dei precedenti governi neoliberisti. Lo è stata nella pratica repressiva (meno contatto fisico e molto più gas lacrimogeno), così come nei presupposti. Lo si coglie dalle parole della viceministra dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, Katerina Papakosta, che lo scorso aprile ha dichiarato, in un’intervista all’agenzia nazionale della stampa greca, che considera Exarchia “la Montmartre della capitale”.
Si capisce, quindi, come non si tratti tanto della volontà di eliminare la tradizione sovversiva di Exarchia perché inaccettabile e incompatibile con gli ideali istituzionali di “ordine e disciplina”. Piuttosto, come è stato per il patrimonio sociale e politico dei movimenti sociali degli ultimi anni, un tentativo di “patrocinare” la storia di un luogo e di renderla innocua e proficua: una musealizzazione della conflittualità che passa attraverso la sua messa a frutto. Una musealizzazione che è l’essenza stessa dei processi di gentrificazione. (anna giulia della puppa)