Nel 1998, quando vengono istituiti dal governo dell’allora centro-sinistra i primi Centri di permanenza temporanea, la caserma di contrada di Pian del Lago, nella periferia di Caltanissetta, viene individuata come una struttura ideale: già disposta a contenere in maniera repressiva centinaia di persone, isolata dal centro cittadino di un capoluogo di provincia del Sud poco abitato e con i più alti tassi di emigrazione.
Venticinque anni dopo, la militarizzazione segna ancora il quotidiano di quello che nel frattempo è diventato il “Centro governativo polifunzionale per migranti”, che racchiude all’interno delle stesse grate di ferro l’ufficio immigrazione, il Centro per il rimpatrio – Cpr (lo abbiamo raccontato nel numero 9 de Lo stato della città) e il Cpa, il Centro di prima accoglienza.
Si tratta di un polo della logistica concentrazionaria, dove le persone migranti sono ridotte a merce per il mercato del confinamento umanitario, animato da operatori economici che si contendono con offerte al ribasso bandi di gara prefettizi da milioni di euro. Quello aperto nel 2021, per esempio, per la “erogazione di servizi di gestione amministrativa, di assistenza generica e sanitaria alla persona e fornitura di beni” del Cpa risulta ancora non chiuso. Dopo svariate revoche, sulla carta ne risulterebbe ora vincitore Azzurra multiservice viaggi, un tour operator calabro che da un decennio ha diversificato la propria attività puntando all’accoglienza di massa dei richiedenti asilo perché, come scrivono sul loro sito, “un buon imprenditore guarda lontano ed investe nel lungo periodo”. Nei fatti, a operare nel Cpa è ancora EsseQuadro, storica società cooperativa sociale di Caltanissetta che sta terminando al contempo la gestione anche del Cpr. Quest’ultima è stata da poco formalmente riattribuita ad Albatros 1973, altra cooperativa sociale nissena che ha già controllato per un decennio Cpr e centro per richiedenti asilo, distinguendosi per discriminazioni, violazioni contrattuali e pratiche estorsive che l’hanno portata a essere anche indagata dalla magistratura. In questa scarsità di trasparenza e limbo burocratico, nel Cpa ci si dovrebbe continuare a occupare di dare cibo, beni di prima necessità, assistenza legale, sanitaria e psicologica, corsi di italiano ai richiedenti asilo. Eppure, questi servizi sono da mesi negati, nel perfetto silenzio di prefettura ed ente gestore, ma anche di associazioni locali che si dichiarano rivolte alla difesa dei diritti delle persone migranti.
Chi ha il telefono riesce appena a comunicare con i propri cari poiché la distribuzione delle schede telefoniche avviene di rado, per non parlare dell’assenza di una rete wi-fi. Il contributo di 2,5 euro che l’ente gestore sarebbe tenuto a versare giornalmente non viene corrisposto anche per settimane consecutive, e quando arriva, arriva in sigarette e schede ricaricabili impedendo alle persone di determinare come impiegare quei pochi soldi. Dei pagamenti arretrati nessuna notizia. Non mangiano abbastanza, e chi ha la fortuna di ricevere qualche soldo dai parenti deve spenderlo per saziarsi. Non hanno il sapone per lavare i propri corpi, né i vestiti che sono costretti a raccattare in città dalla spazzatura, perché dentro il centro non vengono quasi mai forniti, neanche le mutande. Il governo pretende da loro integrazione, ma non stanno ricevendo corsi di italiano. L’assistenza medica è indecente: se qualcuno si sente male la notte gli viene detto di tornare l’indomani, ma di giorno il medico di turno sembra offrire a tutti la stessa medicina, una sola compressa, di cui non si conosce il nome. Se qualcuno chiede di essere portato in ospedale si viene lasciati per terra per ore e il tesserino sanitario temporaneo non viene attribuito. La maggior parte di loro vivono e dormono in quattordici o sedici persone in container che dovrebbero essere per dieci. Gli impianti di condizionamento per poter avere tregua dalle temperature infuocate sono rotti e da settimane sopportano la convivenza con insetti che causano eritemi.
Spesso, di notte, nelle camerate l’aria diventa irrespirabile a causa della quantità di lacrimogeni lanciati dentro al Cpr; anche lì la gente protesta, le persone detenute continuano a lottare, venendo brutalmente represse. Come è successo in primavera, il 2 luglio e il 7 agosto, quando alcuni sono riusciti a salire sul tetto e dare fuoco ad alcuni materassi per tentare di evitare la deportazione. Salvo per chi riesce a evadere, per quasi tutti coloro che sono dentro il Cpr l’unica uscita dal centro è quella che si fa su un autobus scortato dalla polizia, che li porta all’aeroporto. Chi è dentro il Cpa si trova costretto a restare e a rientrare ogni sera, altrimenti gli viene detto che non può più accedere: si perde il posto e quindi il diritto di provare a farsi valutare la richiesta di asilo. La maggior parte di loro non ha ancora idea di quando potrà vedere la commissione territoriale e molti non hanno ancora nemmeno potuto formalizzare là loro volontà di richiedere protezione. Persone che si trovano a Pian del Lago da mesi hanno appuntamenti fissati in autunno o a fine anno.
Dopo continui, ma spesso vani, tentativi di ottenere dal personale dell’ente gestore e dalla polizia beni essenziali come sapone e vestiti, per la prima volta il 18 luglio un centinaio di loro decide di uscire in manifestazione in città. L’obiettivo è andare a parlare direttamente con la prefettura, da cui una delegazione riesce infine a farsi ricevere. Nessuno dà risalto alle loro voci, se non un breve articolo online: le associazioni che si occupano della difesa dei migranti non si accorgono di quanto succede. Eppure gli abitanti di Pian del Lago continuano a muoversi in massa nelle settimane successive, anche perché dalla prefettura ottengono solo vaghe promesse non scritte, e una distribuzione di sigarette, viste da molti come un contentino per comprare il loro silenzio.
Il 29 agosto vi è stata un’ulteriore manifestazione: giunti davanti alla prefettura, questa volta i migranti hanno provato a rifiutare fino all’ultimo l’inganno del “tavolo di confronto” a porte chiuse, in cui nulla di quello che viene detto è tracciabile. Ben consapevoli che la divisione e la delega son mezzi per indebolirli, volevano questa volta fosse la prefetta a scendere di fronte a tutte le persone in presidio e a qualche locale solidale che si era avvicinato. Dopo un paio d’ore di presidio, i manifestanti hanno accettato di formare una delegazione a patto che a tradurre le comunicazioni fosse una persona neutrale da loro indicata, quindi né l’operatrice del centro, né della questura, viste come conniventi. Dopo un’ora di discussione, i presenti hanno chiesto che le dichiarazioni e le promesse delle autorità per una volta venissero messe per iscritto in un documento ufficiale da poter diffondere con i compagni in presidio fuori e con l’esterno. Non viene loro concesso, perché i funzionari dicono di non aver tempo, di “dover andare a lavorare per voi”. Le persone restano sedute al tavolo, decise a non alzarsi, poi si ricongiungono con gli altri manifestanti per continuare la protesta per le vie della città. L’hanno attraversata in oltre cento, per tutto il centro e oltre verso il tribunale, di fronte a cui uno schieramento di carabinieri in tenuta antisommossa si è frapposto per bloccarli. Loro non si sono lasciati intimidire, e hanno continuato il presidio determinati. La protesta è continuata e né polizia, né carabinieri, visibilmente spiazzati, hanno potuto fermarla. Le forze dell’ordine hanno perfino tentato di proporre a qualcuno di organizzare un autobus per evitare di camminare fino a Pian del Lago, se avessero accettato di tornare. Intanto un dettagliato report dell’incontro e della giornata di lotta è stato redatto da chi è in mobilitazione. Lo trovate qui, ed elenca tutte le richieste fatte e gli impegni presi oralmente dalla prefettura, tra cui una disinfestazione per l’indomani, 30 agosto, e l’erogazione del pocket money il giorno seguente.
Il 30 agosto viene inviato qualcuno per la disinfestazione, ma questa viene effettuata solo per alcuni container. In serata arriva al campo un camion pieno di sigarette e schede telefoniche, le persone si riuniscono nuovamente e decidono che, se il giorno dopo, venerdì 1 settembre, fossero state ridistribuite nuovamente le sigarette, loro sarebbero usciti nuovamente in corteo per la città. «Pensano che siamo ancora in piena tratta degli schiavi, che se ci danno dei beni effimeri come questi ogni tanto possono comprarci», afferma una delle persone. Non è solo per le sigarette e i soldi che le persone stanno lottando. Vogliono soluzioni per tutto ciò che gli viene negato e che, invece, gli spetta di diritto, anche stando a quanto disposto dalla prefettura: per l’attesa indefinita per un’audizione in Commissione, per cui non si sentono preparati e per la quale non ricevono nessun supporto legale; per l’impossibilità di parlare con i propri cari; per la paura di stare male in un posto in cui il medico, se c’è, non esegue nessuna visita e non dà risposte adeguate; per il tempo speso ad attendere i corsi promessi e i percorsi di inserimento al lavoro; per il cibo e i vestiti che mancano e per l’essere costretti in una “prigione” senza sapere perché, né quando ne usciranno.
Il giorno dopo, venerdì 1 agosto, di fronte alla consegna delle sigarette, in tanti si sono opposti e sono ripartiti verso la città in corteo. Questa volta non si sono diretti in prefettura, il dialogo e le promesse a vuoto non interessano più. Dopo un corteo spontaneo fino al centro hanno bloccato il passaggio di una delle vie principali della città, chiedendo di essere trasferiti dalla struttura. Di fronte alle minacce di ripercussioni sui documenti da parte di operatori del centro e delle forze dell’ordine, si sono sdraiati a terra. Dopo ore sono stati costretti a mettersi ai lati della strada per riaprire il traffico, ma hanno continuato fino a sera, finché le forze lo hanno permesso. Al ritorno al centro, agli ultimi arrivati è stato detto che dovevano essere fotografati: si sono rifiutati. Il giorno dopo, a una trentina di persone è stata comunicata la data di colloquio con la Commissione per l’asilo e, per alcuni, questa accelerazione è un risultato positivo delle proteste. Seppur grazie alla lotta la situazione sui beni essenziali sembra lentamente e parzialmente migliorare, loro in quel posto non ci vogliono restare, vogliono poter essere trasferiti in altri centri dove possano essere davvero sostenuti nel loro legittimo percorso di richiesta di asilo.
Le loro voci non chiedono vittimizzazione o compassione, ma sostegno e supporto concreto da chi abita a Caltanissetta, in Sicilia, in Italia. Che le informazioni vengano diffuse e che non vengano lasciati soli di fronte alle minacce di possibili ritorsioni che possano pregiudicare la possibilità di ottenere i documenti.
Al momento sembra essere tornata l’apparente calma piatta nell’aria asfittica di Caltanissetta. Ma è il tempo di riprendere le forze, di far passare un po’ d’acqua sotto i ponti e di alleggerire la pressione su chi si è esposto di più. Le decisioni su cosa fare sono sempre stati loro stessi a prenderle, a partire da sé e discutendone assieme, passo per passo. Un insegnamento chiaro su come si lotta per i propri diritti contro sfruttamento e razzismo. Chiunque voglia dare ora solidarietà concreta, non può prescindere da questo. (alcune e alcuni solidali con gli scioperanti del cpa)