Milano, 4 aprile 2023, la questura comunica le nuove modalità di accesso all’ex caserma Annarumma di via Cagni 15 dove è possibile presentare l’istanza di protezione internazionale. Il comunicato chiarisce che l’appuntamento si potrà prendere attraverso il portale Prenota Facile.
È la fine di una vicenda che è stata raccontata e vissuta come una battaglia. In gioco c’era l’esercizio di un diritto fondamentale, l’accesso alle misure di protezione e di conseguenza a un permesso di soggiorno, al diritto a lavorare, avere cure, una casa, alla dignità. Da un lato gli agenti schierati a protezione della caserma, dall’altro centinaia di aspiranti richiedenti asilo, associazioni, sindacati, partiti, istituzioni di vario genere.
Dal 5 aprile quello che era stato esplicitamente vietato da una circolare del ministero dell’interno è divenuto possibile: è stata attivata la possibilità di prenotare un appuntamento per presentare istanza di protezione internazionale. Le pressioni della società civile sembrano aver avuto effetto. Le istituzioni hanno in qualche modo reagito e una soluzione è stata proposta e applicata.
Il sistema Prenota Facile è in uso sperimentale ad alcune questure, tra le quali Milano. È usato dal 2021, quando ha sostituito il precedente sistema (Cupa Project). Rappresenta uno dei tentativi di informatizzare il sistema di accesso ai permessi di soggiorno ed è stato progettato per disciplinare gli ingressi negli uffici di polizia. Come chiarito più volte anche dal ministero, il sistema non è normativamente previsto, come invece il programma di prenotazione di Poste Italiane, conseguentemente, non può raccogliere tutte le tipologie di richiesta di permesso di soggiorno e alla ricevuta di prenotazione ottenuta attraverso il sistema non è riconosciuto alcun valore legale.
La decisione di istituire un sistema telematico è stata da subito criticata. Per accedere è necessario avere dei mezzi e delle competenze ma è prevista anche la possibilità di prendere appuntamento attraverso associazioni e sindacati. Questo dettaglio rassicura, sembra una garanzia. La prefettura e la questura chiedono proprio agli enti del terzo settore di contribuire al funzionamento del nuovo sistema di prenotazione rendendosi disponibili per assistere gli aspiranti richiedenti protezione internazionale. Ma Prenota Facile non funziona e l’accesso alla richiesta di protezione internazionale non è più facile di prima. Dopo due giorni dall’entrata in vigore del nuovo sistema sono ricominciate le proteste. Prenota Facile non prenota.
Le risorse dedicate alla registrazione delle istanze di protezione internazionale sono rimaste le stesse, il numero di “utenti” che gli uffici possono gestire non è cambiato. Il collo di bottiglia non è più la piccola porta d’ingresso dell’ex caserma Annarumma ma il portale telematico. Sembra la classica operazione di gattopardismo. Cambiare tutto per non cambiare niente e le associazioni lo denunciano immediatamente.
Il Tribunale di Milano con una decisione del 9 maggio 2023 afferma chiaramente che il sistema Prenota Facile è inadeguato e l’accesso alla protezione internazionale e ai diritti fondamentali connessi non può essere limitato da prassi illegittime.
La nuova frontiera è telematica, selettiva come qualsiasi frontiera, ma “civile”. L’ex caserma Annarumma è tornata a essere un posto di periferia, poco frequentato. Non c’è più nessuno che passa le notti lì, l’area adibita a verde pubblico è tornata libera da falò e tende, gli agenti in tenuta antisommossa non sono più su tutti i giornali.
La telematizzazione delle frontiere è uno degli strumenti messi in campo dall’Unione Europea per raggiungere gli obiettivi pubblicamente dichiarati: proteggere i cittadini, combattere la criminalità e garantire la sicurezza delle frontiere. Ancora una volta Milano potrebbe rappresentare un’avanguardia; potrebbe essere uno dei primi esperimenti di queste oscure pratiche innovative offrendoci uno spaccato dell’Europa che stiamo costruendo.
Se è vero che la questura e la prefettura di Milano hanno dovuto prendere provvedimenti per interrompere lo spettacolo di via Cagni, le soluzioni offerte non potevano che essere in linea con i chiari obiettivi politici che le istituzioni nazionali ed europee si sono impegnate ufficialmente a perseguire.
In linea con le politiche europee, Milano ha scelto di telematizzare le frontiere. Gli interventi dell’amministrazione pubblica sono lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi politici prefissati. Qualsiasi misura messa in campo dalle istituzioni in merito alla “gestione dei flussi migratori” e la “prevenzione dell’immigrazione irregolare” deve passare attraverso gli strumenti suggeriti e disciplinati dalle norme europee. L’emergenza, ancora una volta, si dimostra un momento di sperimentazione di nuove prassi e soluzioni che poi spesso diventano la norma.
Già dal 2017 il Consiglio d’Europa ha iniziato a costruire nuovi sistemi telematici e banche dati (Etias, Ecras, eu-Lisa), e potenziare quelli già esistenti (Eurodac, Sis), con il preciso obiettivo di telematizzare i controlli di frontiera al fine di renderli più efficienti, migliorare il rilevamento di identità multiple e contribuire a prevenire e contrastare la migrazione illegale, come si legge sul sito della Commissione europea.
L’Etias, per esempio, è il nuovo sistema di accesso allo spazio Schengen. Si applicherà ai cittadini di paesi terzi esenti dall’obbligo di visto, che dovranno ottenere un’autorizzazione preventiva ai viaggi, tramite una domanda online. Le domande di pre-autorizzazione al viaggio saranno presentate dal paese di origine e trattate automaticamente interrogando le banche dati dell’Ue e dell’Interpol per verificare, attraverso un algoritmo, la presenza di motivi ostativi alla partenza. In assenza di una risposta o in caso di risposta negativa da parte del sistema telematico, non si potrà più prendere l’aereo verso l’Europa, sarà necessario chiedere un visto all’ambasciata del paese verso cui si viaggia. Un dettaglio importante è che i dati a cui l’algoritmo potrà accedere non sono solo quelli delle banche dati europee ma anche quelli messi a disposizione dai paesi di origine, come i casellari giudiziari e i dati attinenti alla storia “penale” delle persone, con la conseguenza che chi è perseguitato penalmente nel proprio paese, anche per motivi politici, potrebbe risultare “indesiderato”.
In assenza della pre-autorizzazione telematica, anche le persone che fino a oggi hanno potuto viaggiare senza chiedere il visto, accedendo allo spazio Schengen mostrando semplicemente un passaporto in corso di validità, non potranno più salire a bordo degli aerei. Le compagnie aeree saranno chiamate a controllare non solo la regolarità del passaporto ma anche la concessione della pre-autorizzazione telematica, controllo che, ovviamente, sarà effettuato attraverso la consultazione di un portale online.
Il risultato sarà esattamente quello di via Cagni: trovarsi disorientati a prenotare online senza nessun muro da poter superare, nessuna fila da poter contestare, nessun poliziotto di frontiera con cui dialogare. Non in fila a Milano per l’accesso al permesso di soggiorno ma a casa, nel proprio paese, a cercare di accedere a un portale telematico immateriale.
A Milano come in Europa si perseguono gli stessi obiettivi: il controllo delle frontiere totale, con tutti i mezzi, a tutti i costi; la costruzione di muri sempre più invalicabili che impediscano alle persone di entrare in contatto con le nostre comunità, con le associazioni, con i solidali, con gli amici, con i proprio familiari.
Resta però un dubbio. Se Prenota Facile avesse funzionato? Un sistema di prenotazione funzionante potrebbe essere rivendicato come un importante passo in avanti? È vero, un’enorme banca dati controllerebbe le vite e le decisioni dei richiedenti asilo, ma i diritti fondamentali sarebbero salvi?
Se si ritorna a contestualizzare l’emergenza di via Cagni nelle politiche migratorie italiane ed europee si capisce come, in pochissimo tempo, l’intera concezione della protezione interazionale potrebbe cambiare radicalmente. La battaglia di via Cagni per l’accesso alla richiesta di protezione internazionale potrebbe non avere più senso. Il sistema telematico funzionerà perfettamente, ma avere l’appuntamento per richiedere protezione non significherà più poter soggiornare sul territorio italiano, avere il diritto di lavorare e di avere un’abitazione.
Con la proposta di Regolamento Com (2020/612) e il nuovo Patto Ue su migrazione e asilo siglato nel 2020, la Commissione europea ha avviato la discussione per l’introduzione di una procedura obbligatoria di screening in frontiera, dispositivo che si applicherà anche alle persone sbarcate a seguito di operazioni di soccorso in mare e a coloro che presentano domanda di protezione internazionale. La procedura ideata si applicherà anche ai cittadini stranieri già presenti sul territorio europeo e che, come in via Cagni o attraverso il sistema Prenota Facile, si presentano spontaneamente negli uffici delle questure per chiedere protezione internazionale. In questa circostanza, lo screening non avverrebbe in frontiera ma in qualunque luogo all’interno del territorio e in condizione di detenzione. In sintesi, provare a chiedere protezione internazionale potrebbe condurre a essere trattenuti e successivamente espulsi in pochi giorni. Il modello a cui si aspira è quello statunitense o australiano.
La proposta della Commissione segna un ulteriore passo in avanti verso il definitivo sovvertimento del sistema di asilo europeo. In attesa di una risposta all’istanza di protezione internazionale, gli stranieri non saranno più autorizzati a entrare nel territorio dello stato. La frontiera non è più un luogo fisico, legato a uno spazio geografico specifico. La frontiera ora è diffusa, diventa un dispositivo, uno status connesso alla condizione di irregolarità sul territorio. Attraversare il confine non significa più andare al di là di un muro o di una linea immaginaria tra due stati ma è una pratica burocratica, amministrativa, che deve passare per l’esplicita autorizzazione dello stato. Sistema già sperimentato in alcune aree di transito o di frontiera in diversi paesi europei, compresa l’Italia, con costi elevatissimi in termini di contrazione dei diritti e violazione della dignità delle persone.
Il decreto legge 20/2023, varato subito dopo la strage di Cutro e convertito in legge il 5 maggio 2023, introduce ufficialmente un sistema di “ammissione” al territorio nazionale anche per i richiedenti asilo e implementa il dispositivo della “frontiera diffusa”. La richiesta di protezione internazionale, in linea con le politiche europee, non è più garanzia del diritto a soggiornare sul territorio nazionale e quindi non è più garanzia del diritto a essere riconosciuto come appartenente alla comunità.
La chiara volontà di gestire i flussi migratori con un approccio solo securitario è evidente anche nelle prassi applicate ai salvataggi in mare che è stata la causa principale della strage di Cutro. La classificazione della segnalazione di una barca in difficoltà come “operazione di polizia” ha attivato un dispositivo di intervento diverso da quello delle operazioni di salvataggio. L’obiettivo, appunto, è diverso. L’operazione di polizia ha lo scopo di controllare e prevenire un crimine – l’ingresso irregolare –, mentre l’operazione di salvataggio ha il fine unico di portare al più presto persone in salvo.
Da questo punto di vista la “battaglia” di via Cagni è una sconfitta. È stata l’occasione per le istituzioni di fare un altro passo in avanti verso il rafforzamento della fortezza Europa. Però, se si riuscisse a chiedere e pretendere in modo netto il cambiamento degli obiettivi politici dell’Unione e dell’Italia, lo stallo e il disorientamento dinanzi a un nuovo dispositivo di chiusura delle frontiere potrebbe rappresentare un momento di svolta per la lotta verso il riconoscimento universale del diritto alla libertà di movimento di ogni persona in ogni luogo.
Se non vogliamo che le contestazioni aprano spazi per sperimentare nuove prassi dirette a perseguire obiettivi politici opposti a quelli richiesti, è urgente cambiare il piano di interlocuzione con le istituzioni. È necessario imporre una discussione sul riconoscimento dei diritti delle persone che vivono o transitano nelle nostre città. Come è successo nella lotta al cambiamento climatico, è indispensabile insistere per ribaltare gli obiettivi politici. È il momento di smettere di guardare il dito quando ci indicano la luna.
Le politiche, anche quelle migratorie, devono avere l’obiettivo di assecondare il libero sviluppo delle persone, perseguendo la costruzione di un sistema di solidarietà sociale senza frontiere. Il controllo dei flussi migratori e la prevenzione dell’immigrazione irregolare non possono essere degli obiettivi politici. Quello che deve cambiare non sono le prassi adottate dalle diverse amministrazioni in modo più o meno efficace, ma gli obiettivi che con tali prassi si intende perseguire; al contrario, ogni battaglia non avrà alcun senso. (nicola datena / matteo pugi)