Lo stato della città. Napoli e la sua area metropolitana è un libro collettivo uscito nell’aprile 2016 per le edizioni Monitor. Un volume di 536 pagine, con 68 autori che comprende 86 articoli, saggi, storie di vita, grafici e tabelle. Da qualche mese esiste un sito con lo stesso nome, nato con l’obiettivo di rendere progressivamente disponibile l’intero libro, ma soprattutto di aggiornare con il passare del tempo tutti i contributi, a cominciare da quelli basati su dati annuali, per costruire un archivio in movimento delle questioni aperte nell’area metropolitana. Proponiamo a seguire uno dei contributi inediti, pubblicato qualche giorno fa.
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Stringemmo i denti. Fenomenologia degli ultras
di Maurizio Zamarra
Il movimento ultras, così come sviluppatosi in Italia dalla fine degli anni Sessanta, è caratterizzato da elementi di forte autoreferenzialità e dall’utilizzo più o meno costante della violenza, in una sorta di parallelismo tra le forme comunicative del movimento e l’etimologia stessa della parola, che rimarca l’estraneità rispetto al contesto del resto della tifoseria.
Nel corso degli anni tale movimento è stato considerato come un incubatore di rabbia; alcuni commentatori l’hanno definito un miscuglio di vandalismo e ideologia; altri come la fase più organizzata di un fanatismo giovanile che faceva il verso alle bande armate degli anni Settanta.
Il movimento napoletano, invece, è sempre stato refrattario alle etichette. Gli ultras partenopei, per circa trent’anni, hanno rappresentato il catalizzatore della collera in città, senza distinzioni né categorie; l’aggregazione, in un certo senso, è avvenuta proprio perché il fenomeno era totalmente estraneo ai movimenti sociali del proprio tempo. Pertanto, è stato l’ambiente esterno a legittimare l’esistenza e il ruolo degli ultras, un’esistenza che nel frattempo diventava presenza, grazie alla comparsa di elementi tangibili, a cominciare dai murales sparsi in ogni dove in città.
Due sono le specificità rilevanti rispetto al resto del paese. La prima è costituita dall’assenza di requisiti per l’accesso ai gruppi. Laddove nel resto d’Italia occorrevano particolari qualità (colore politico, sottocultura di provenienza, estrazione sociale), a Napoli bastava risiedere in un determinato quartiere. Per questo motivo i gruppi ultras sorti nell’arco di tempo che va dal primo scudetto (1987) al ritorno in pianta stabile della squadra in serie A (2007) rappresentano uno dei movimenti di aggregazione giovanile più trasversali ed autentici sorti in Italia in quegli anni.
La seconda caratteristica è determinata da una peculiarità della città stessa. Napoli è una metropoli che spesso recepisce le tendenze provenienti dall’esterno con un considerevole ritardo, aggiungendo alle mode nazionali o straniere elementi identitari, plasmandole sulle caratteristiche del contesto cittadino. Allo stesso modo, gli ultras napoletani hanno mescolato nel tempo originalità e anacronismi. È, questo, uno dei motivi per cui risulta difficile inquadrarli dentro schemi o categorie classiche del movimento. Proveremo allora a elaborare un percorso in tre tappe, o epoche, che chiameremo teologica (fondante), metafisica (intermedia), positiva (conclusiva).
La prima, teologica, rappresenta il momento in cui il fenomeno è allo stato di natura: nessuna regola, solo irrazionalità. Il potere è nelle mani dell’homo homini lupus. Lo scontro fisico è la normalità. A Napoli questo periodo si circoscrive tra la nascita del tifo organizzato in curva A (agli inizi degli anni Novanta) e la fine del secolo.
La seconda tappa è quella metafisica, uno stadio intermedio in cui lo stallo apparente è in realtà foriero di cambiamenti drastici. Il potere è gestito in apparenza dal capo gruppo, ma la trasformazione avviene all’oscuro: il movimento sta perdendo lentamente le sue peculiarità e la sua credibilità. È il periodo che comincia all’inizio del nuovo millennio (in concomitanza con la tragica morte del napoletano Sergio Ercolano) e termina nel 2007, con la morte dell’ultras laziale Gabriele Sandri.
Infine la terza tappa, il periodo positivo. L’irrazionalità iniziale è diventata calcolo prudenziale. La carica aggregativa del movimento perde intensità e vigore, l’ordine viene imposto in maniera coatta dalle nuove leggi elaborate in materia. Il capo è delegittimato. Lo scontro è lungamente organizzato e perde la sua naturalezza. Sono gli anni della tessera del tifoso e della fine del movimento ultras così come si era sviluppato finora.
Fase teologica. L’ascesa
Alla fine degli anni Ottanta, a dettare la linea all’interno dello stadio San Paolo è il Commando Ultrà. Il gruppo è originario della Loggetta ed è nato nel 1972. Ha un’attitudine da tifoseria filo-societaria, accondiscendente con molte delle rivali. Senza questa gestione accomodante, però, non si sarebbe mai realizzato il salto di quantità degli anni Novanta. L’impatto della curva A delle origini, infatti, è devastante, totalmente in discontinuità con il passato. La curva A diventa in breve tempo un assembramento di gruppi disorganizzati ma coerenti nel perseguire un obiettivo comune: lo scontro. Sebbene siano anni di soddisfazioni e festeggiamenti conseguenti ai buoni risultati calcistici, la nuova componente ultras riflette le frustrazioni legate alle problematiche sociali che coinvolgono la città (terremoto, disoccupazione, smantellamento dei distretti industriali, guerre di camorra). (continua a leggere)