Domenica 22 aprile si è chiusa la prima edizione della fiera italiana dell’editoria, Tempo di Libri, organizzata nei padiglioni della fiera di Milano. Al di là delle valutazioni sulla riuscita della kermesse e degli interrogativi relativi al cui prodest di simili iniziative (ai lettori? agli scrittori? agli editori?), registriamo alcune conseguenze dirette per il contesto meridionale.
Durante la conferenza stampa di presentazione di Tempo di Libri 2017, si è parlato anche di delocalizzare una piccola edizione del supermercato editoriale alle latitudini meridionali, aprendo sottotraccia una competizione tra Napoli, Bari e Palermo. A detta del presidente dell’Associazione Italiana Editori (Federico Motta) a prevalere potrebbe essere il miglior offerente di finanziamenti pubblici da parte degli enti locali interessati. A detta dei maggiori editori italiani, infatti, realizzare una fiera editoriale nel Mezzogiorno costerebbe molto di più dei centomila euro messi a disposizione dalla regione Lombardia per la prima edizione di Tempo di Libri. Le reazioni non sono mancate e spaziano dall’understatement dell’immancabile Saviano alla boutade dell’assessore alla cultura del comune di Napoli che ha parlato di organizzare una fiera dell’editoria meridionale al settentrione mettendosi sulla scia dell’happening dei terroni insorgenti a Pontida.
L’attività editoriale meridionale, frammentata (non da oggi) in decine di iniziative piccole, medie e piccolissime, nel corso degli ultimi cinquant’anni è stata incapace di dar vita a un soggetto produttivo e distributivo di respiro nazionale se non per sporadici esempi (la palermitana Sellerio, la barese Laterza), tanto che oggi la casa editrice con più attenzione al Mezzogiorno risulta essere Donzelli (romana), accanto alla tradizionale Laterza. A Napoli ha chiuso qualche anno fa l’Ancora del Mediterraneo – che in alcuni momenti ha lasciato sperare in una proiezione nazionale con un catalogo autorevole – mentre altre continuano sottotraccia a proporre esperienze significative ma in assenza di un’adeguata struttura industriale. D’altra parte gli scrittori meridionali di successo poco hanno fatto per rivitalizzare il settore preferendo (e come dargli torto?) i più rassicuranti lidi settentrionali. L’università e la produzione saggistica vivono (prevalentemente) in una torre d’avorio sempre più lontana dai problemi reali e dalle poche forze dinamiche del mondo intellettuale. Ciononostante al Sud si scrive e si producono prodotti editoriali in ingente quantità e qualità.
La questione dell’editoria nel Mezzogiorno non può essere però ridotta all’organizzazione di una kermesse condita da scrittori, giornalisti, commentatori, maitre a penser alla moda messi insieme con la solita prevedibile logica commercial-spettacolare, orientata a sostenere autori e pratiche editoriali adeguati ai precetti del pensiero unico dominante (tanto nella sua versione radicale che in quella conservatrice). Non mancano certo anche da noi le guerre sotterranee tra piccoli editori da sempre incapaci di istituire un sistema integrato di produzione di cultura, che è altra cosa dal masaniellismo in voga negli ultimi tempi; e non mancano grandi e piccole librerie in gara per sostituire i libri sugli scaffali con gadget culturali di ogni forma e dimensione; e nemmeno festival o iniziative dedicate a scrittori e scrittrici di dubbio talento ma sempre in cerca di un palcoscenico. Manca forse la lucidità e la convenienza per una prospettiva più ampia, per un dialogo con le esperienze nazionali e internazionali su un piano di scambio e di parità, oltrepassando gli steccati della provincia e del folklore ripetitivo e consolatorio. E già che ci siamo mancano anche ricerche documentate e ragionamenti seri sulla prospettiva meridionalista contemporanea, il cui obbiettivo principale non sia quello di diventare un buon prodotto, un simulacro identitario o un declivio narcisistico. Ma queste mancanze non sembrano tanto un problema quanto il terreno fertile per un discorso che vede nelle fiere editoriali i simboli di una presunta riscossa meridionale.
Di una fiera meridionale dell’editoria, invece, se ne può fare a meno, sempre che non sia il risultato di una pratica altra, di una visione che non veda nel Mezzogiorno l’eterno incompiuto cui concedere una vetrina minore, ma parte integrante del paese. Poi le fiere vanno bene per i mobili, le barche, i vestiti… I libri – quelli frutto di lavoro troppo spesso male o per niente pagato e di ricerche non supportate da istituzioni competenti – meriterebbero ben altre iniziative. Si potrebbe iniziare, per esempio, finanziando e organizzando una rete bibliotecaria diffusa e accessibile anche a queste latitudini. Ma le biblioteche – si sa – non fanno spettacolo. (-ma)
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