Lo stato della città. Napoli e la sua area metropolitana è un libro collettivo uscito nell’aprile 2016 per le edizioni Monitor. Un volume di 536 pagine, con 68 autori che comprende 86 articoli, saggi, storie di vita, grafici e tabelle. Da qualche mese esiste un sito con lo stesso nome, nato con l’obiettivo di rendere progressivamente disponibile l’intero libro, ma soprattutto di aggiornare con il passare del tempo tutti i contributi, a cominciare da quelli basati su dati annuali, per costruire un archivio in movimento delle questioni aperte nell’area metropolitana.
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La città frammentata. Geografia sociale di una metropoli in crisi
di Thomas Pfirsch
Scienziati e viaggiatori hanno spesso descritto Napoli come un mondo a parte, irriducibile ai modelli classici della città europea e ai margini delle grandi evoluzioni delle metropoli contemporanee. Questo vale in particolare per l’organizzazione socio-spaziale della città, che ha colpito gli osservatori per la sua storica inerzia. Napoli sarebbe una città porosa, caratterizzata da rapporti sociali profondamente iscritti nelle forme urbane, che avrebbero favorito l’inedita permanenza di una struttura sociale arcaica nel cuore di una metropoli post-industriale. Napoli sarebbe quindi una città duale, con una ridotta classe media, in cui un’élite tradizionale (che ha fondato la sua fortuna sui patrimoni immobiliari, le professioni liberali o le aziende legate al finanziamento pubblico) si fronteggia con una plebe numerosa, composta meno da operai e salariati che da classi popolari che vivono di mestieri informali. A questa forte polarizzazione sociale corrisponderebbe una debole segregazione residenziale, con ricchi e poveri insediati negli stessi edifici (bassi e piani inferiori popolari, piani superiori nobili) o in strade adiacenti (borghesi e aristocratici nei larghi viali, classi popolari in stradine e vicoli perpendicolari a queste.
Questa struttura socio-spaziale è ancora visibile in certe parti del centro storico, per esempio nei Quartieri Spagnoli o a Montedidio, ma questi spazi non rappresentano oggi che una piccola parte di un vasto agglomerato di più di tre milioni di abitanti che si estende ben oltre i limiti amministrativi del comune di Napoli. La grande espansione territoriale successiva al 1945 ha determinato una redistribuzione delle classi sociali nello spazio e l’emergere di quartieri più omogenei. In contraddizione con la sua immagine di città mediterranea poco segregata, Napoli presenta oggi gli indici di segregazione residenziale più elevati tra le grandi città italiane. A lungo gli studi sulla città si sono limitati ai confini comunali, e soprattutto al centro storico, perpetuando un’immagine duale e schematica che sottostimava l’importanza delle classi medie e l’ampiezza dei processi di segregazione in periferia, su scala provinciale.
In effetti, come tutte le grandi città italiane, Napoli oggi è popolata in maggioranza da classi medie, che rappresentano il 51% della popolazione comunale e quasi la metà di quella provinciale nel 2001. Uscendo dai confini comunali vogliamo presentare la diversità degli spazi sociali napoletani, mostrando l’importanza dei processi segregativi che, piuttosto che rendere Napoli singolare nel contesto europeo, ne fanno un laboratorio della frammentazione urbana che ha accompagna la globalizzazione finanziaria e le politiche neoliberali ormai da una quarantina d’anni.
Spazi popolari e concentrazione della povertà
Città di classi medie, Napoli comprende però, come tutte le grandi città europee, dei quartieri dove si concentra la povertà, dove le classi popolari sono più rappresentate in rapporto al loro peso nelle medie provinciali. Questi spazi hanno due localizzazioni principali. Da una parte i quartieri del centro storico (Pendino, Mercato, Vicaria, Sanità, San Lorenzo, Montecalvario), il famoso ventre di Napoli. Come in altre grandi città portuali mediterranee, questi quartieri centrali sono aree di approdo per i neo-cittadini ; la loro popolazione si è rinnovata per la partenza del ceto medio e soprattutto per l’arrivo di popolazioni immigrate dagli anni Novanta in poi, che spesso sono andate a insediarsi nei bassi sul fronte strada. Ma questi quartieri non sono oggi i più poveri della città. L’esistenza di reti di solidarietà locale (etniche, parrocchiali, ecc.), come di importanti mercati (per esempio, quello di Porta Nolana), in questi quartieri prossimi alla stazione e al porto, frequentati da diversi tipi di city users, limitano la povertà fornendo reti di autoaiuto e impieghi informali nel commercio o nei servizi alla persona.
Lontano dal centro storico, nella periferia nord ed est si concentra oggi gran parte della povertà cittadina, nei grandi lotti di edilizia popolare di Scampia o Ponticelli, come nei quartieri abusivi della zona rossa vesuviana. Questi luoghi, che non beneficiano delle reti di aiuto dei quartieri centrali, sembrano dimenticati dalle politiche urbane e sono sempre più controllati dalla criminalità organizzata che si è espansa verso la periferia a partire dagli anni Ottanta. Sono questi i quartieri più segregati della città. Vi possiamo rintracciare gli stessi effetti osservati nei ghetti nord-americani, con la concentrazione di una popolazione povera ed esposta a una prolungata disoccupazione. A Napoli, come nella maggior parte delle città europee, questa segregazione resta comunque relativa e non raggiunge mai i livelli nord-americani. Se le classi superiori, per esempio, sono quasi assenti da Scampia (4% della popolazione attiva), il ceto medio dei grandi parchi privati rappresenta pur sempre il 35% della popolazione attiva. (continua a leggere)