Fotoreportage di emanuele gaudioso / testo di davide schiavon
Un centinaio di persone legate al mondo dell’ippica napoletana, driver e dipendenti dell’ippodromo di Agnano, stanno protestando a Napoli. I manifestanti occupano la rampa dello stadio San Paolo, la stradina che consente l’ accesso delle squadre nel ventre dell’impianto dove stasera è in programma la partita Napoli-Catania. Sul posto ci sono anche una decina di cavalli. (repubblica.it, 2 febbraio 2013)
Quando ci si avvicina per la prima volta al mondo dell’ippica si ha l’impressione di assistere a un declino fisiologico. Fino a dieci anni fa le corse raccoglievano un enorme bacino di persone – e di soldi – , ora non più. Meno spettatori, meno corse, meno scommesse. La crisi dell’ippica non è però assimilabile alla generale “crisi economica”. È di certo un fenomeno unicamente italiano. In pochi anni le percentuali spettanti all’ippica derivate da un giro d’affari di ottanta miliardi di euro l’anno si sono drasticamente ridotte. Dal 70% all’1,2 appena. Denaro che, attraverso le scommesse, tornava ad alimentare il sistema. Giudici di gara, fantini, allevatori e allenatori, veterinari, dipendenti degli ippodromi, driver, trasportatori. Circa sessantamila sono i lavoratori dell’ippica italiani. Gran parte di queste persone non percepisce stipendio da sette mesi. Il Ministero delle finanze, dopo aver tagliato in maniera sconsiderata, ha bloccato i fondi. La crisi non è fisiologica – in Francia, ad esempio, il settore è in crescita, le tribune sono gremite – , l’ippica non sta morendo di vecchiaia.
Venerdì il mondo dell’ippica si è riunito in via XX settembre, a Roma, per manifestare sotto il Ministero delle finanze. Arriviamo alle nove, quando le persone radunate sono circa cinquanta. Ci sono romani e pugliesi, a rappresentare rispettivamente gli ippodromi delle Capannelle e l’ippodromo Paolo Sesto. Lanciano cori, suonano tamburi, gridano all’indirizzo del ministro Catania. Nonostante il timore iniziale di alcuni («Se non vengono i napoletani siamo fritti»), in un paio d’ore arrivano più di mille persone; arrivano da Milano, dalla Toscana, alcuni dalla Sardegna. Un signore in carrozzella mi spiega che i suoi nipoti, tutti fantini, sono costretti ad andare in Francia per partecipare alle corse. Lì, infatti, i premi sono dieci volte superiori a quelli italiani. «Quanto a me, nonostante la protesi, ho montato nuovamente a cavallo. L’avevo promesso a tutti, i medici dicevano che non sarei stato più in grado di camminare». Arrivano anche i napoletani. Qualche petardo comincia a scoppiare. Camionette della polizia e della guardia di finanza arrivano a chiudere la strada. Un petardo esplode ferendo un controllore dell’Atac a una gamba. Nulla di grave, comunque, la tensione sale per qualche istante, poi tutto torna tranquillo.
Antonio è di Fermo, fa l’allevatore, ha solo tre cavalli. Tutti gli altri li ha dovuti vendere. Parlando mi colpisce ripetutamente al petto rigirandomi le domande. Mi chiede: «Tu che avresti fatto?». Qualcuno l’ha dovuto dare al mattatoio: «Mi vuoi chiama’ assassino? Fallo!». A essere colpita è tutta la filiera, i piccoli produttori, pur non volendo, si trovano costretti – dati i costi elevati – a vendere o regalare i cavalli. Coloro che possono permetterselo vanno a correre all’estero. In un lungo periodo di attesa, dopo che alcuni delegati sindacali sono saliti a parlare con un sottosegretario del ministero, ci lasciamo affascinare dalle tante storie e dai volti dei manifestanti. In disparte si parla di Cash Asmussen, fenomenale fantino americano che sotto la sella metteva sempre un dollaro, il suo portafortuna. Arrivano “a portare solidarietà” Maurizio Mattioli, attore romano e proprietario di cavalli e Micheal Cadeddu, attore e fantino. Visibilmente più sereni degli altri.
Si spera che il ministero dia buone notizie. Servirebbe innanzitutto lo sblocco dei fondi, poi una riforma del sistema. «Via il totalizzatore, i cavalli devono essere giocati a quota fissa, come nel calcio!». Poi una più equa ripartizione degli incassi. Qualcuno scherza, un modo per lenire la tensione: «Ah, ci sei pure tu qui? I soldi che hai perso a Tor di Valle li vuoi recuperare dal ministro?». Tra i manifestanti si aggira Matteo Corsini, candidato alle regionali del Mir, “Moderati in rivoluzione”. Qualcuno ha dato fuoco alla sua bandiera, dice, mentre affannosamente cerca un fotografo che abbia immortalato il momento. L’attesa si fa sfiancante, all’indirizzo del balcone parte un lancio di uova e arance, la polizia avanza, i manifestanti si fermano. Verso mezzogiorno esce Faticoni, presidente dell’associazione Roma Trotto Italia. La notizia è che il ministero ha sbloccato trenta milioni di euro. Una miseria, peraltro non supportata neanche da un accenno di riforma del sistema.
I manifestanti si sentono presi in giro. Dopo l’annuncio c’è chi rincorre Faticoni (che scappa dalla folla a bordo di una moto della municipale), chi ipotizza di occupare la stazione di Roma Termini, chi infine con grande enfasi propone di andare in massa a Lucca per staccare il segnale delle corse, mandando in tilt il sistema. Qualcuno sentenzia che l’unica soluzione è «sciogliere i cavalli, così devono vedersela con gli animalisti. Mi dispiace, ma siamo arrivati a questo». Un fantino avvilito è così costretto a cambiare lavoro, lo dice a tutti.
Si sente la mancanza di un referente politico. «Ma è mai possibile che siamo così tanti e non c’è un politico che ci ascolta?». L’altro allarga le braccia: «Eh, cosa vuoi, Andreotti è morto». Un volantino gigante con una foto sgranata quanto enigmatica (il volto del ministro Catania montato sul corpo di un cavallo) recita: “L’unico politico che amava l’ippica era il senatore Giulio Andreotti. Si ricorda a tutti i politici che l’ippica italiana ha una filiera di circa cinquantamila famiglie, venticinquemila voti. Questi voti vi fanno schifo?”.