“Era primavera nel golfo di Taranto. Il cielo schiariva d’azzurro, il timore colorava il mare di blu. Angelo, pescatore di lungo corso, governava il naviglio antico, residuo d’un mondo marinaro al tramonto. Nascosti sottocoperta v’erano Giulio Maccari e Franco Bagli, medici clandestini. Ribelli invisi al direttorio, fuggiaschi e fuorilegge dagli anni Dieci. Fra le reti nascondevano i pochi strumenti necessari, fiale e appunti del loro trattato eretico. Esili e lontani i fumaioli sbuffanti dell’acciaieria [sì, ancora in funzione, NdA]. «Lasciamo una morte per visitarne un’altra? Amico mio». Il compagno stringeva un sigaro tra i denti: «Sempre la stessa morte». [La lingua deve essere sentenziosa come nei film più modesti, NdA]. Erano diretti a Gallipoli dove li attendeva un furgone per il trasporto di bovini. Lecce era l’ultima meta”. (Brano tratto dal foglio 34 della risma del Fondo Casarsa).
Fra i fogli di Casarsa abbiamo ritrovato racconti preparatori e vaghe suggestioni narrative. Il progetto d’una avventura pugliese risale – rivelano le note a margine – al lontano aprile 1974. Sono sogni d’una trama parallela, una deviazione dal soggetto principale: due medici rivoltosi, custodi d’una tradizione scientifica caduta in disgrazia, lasciano il covo tarantino per raggiungere il Salento. Là, sui tetti di Lecce, vive florida una comunità dissidente nel futuro epidemico. Il secondo rullo conserva tentativi di inquadratura, immagini sperimentali di Puglia. Di Taranto ci colpiscono le nuvole e il vuoto, l’auto del futuro in un tempo sospeso.
“Un caldo pomeriggio sui tetti di Lecce, abbaiano i cani lontano e sembra un canto nel vento. Bagli e Maccari dondolano su due amache appese fra le antenne, intorno è allestito un ospedale da campo sotto il sole. Bagli gira una sigaretta mentre l’amico legge un brano del trattato clandestino: «Prevenire la malattia vuol dire operare per mantenere la salute. Ma i medici del direttorio – più acuta la voce – non sanno cos’è la salute, sanno solo cos’è la malattia. Se vogliamo cambiare veramente le cose dobbiamo imparare cosa vuol dire il sociale nella medicina – e borbotta un poco. Allora – e si alza in piedi – prevenzione della malattia o mantenimento della salute non vuol dire fare diagnosi precoci ma vedere nei posti di lavoro, nei luoghi della vita, quali sono le situazioni che determinano la malattia e…». L’amico s’avvicina ai lettini di tre pazienti sotto l’ombra d’una tettoia. Si sente un fruscio, Bagli si volta. Un bambino scorre nel cestello sospeso, appeso a un filo di metallo. «Da dove vengo? Vengo dalla scuola sui tetti»”. (Brano tratto dal foglio 74 della risma del Fondo Casarsa).
Ogni alba rosata sfiorava una comunità clandestina sui tetti di Lecce. Da una terrazza all’altra i dissidenti avevano steso funi, ponticelli leggeri, carrucole appese a sottili cordami. Così – come nelle notti d’oriente – i cospiratori saltavano oltre le cimase per incontri all’aria aperta. L’esistenza sfiorata da brezza: scuole esposte ai raggi del tramonto e una lavagna sistemata contro un comignolo. Le terrazze più ampie ospitavano gli ambulatori, oppure le mense popolari. Cenavano i cittadini su panche di legno fra la luna e fiochi bagliori di lampade. Inatteso s’alzava lontano un «Uh!», richiamo d’avvertimento per un cestello in partenza. Il fumo dei falò s’alzava insieme all’odore d’arrosto, la notte dormivano i bambini in reti sospese sopra i vicoli. Ma certi pomeriggi le campane suonavano tetre e gli abitanti del cielo arrestavano le occupazioni. In alto sfrecciavano casse di metallo legate a moschettoni, sfrecciavano verso i tumuli dell’anello esterno; e mani dolci si muovevano in saluto”. (Brano tratto dal foglio 75 della risma del Fondo Casarsa).
Scriveva Borgese, fedele assistente di regia, nel diario del 4 marzo 1975: “Per Adolfo lo spazio è composizione di molteplici frammenti disposti fra livelli comunicanti. Ieri mi ha mostrato la mappa di Lecce. «Guarda, come governare questa città? Il direttorio costruisce stazioni di controllo agli angoli delle strade». E ha disegnato gli avamposti della disciplina sanitaria, le casematte della polizia, i nuclei di amministrazione locale. «Soffocante. La mappa però non conosce la variazione dei livelli: le strade, le fogne, i balconi e i tetti. A volte i nostri fuggono nel ventre della terra, fra condutture sgocciolanti, oppure trovano respiro fra i nidi degli uccelli». Sui liberi terrazzi Adolfo pensava di rifondare nuove scuole di filosofi peripatetici”. (Note a cura dell’Assembramento di Ricerca Cinematografica)